di Sandro Antoniazzi
Pur cercando di mantenersi obiettivi e di valutare la proposta evitando i pregiudizi, il progetto governativo sul premierato, considerato nei suoi elementi sostanziali, è sicuramente da respingere totalmente.
Sostiene il governo che trattasi di “un criterio minimale di riforma costituzionale”, dove probabilmente il minimale si riferisce al fatto che il provvedimento consta di pochi articoli perché, se si guarda invece al merito, due pilastri costituzionali fondamentali, il Presidente della Repubblica e il Parlamento, sono sostanzialmente privati dei loro poteri.
Al Presidente della Repubblica sono tolti due poteri rilevanti (i poteri più politici): la nomina del Presidente del Consiglio (con la nuova proposta è obbligato a dare il mandato al Presidente del Consiglio eletto) e l’incarico di gestire le crisi di governo (anche questa problematica è già tutta disciplinata e dunque al Presidente rimangono compiti solo formali).
Si può aggiungere che essendoci in Parlamento una maggioranza assoluta eletta, a traino del Presidente del Consiglio, è da presumere che anche il Presidente della Repubblica venga eletto da questa maggioranza e dunque allineato alle sue posizioni, perdendo il carattere di potere indipendente.
Inoltre, non ci saranno più i senatori a vita e il sistema esclude che si possano nominare Presidenti tecnici: gli uni e gli altri non rientrano nella nuova concezione. Solo gli eletti possono mirare alle supreme cariche istituzionali: basta con i Ciampi, i Monti, i Draghi, considerati intrusi e alieni al mondo politico.
Altrettanto grave è il vulnus portato al Parlamento: il progetto prevede che nella Costituzione (art.92) sia inserito che la lista del Presidente del Consiglio abbia una maggioranza garantita in entrambe le Camere. E se questa coalizione risultasse in minoranza nelle elezioni?
E’ chiaro che in queste condizioni il Parlamento sia destinato a contare ben poco, come capita oggi, a causa della sventurata riforma Bassanini della legge sulle amministrazioni locali, per i Consigli Comunali, ridotti praticamente a un ruolo di tribuna.
L’elezione del Parlamento diventa secondaria; si vota il “capo” e se questo vince trascina nella vittoria la propria lista.
E’ la fine del sistema parlamentare, che è stato finora il sistema previsto dalla Costituzione e vigente nel nostro paese.
Viene meno congiuntamente il principio della “rappresentatività” che pure, nelle sentenze della Corte Costituzionale in materia elettorale, è sempre stato considerato un principio fondamentale, riaffermato con forza.
La proposta si può dire che rappresenti in un certo senso l’epilogo drammatico (di un’esasperata tendenza che ha caratterizzato gli ultimi decenni, la fanatica ricerca della “governabilità” (a scapito, naturalmente, della rappresentatività).
La legge sul premierato si presenta peggiore della famigerata legge Acerbo del 1924 che assegnava un premio molto alto (2/3 dei seggi) alla lista di maggioranza; poi questa mandava al potere il proprio capo, ma è stato risparmiato al popolo italiano il dovere di eleggere direttamente il Capo dello Stato di allora.
Qui invece si deve eleggere direttamente il Capo dello Stato con una maggioranza assoluta garantita, senza più i contrappesi rappresentati dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento, per cinque anni, che facilmente diventano dieci.
Questa esigenza ingigantita di governabilità trae la sua motivazione principale dal fatto che siamo in un’epoca che conosce una forte accelerazione di tutti i processi, i quali richiedono decisioni rapide e non le infinite discussioni parlamentari.
Sono personalmente di parere opposto: le decisioni importanti vanno prese attraverso il confronto e il dialogo democratico con tutto il tempo necessario. Sono da temere piuttosto le decisioni prese rapidamente sulla base di pressioni degli eventi, senza il vaglio di una valutazione ponderata.
A riguardo un sistema elettorale proporzionale, con alcune opportune correzioni (ad esempio, una soglia di sbarramento) rimane, in un sistema parlamentale, la soluzione migliore; non va infatti trascurato che il premierato porta di conseguenza a un rigido e obbligato sistema bipolare, poco naturale in una democrazia rappresentativa.
E’ stato affermato che il premierato è un “unicum” sul piano costituzionale mondiale: non è più un sistema parlamentare, ma non è neppure un sistema presidenziale.
Se guardiamo ai modelli dei sistemi a noi vicini abbiamo in Francia una repubblica presidenziale con un presidente che detiene ampi poteri, ma il Parlamento è votato separatamente (così può succedere che il Presidente non abbia la maggioranza parlamentare) e abbiamo la Gran Bretagna dove il partito che vince le elezioni ha diritto alla carica del Primo Ministro per il proprio leader (è il contrario della proposta di premierato: qui i cittadini eleggono il Parlamento e non il Capo e poi il partito vincente esprime il Primo Ministro).
Per i diversi motivi qui esposti esistono seri dubbi sulla costituzionalità della proposta: la legge vuole cambiare la Costituzione, ma esistono dei limiti entro cui la Costituzione può essere modificata e in questo caso i limiti sembrano essere chiaramente superati.
Forse, ma è il rimpianto delle occasioni mancate, occorreva muoversi con decisione in un’altra direzione e cioè il rafforzamento democratico delle nostre istituzioni, a partire dall’art.49 (la regolamentazione democratica dei partiti) e dal ripristino del voto di preferenza nelle elezioni dei parlamentari per legare maggiormente candidati ed elettori.
Speriamo che se ne possa riparlare, ora però il compito prioritario consiste nel respingere con decisone questa proposta di stravolgimento della Costituzione.
22 Luglio 2024 at 08:45
So d’esprime un’opinione molto minoritaria, tuttavia mi lascia perplesso il favore verso le soglie di sbarramento. Esse potevano più facilmente giustificarsi negli anni ’90, nell’epoca in cui sembrava raggiunta la “democrazia compiuta” basata sul bipolaismo centripeto, sull’alternanza tra due o comunque pochi partiti ideologicamente poco caratterizzati e che quindi avrebbero facilmente rappresentato nel loro insieme la totalità degli elettori. Tuttavia mi sembra innegabile che il quadro si sia (purtroppo) evoluto diversamente: le differenze ideologiche e programmatiche sono tuttora ben presenti, sebbene le linee di frattura siano diverse rispetto al passato e alle volte trasversali rispetto alle vecchie appartenenze, e il grado di pluralismo interno ai partiti è lasciato alla discrizone delle rispettive dirigenze.
C’è da domandarsi quindi se una delle cause dell’alto astensionismo sia, fra le altre, che non pochi cittadini non si sentono più rappresentati da nessuno dei partiti attualmente esistenti e che hanno fondate certezza di ottenere eletti.
Sono propenso a credere che le assemblee elettive, a maggior ragione quelle più rilevanti come appunto il Parlamento, debbano essere davvero “inclusive”, essere veramente “la casa di tutti”, anche delle minoranze senza grandi numeri.
L’obiettivo di favorire la governabilità tramite la semplificazione della composizione delle assemblee viene in realtà mancato comunque, a causa del fenomeo secondorepubblicano della nascita di gruppi parlamentari per scissioni e operazioni trasformistiche (quelli che ricordando uno dei protagonisti di questa tendenza verrebbe voglia di chamare le “Congregazioni degli Scilipoti”), verosimilmente privi di reale base nel Paese, il che mi pare esser l’inverso della funzione dei partiti secondo l’art.49/Cost.
Se si ritiene non auspicabile il ritorno al sistema proporziale puro (o quasi) della prima repubblica, e possono esserci buone ragioni in tal senso, troverei più adeguato e rispettoso del principio di rappresentanza un premio di maggioranza, meglio se attrubuito in un secondo turno, per evitare che il primo turno venga alterato da spinte al “voto utile” (o presunto tale) indotte da sondaggi non sempre poi confernati dai voti reali.