Guerra diffusa, non disperare la pace

| 0 comments

di Fabio Pizzul

Mai dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale c’erano state così tante guerre nel mondo. E mai così minacciose riguardo possibili escalation sovraregionali. Sono 56 i conflitti attualmente in corso e il Global Peace Index indica per il 2024 un deterioramento in 97 paesi e un miglioramento in appena 65. I numeri sono impressionanti: almeno 100 paesi sono stati parzialmente coinvolti in qualche forma di conflitto esterno. Erano 59 nel 2008. In questa drammatica contabilità non sono comprese le vampate di guerra delle ultime settimane in Medio Oriente.

C’è poco da parlare di pace e gli spazi per qualsiasi azione diplomatica paiono scomparire di fronte alla violenza delle armi, che saturano qualsiasi spazio politico e occupano per intero l’orizzonte di un’economia ormai in pieno assetto di guerra. I costi umani di questa situazione sono enormi, ma il PIL globale, confermando la parzialità, se non l’assurdità di questo indice, fa segnare numeri tutto sommato positivi.

La guerra alimenta sé stessa in una spirale perversa che ci illude di poter ottenere più sicurezza attraverso la violenza.

Due sono i conflitti che riempiono l’agenda politica dei vertici internazionali, lasciando sullo sfondo guerre non meno drammatiche, ma certamente meno rilevanti dal punto di vista geopolitico ed economico.

È così che in Ucraina ci si avvia verso la fine del terzo anno di guerra, con l’invasore russo impegnato ad aumentare continuamente la proporzione degli attacchi e l’Ucraina alla ricerca di ulteriori risorse internazionali per non arretrare. Nessuna delle parti in conflitto parla di pace e la comunità internazionale si adegua a questa folle spirale di violenza.

In Medio Oriente è Israele a tenere acceso il fuoco della guerra, nell’illusione di poterne gestire la furia per garantirsi il diritto all’esistenza di fronte alle minacce dell’Iran e dei suoi alleati, che, al momento, si sostanziano più in formazioni terroristiche che in stati di diritto. Proprio per questo Israele dovrebbe far emergere il valore della democrazia e del diritto internazionale, che invece continua a calpestare in modo evidente, nell’idea che gli Stati Uniti e gli altri alleati non potranno mai permettersi di abbandonarlo.

Si creano così le condizioni per uno stato di guerra perpetuo, necessario soprattutto a leader che non hanno mai saputo utilizzare altro che il linguaggio della violenza e che ritengono di non potersi permettere segnali di debolezza quali essi, evidentemente, considerano azioni di diplomazia e tentativi di costruire tregue e percorsi di de-escalation.

Quali spazi, allora, per la pace?

Apparentemente nessuno. Per questo non sono in molti che osano utilizzare la parola pace, perché si rischia di apparire fuori dallo spirito del tempo.

Ma proprio ora è necessario parlare di pace e mantenere ostinatamente aperti canali di comunicazione e possibile confronto tra le parti in guerra.

La pace non arriva per miracolo, ma può insinuarsi in piccoli spazi che si aprono all’improvviso. Bisogna però essere pronti a sfruttarli, partendo dal fatto che nessuno vuole un conflitto globale e che ci può sempre essere un interesse comune alla pace, che in guerra non può essere esplicitato, ma può sorgere all’improvviso di fronte a fatti inaspettati.

Per questo è preziosa l’azione ostinata di papa Francesco e di coloro che, nonostante tutto, continuano a parlare di pace.

 

Lascia un commento

Required fields are marked *.