Per la vita della città di Giuseppe Dossetti.

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di Sandro Antoniazzi

Il discorso di Dossetti ha al suo centro la fede e l’Eucarestia, meglio la fede nell’Eucarestia, che tra i “misteri” è quello più grande (mistero pasquale della morte e resurrezione di Cristo).

Del resto, la centralità che Dossetti attribuisce all’Eucarestia è presente in altri suoi scritti e particolarmente nel titolo al suo commento alla costituzione conciliare sulla liturgia, “Per una chiesa eucaristica”; il Congresso eucaristico è dunque un’occasione propizia per esprimere la sua visione.

Il tema che gli è stato assegnato è “Per la vita della città” e mette subito le mani avanti affermando che “il tema è svolto solo nell’orizzonte della fede; considerazioni che non siano di “pura” fede saranno solo puntuali o occasionali” (l’aggettivo puro ricorrerà più volte nel prosieguo).

Il discorso è diviso in due parti, di cui la prima è dedicata alla città; non si tratta di un’analisi storico-sociologica, ma di un confronto continuo fra la città e la fede.

Inizia dall’Antico Testamento per ricordare (e ricordarci) che il fondatore della prima città è Caino e che, subito dopo, un esempio dell’orgoglio smisurato dell’uomo ci viene dalla costruzione della torre di Babele (che rammenta i grattacieli di oggi, sempre più alti).

Si sono avute delle monarchie in Israele, ma hanno avuto una vita molto contrastata, spesso idolatrica, e non sono finite bene.

“Mai più l’Israele biblico si realizzerà in uno Stato” e la nuova chiesa è una comunità destinata a vivere tra le nazioni, non come a casa, ma come straniera. “Tra la comunità eletta e le potenze mondane non vi può non essere un confitto alla fine irriducibile; non può esserci nessuna identificazione tra popolo di Dio e città dell’uomo”

Dossetti sottolinea anche il fatto che il Regno di Dio è regno dei cieli, dunque opera di Dio; non è realizzato o preparato dall’azione umana. All’uomo spetta solo la fedeltà alla Parola, l’annunzio di essa, la fede che il grano del Regno di Dio cresce da solo.

Dossetti poi si chiede se i credenti possano dare un contributo alla “sanazione” del mondo, tenendo presente che ciò richiede l’impiego di pensieri di altra fonte, che non sia il dato biblico.

Si tratta di un’operazione possibile, “mai pienamente riuscita”, che richiede requisiti molto fermi:

  • di sapere propriamente che cos’è il dato cristiano
  • che si abbia presente il grado di opinabilità delle altre fonti
  • che la mediazione sia fatta con rigore dottrinale
  • che sia ispirata da un’intuizione profonda dell’attualità storica.

E’ possibile allora un progetto storico cristiano?

Il cristianesimo potrà essere presente nella storia tanto più la comunità cristiana si atterrà al puro dato biblico non sposandolo, o il meno possibile, con qualcosa di diverso.

Occorre lasciare a singoli o a gruppi di cristiani di muoversi nel mare della storia, rispettando delle condizioni fra cui: che il progetto sia totalmente distinto dalla comunità di fede, che abbia una sua genialità e una sua validità storica, che nasca da un senso disinteressato di giustizia.

La seconda parte del discorso è dedicata all’Eucarestia, e qui passo la mano per competenza ai teologi, però anche in questa parte sono contenute affermazioni relative alla città. Ne richiamo alcune.

La città ha una possibilità di salvarsi dalla pura perdizione, purché i cristiani non ricorrano a mezzi umani che sarebbero “mezzucci” disperanti, ma vivano l’avventura di essere sanati, illuminati e guidati, nelle loro persone e nella loro comunità di fede dall’Amore trinitario.

Il cristiano non solo po’ ma deve impegnarsi nella storia, sempre col massimo distacco possibile, sempre pronto a lasciare.

Una conseguenza della virtù della speranza è il rilievo prevalente che il cristiano deve attribuire alla famiglia, come società umana primordiale, che sola ha ricevuto da Dio una sua costituzione e benedizione.

A proposito, infine, della vocazione e dei ruoli sociali è bene chiarire che la vocazione del cristiano è una sola, quella della sequela di Cristo, unica irrevocabile e immutabile.

Ho cercato di riassumere qualche punto essenziale della relazione sia per il lettore che non possiede lo scritto, sia per poter esprimere meglio il mio pensiero.

Innanzitutto, va detto che Dossetti è stato un grande maestro – assieme a Lazzati, La Pira, Montini; siamo oggi in un mondo confuso e complicato in cui non mancano i maestri, ma sono maestri piccoli rispetto alla situazione e per questo sono poco ascoltati.

I grandi maestri avevano una fede profonda e nello stesso tempo una visione del mondo e della storia; ci mancano oggi (ad eccezione di Papa Francesco) delle figure di questa statura e con questo sguardo universale.

Leggendo i criteri esigenti che egli pone ad un intervento storico politico dei cristiani sembra di capire che in mancanza di una visione sia meglio rinunciare, si rischia solo di confondere e mescolare in malo modo il messaggio cristiano con altre forme di pensiero, non riuscendo politicamente, ma anche e soprattutto compromettendo la fede.

Condivido totalmente il pensiero di Dossetti sulla priorità e centralità della fede.

Se dei cristiani intendono oggi interessarsi di politica, la cosa migliore che possono fare è pensare alla formazione dei cristiani, preoccuparsi che le comunità vivano la fede.

Molti fedeli vanno ancora in chiesa (anche se continuano a diminuire), ma il loro modo di vivere e di pensare si adegua spesso passivamente a quello dominante proposto dai mass-media e da una vita comune impregnata di individualismo ed economicismo.

Non esiste più il mondo cattolico di una volta disposto a partecipare in massa ai richiami di un partito (per fortuna, direi).

Non è finita solo la cristianità, ma è finito anche il movimento sociale politico cattolico, nato con la Rerum Novarum, per opporsi ad altre forze ideologiche avversarie (liberali e socialisti).

Invece di essere lievito, i cattolici sono stati una pasta in contrapposizione ad altre paste.

Oggi i cattolici devono tornare ad essere lievito, questo mi sembra in sostanza il discorso di Dossetti ed essere lievito vuol dire abbandonare l’idea di avere organizzazioni politiche, magari robuste e importanti, ben visibili nella società.

La situazione di oggi è vissuta male perché quella di ieri era più chiara e più appagante: i cattolici avevano il loro partito cristiano, il loro sindacato, le loro associazioni e ognuno di questi organismi costituiva un riferimento sicuro.

Essere lievito vuol dire invece – come dice Dossetti – vivere innanzitutto di fede, mentre ogni altra scelta umana, storica, politica va valutata di volta in volta e vissuta sotto condizioni precise e vincolanti.

Del resto, Dossetti richiama un altro criterio imprescindibile, anche questo mancante: una “intuizione profonda dell’attualità storica” e oggi i cristiani non sanno come affrontare la realtà in cui sono immersi, mancano di una capacità interpretativa del mondo.

E’ comprensibile, dunque, il disagio attuale dei cattolici nei confronti della società, ma non ci sono le condizioni per un suo superamento, per un miglioramento possibile.

Il passaggio che i cristiani devono fare – quello dalla pasta al lievito, prima richiamato – richiede tempi lunghi, una vera e propria (ri)conversione, un mutamento profondo di mentalità. E sempre che i cattolici (la chiesa innanzitutto) lavorino di buona lena in questa direzione.

Nel discorso di Dossetti, personalmente, vedo però anche un possibile terreno di iniziativa concreta.

Se non ci sono le condizioni per un progetto politico di dimensione nazionale, una cosa diversa sono le esperienze locali e questo per un motivo semplice: se ci sono comunità cristiane vive queste sono a livello locale e il loro compito, quello di un progetto circoscritto, si presenta decisamente più facile.

Un discreto numero di esperienze locali vive, di persone, di gruppi, di comunità, potrebbe essere il terreno su cui ricostruire un impegno politico cattolico che dovrebbe possedere caratteri nuovi, tutti da ricercare (e questa, se è una difficoltà, è anche la parte bella di questa avventura).

In ogni caso le esperienze locali devono stare lontane dai consueti richiami al moderatismo, al centrismo fine a sé stesso, all’equilibrismo partitico: serve avere una visione propria, una concezione robusta, essere creativi (Dossetti)

Un’ultima considerazione mi è suscitata dal richiamo che il discorso rivolge a proposito del valore della famiglia, che viene ribadita come società umana primordiale, che sola ha ricevuto da Dio la sua costituzione e benedizione.

Si insiste ripetutamente da parte cattolica sul valore della famiglia, ma dobbiamo anche aver presente che la società e gli uomini di oggi vanno chiaramente in un’altra direzione e così anche molti cattolici, tra cui sono diffusi i rapporti prematrimoniali e le convivenze.

Non dobbiamo rinunciare ai principi, ma forse un modo diverso di interpretarli e attuarli potrebbe essere considerato. Ho presente che sollevo delle questioni di fatto, direi sociologiche, e temo che la sociologia fosse poco apprezzata da Dossetti perché dottrina imprecisa, approssimativa, indeterminata.

Eppure, spesso con tutti i suoi limiti, la sociologia ci indica dei problemi reali. E a questi è doveroso dare una risposta.

MI fermo qui; ho svolto delle considerazioni su alcuni punti dello scritto, ma il discorso di Dossetti è così ricco che altri, meglio di me, sapranno certamente sviluppare ulteriori riflessioni più profonde e più illuminanti.

 

settembre 2024

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