Lo sguardo biblico sui conflitti e la loro gestione

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di Paolo Salvini*

Abele e Caino
Il rapporto umano è alla radice segnato dalla violenza. I capitoli 1-11 del libro della Genesi ci danno le coordinate fondamentali della situazione umana: sfiducia nei confronti di Dio, frattura tra esseri umani e rapporto problematico con il resto del creato. Ci consegnano però anche l’iniziativa di Dio che è all’opera per ricucire queste tre fratture.
In questo quadro troviamo il racconto di Caino e Abele, fratelli in umanità. La carica di violenza che c’è nelle nostre relazioni è messa subito in primo piano. La ferocia di cui sentiamo raccontare ai nostri giorni è già espressa in quei racconti antichi. Ma Dio parla per tempo con Caino, con il figlio in pericolo, perché prenda consapevolezza dell’intenzione che gli si fa strada nel cuore e scelga altrimenti. Anche dopo l’uccisione di Abele si prende cura di lui e gli impone un segno, perché la sua vita non si perda anch’essa.

Abramo e Lot
C’è un conflitto tra i pastori di Abramo e quelli del nipote Lot. Il territorio è limitato, l’acqua non basta per le loro greggi. Abramo è capace di esplicitare il conflitto nel dialogo e propone una soluzione non violenta, lasciando che Lot scelga per primo le terre per il pascolo del suo bestiame e ritirandosi nella direzione contraria, verso le terre ritenute meno appetibili. Dio benedice Abramo.

Il servo di Dio secondo Isaia
È una figura che resiste alla violenza senza mai aggirarla. Non verrà meno e non si abbatterà. È tenace nel cercare la giustizia, finché non sarà stabilita sulla terra. Subisce una violenza indicibile: Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca. Con ingiusta condanna fu tolto di mezzo. Ma questi avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Il giusto mio servo giustificherà molti.

Gesù
Gesù ha la mitezza e la tenacia del servo di Dio, sia nel suo insegnamento che nella sua vita, fino al suo compimento.
A proposito dei conflitti e della loro gestione troviamo nelle beatitudini secondo Matteo: beati i miti perché Dio darà loro in eredità la terra; beati i costruttori di pace perché Dio li chiamerà figli. Dio riconosce il suo modo di essere in coloro che agiscono per la pace e i suoi figli, che conoscono la sua mitezza, non dovranno lottare per avere la terra, perché la riceveranno in eredità dal padre.
Nel vangelo secondo Luca al capitolo 6 Gesù dice: a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. … Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Gesù indica come via, propria di Dio Padre, nel rapporto con chi odia e fa del male, un agire contrario, che cerca il suo bene e gli riserva benedizione e preghiera. Un agire che gli resiste, sorpassandone le pretese nella benevolenza. Van Thuan. in “Libero tra le sbarre “ci offre una rappresentazione molto viva di questa via evangelica dell’amore per chi fa del male e della sua efficacia.
Nei vangeli Gesù dedica molto tempo a preparare i suoi discepoli alla pasqua. Mette davanti a loro le sofferenze che lo aspettano, il rifiuto dei capi del popolo, la sua morte violenta, ma anche la prospettiva di vita nuova che tutto questo aprirà. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Gesù è convinto che la strada che ha scelto sia efficace: porterà un frutto di vita non solo a lui stesso, ma anche a molti.
Bruna Costacurta insegna a proposito del rapporto di Gesù con Giuda. Siamo davanti a un discepolo che è sotto la spinta della tentazione. Sta per tradire. È il discepolo che ha bisogno. Giuda è il discepolo privilegiato, più amato.
Prima Gesù mette Giuda davanti alla sua volontà di tradire, per dargli consapevolezza e offrirgli il perdono. L’accusa di Gesù è un gesto di amore che vuole salvare, di perdono. Il boccone veniva offerto dal padrone di casa all’ospite privilegiato, preferito.
A questo punto Satana entra in Giuda e Giuda decide di tradire. Tutto sembra compromesso. Invece Gesù entra dentro il tradimento di Giuda e glielo leva dalle mani: quello che devi fare fallo presto. Te lo dico io: fallo. Se lo fai, devi sapere che non ci sei riuscito. Sono io che mi consegno, non tu che mi tradisci. Perché sia più evidente l’amore, aggiunge “presto”.
Se uno vuole toglierti la tunica, tu dagli anche il mantello. Impedisci che sia lui a toglierti la tunica, dagliela tu. Inoltre il tuo amore sia più grande: anche il mantello. Non una, ma due miglia.
Da Bruna Costacurta ho ascoltato anche una riflessione illuminante sull’atteggiamento di Gesù durante il processo. Gesù tace, non risponde alle false accuse. Gesù mai nella sua vita ha taciuto, neanche nel momento in cui viene colpito ingiustamente. Davanti alle accuse Gesù tace, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori. Parla solo per rendere testimonianza della sua missione messianica. Il giudice necessariamente deve comminare una sentenza. Se riconosce la colpevolezza dell’accusato la sentenza sarà di condanna nei suoi confronti. Nel caso della sua innocenza, il giudice deve comminare a chi l’ha ingiustamente accusato la stessa condanna richiesta. Gesù non intende dimostrare che le accuse nei suoi confronti sono false, per non mettere i falsi accusatori nella situazione di essere condannati a morte. In questo modo Gesù non impedisce la propria condanna, ma in qualche modo la provoca. Entra nella decisione di lasciarsi uccidere, per liberare dalla morte i suoi accusatori. Nessuno può togliermi la vita. Sono io che la dono.
Gesù avvicinandosi alla morte prega il padre per coloro che lo uccidono: perdona loro perché non sanno quello che fanno.
Nella lettera ai Romani al capitolo 12: Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. … Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.

Cosa è necessario per una partecipazione attiva e responsabile dei cristiani, in questo tempo segnato da guerre diffuse e dalla corsa agli armamenti? Scelte personali, sociali e politiche, che condividiamo con tutti gli umani, che rifiutano la via della violenza.

Documento di Arena di pace 2024

L’impegno personale
1. Comunichiamo in modalità disarmata, capaci di ascolto e di fiducia, anche quando c’è in corso un conflitto. Scegliamo parole che edificano, che non umiliano e non screditano l’altra persona.
2. Scegliamo azioni di pace e di giustizia in tutte le situazioni, con maggiore attenzione quando abbiamo responsabilità e rapporti asimmetrici, in cui potremmo schiacciare l’altra persona.
3. Facciamo emergere i conflitti importanti, non mettiamoli sotto il tappeto. Cerchiamo vie per risolverli, che tengano conto delle legittime esigenze di tutte le parti coinvolte.
4. Scegliamo un consumo e un risparmio che lascino un’impronta buona nella vita sociale e nell’ambiente.
5. Non conformiamoci alla mentalità prevalente, ma cerchiamo vie di giustizia e di pace con mitezza e tenacia.

L’impegno sociale
1. Costruiamo pace all’interno delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti e nelle relazioni tra di loro. Mettiamo insieme le forze per un impegno di pace: se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai insieme.
2. Ascoltiamo i bisogni, le paure e le ansie delle comunità, per cercare risposte concrete e positive.
3. Scegliamo le banche e gli investimenti per le nostre associazioni, vigiliamo sui finanziamenti.
4. Organizziamo, sosteniamo e difendiamo l’obiezione di coscienza, la disobbedienza civile, il boicottaggio, il rifiuto di produrre e commercializzare strumenti di morte, la resistenza contro la violenza, l’ingiustizia e il sopruso.
5. Impegniamoci nella scuola e nell’università per l’educazione alla pace, alla nonviolenza, al dialogo interculturale e interreligioso, nella pari dignità di ogni essere umano. Teniamo lontani i finanziamenti che la condizionerebbero in direzione contraria.

L’impegno politico
Costruiamo un consenso ampio e cerchiamo vie concrete
• per la realizzazione della Costituzione nel suo insieme
• per il coinvolgimento delle comunità civili più prossime a favore della pace
• per la riduzione delle spese militari
• per la riconversione dell’economia militare in economia di pace
• per la ratifica del trattato per la proibizione delle armi nucleari
• per un sistema di difesa civile non armata e la creazione di corpi civili di pace
• per la difesa della legge 185/1990
• per la riforma dell’ONU e delle altre istituzioni internazionali
• per una cooperazione autentica che favorisca la pace
• per la libertà e la ricerca della verità nell’informazione
• per una giustizia riparativa

Cosa abbiamo ricevuto come discepoli di Gesù?
Una comunità con cui camminare. Una comunità in cui si ritrovano le stesse tensioni che ci sono nella società. Ma anche una comunità che fa continuamente memoria della scelta di Gesù di stare nel conflitto senza violenza, preferendo a sé le altre persone, che non ha accolto l’invito di salvare sé stesso nel momento decisivo della sua vita. Questa comunità è motivo di impegno, a volte di sofferenza, ma è anche grembo in cui siamo cresciuti nello Spirito di Dio, è stimolo, sostegno, consolazione, come sperimentiamo ancora una volta in questa giornata.
La compagnia di Gesù per tutti i giorni fino alla sua manifestazione. Gesù, dopo aver offerto la sua vita ai fratelli che volevano strappargliela violentemente, è il vivente, il datore di vita, colui che attira a sé e al Padre l’umanità e il cosmo. Suo è il potere mite e tenace, che tutto porta a diventare un unico corpo armonico di cui lui è la testa (Efesini 1,10), o la donna che finalmente gli corrisponde.
Gesù effonde continuamente il suo Spirito, che ci guida alla vita, aprendo strade sempre nuove. Le forze della morte non possono resistergli, se non per un tempo limitato.
Gesù e il Padre hanno preso casa in noi e noi abbiamo casa in loro. Una casa in cui tornare personalmente e come comunità, in cui trovare orientamento ed energia.
Questa è la nostra condizione benedetta. Questo è il dono che abbiamo ricevuto. Esso ci consente di sopportare la fatica della semina, il tempo dell’attesa, la delusione dei frutti che non maturano ancora e in alcuni casi anche l’opposizione violenta. In tanti luoghi del mondo gli operatori di giustizia e di pace pagano con la vita il loro impegno. Anche nel nostro paese questo è successo e noi ne abbiamo memoria viva. Resistere in modo nonviolento alla violenza ci espone. Ma ci fidiamo di Dio: non solo non perderemo la vita, ma saremo seme fecondo di vita per altri. Nella festa dell’Assunta ascoltiamo un brano del capitolo 12 dell’Apocalisse. La donna, che rappresenta il popolo di Dio e di cui Maria è la personalizzazione, partorisce un figlio. Il drago non riesce a divorarlo e a trascinare tutto nella morte. La donna così fragile davanti ad esso è potente nel suo generare. Il figlio da lei generato esercita la stessa signoria di Dio. Dio ci promette il potere umile di partorire la sua presenza efficace nella storia, nella sproporzione del potere tra la donna e il drago.
La pasqua di Gesù è radice di speranza contro ogni speranza, necessaria per una partecipazione nonviolenta a favore della pace, in questo tempo in cui sembra inevitabile la guerra.

 

*vicepresidente della Caritas di Roma

Un resoconto dell’incontro “Dal conflitto all’ascolto reciproco: sviluppo delle armi o delle coscienze?” del 28 settembre 2024, pubblicato sul foglio “La tenda”.

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