Autonomia differenziata e premierato: è la strada giusta? Rilievi e auspici

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Lo scorso 19 giugno il provvedimento sull’autonomia differenziata è stato approvato dal Parlamento ed è quindi diventato legge (L. 26 giugno 2024, n. 86). La legge sull’autonomia differenziata, in attuazione delle disposizioni dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, reca il procedimento attraverso il quale le Regioni a statuto ordinario possono negoziare, attraverso una procedura articolata, il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nell’ambito di 23 materie, 3 di potestà esclusiva dello Stato, ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, e le altre 20 materie di potestà concorrente. Tra queste emergono, ad esempio: salute, istruzione, sport, ambiente, energia, trasporti, cultura, commercio estero.

Non si può nascondere che di questa legge preoccupa il tentativo di cancellare il necessario riferimento alla solidarietà nazionale, all’unità e indivisibilità del Paese, oltre che all’attenzione e vicinanza ai territori più svantaggiati, che potrebbe aggravare le differenze territoriali (a partire dalle differenze economico-sociali tra il Nord e il Sud Italia).

Anche dalla Conferenza episcopale italiana è giunto un preoccupato allarme: «Crediamo che la parola “insieme” sia la chiave per affrontare le sfide odierne e la via che conduce a un futuro possibile per tutti. Siamo convinti infatti – e la storia lo conferma – che il principio di sussidiarietà sia inseparabile da quello della solidarietà. Ogni volta che si scindono si impoverisce il tessuto sociale. […] Solidarietà e sussidiarietà devono camminare assieme altrimenti si crea un vuoto impossibile da colmare» (Conferenza episcopale italiana, Autonomia differenziata. Nota, 22 maggio 2024).

La pandemia da Covid-19 ha evidenziato negli anni scorsi, tra gli altri, i limiti della regionalizzazione della sanità e di quanto sia importante e lungimirante al contrario investire su un servizio sanitario nazionale, universale, equo e solidale.

Anche dal punto di vista finanziario la legge sull’autonomia differenziata sembra porre problematiche di sostenibilità, soprattutto per le competenze che prevedono LEA (livelli essenziali di assistenza) e LEP (livelli essenziali di prestazioni) non differenziati, che difficilmente potranno trovare le coperture finanziarie adeguate. In tal senso – e posto il problema pregiudiziale della definizione dei LEP – come si comporterà lo Stato per garantire la perequazione territoriale? E prima ancora: come si comporteranno le Regioni rispetto alle nuove regole, senza avere le risorse necessarie per garantire i livelli minimi di gestione? Il dibattito, dunque, è ancora aperto e le prospettive in campo sono divisive: occorre osservare infatti che sono in corso iniziative per la presentazione di referendum abrogativi della legge in discorso (totali o manipolativi) da parte di alcune Regioni e parti politiche riconducibili all’opposizione del Governo in carica.

Insieme alla riforma costituzionale del premierato – che sta ancora compiendo i propri passi di approvazione all’interno del Parlamento – quella del regionalismo differenziato è uno dei cavalli di battaglia della maggioranza politica uscita vincitrice dalle elezioni politiche del settembre 2022.

Si tratta, a detta di molti esperti costituzionalisti, di due riforme speculari e potenzialmente contrastanti: da una parte è stato approvato un provvedimento che interviene sulle funzioni delle Regioni, allargandone l’autonomia e i poteri, con il rischio di creare disuguaglianze territoriali e ulteriori conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato; dall’altra parte, invece, con la prospettiva del Premierato si cerca di accentrare responsabilità, prerogative e legittimazione dell’Esecutivo sul Presidente del Consiglio, per cercare di perseguire una maggiore stabilità del Governo ed evitare il rischio di crisi politiche repentine e ripetute. In questo caso, lo si intenderebbe fare attraverso ipotesi di razionalizzazione del rapporto fiduciario che potrebbero determinare una ulteriore marginalizzazione del Parlamento, mentre influirebbe sul ruolo del Presidente della Repubblica, organo istituzionale che è stato in grado di garantire equilibrio ed equidistanza politica negli ultimi anni.

Si verrebbe così a intaccare il sistema di bilanciamento dei poteri e della funzione di controllo degli organi di garanzia previsti dalla Costituzione a tutela della democrazia. È lecito, dunque, domandarsi se siano queste le riforme e le leggi di cui ha bisogno il Paese in questo frangente storico così delicato e complesso. Non a caso sono giunti numerosi appelli affinché «ogni riforma della Costituzione, nata da istanze sociali plurali e concorrenti, sia frutto di una comune responsabilità nell’incontro, che crediamo sempre possibile, tra le argomentazioni e le ragioni di ciascuna parte» (come si legge nella Lettera aperta firmata da diverse associazioni e movimenti del laicato cattolico, fra cui l’Azione cattolica italiana, a seguito della Settimana sociale di Trieste).

Trattandosi di riforme con un impatto diretto e profondo sulla struttura e organizzazione del nostro tipo di Stato (regionale) e della forma di governo (parlamentare), sarebbe necessario procedere con prudenza e riflessione approfondita, scevra da ideologismi e divisioni di parte, attraverso un dialogo aperto, e cercando di giungere a un sostegno parlamentare il più ampio possibile. Si potrebbe ancora osservare che le riforme in atto affrontano questioni non meramente tecnico-giuridiche, bensì investono il sistema dei diritti civili, sociali e politici, e quindi la vita concreta di persone e comunità.

Il Paese non ha bisogno di leggi approvate a “colpi di maggioranza” che modificano radicalmente l’assetto istituzionale, ma di seri, condivisi e graduali processi di cambiamento per il bene dei cittadini, della società civile e dei territori che lo compongono.

 

Azione Cattolica Ambrosiana – La Presidenza diocesana

Milano, 17 luglio 2024

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