Giovanni Sartori e Cecile Kienge

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di Giampiero Forcesi

 

Ho sempre avuto simpatia e stima per Giovanni Sartori. Mi piace la sua ironia, la sua libertà di pensiero. E’ un toscanaccio della miglior specie. Apprezzo la sua profonda competenza sui temi della scienza politica. L’uomo ha 89 anni. Si è laureato nel 1946 a Firenze. Ha insegnato 15 anni nella prestigiosa cattedra Albert Schweitzer alla Columbia University negli Usa. E’ dottore honoris causa in molte capitali europee e americane. Da molti anni è editorialista del Corriere della Sera. Ha sempre bacchettato sia la destra che la sinistra.

E’ però insopportabile l’atteggiamento che egli ha preso da qualche tempo. Il fatto che non abbia peli sulla lingua va bene, ma non è spiegabile che egli abbia dedicato due editoriali sul Corriere per dire, principalmente, che il ministro Cecile Kienge, dal momento che è specializzata in oculistica, di problemi dell’immigrazione non capisce nulla. E lo dimostrerebbe il fatto che propone lo ius soli, quando questa misura, secondo Sartori, non avrebbe nulla a che vedere con l’integrazione degli stranieri residenti in Italia (e “integrazione” – sottolinea – è il nome e il fine del ministero affidato alla Kienge).

Nel suo primo articolo, che riportammo su c3dem, “Ius soli e integrazione, e una catena di equivoci” (17 giugno), parlò della “Ministra nera” come una “presunta esperta di immigrazione”. Alberto Guariso, avvocato esperto di immigrazione, scrisse su questo sito un corsivo in cui evidenziava quanto fossero scombinate le argomentazioni in cui Sartori era incorso (“Giovanni Sartori e l’Impero Moghul”, 18 giugno). Qualche giorno dopo il politologo fiorentino scrisse una lettera al Corriere in cui lamentava la collocazione che era stata data al suo editoriale: non nelle prime due colonne di sinistra della prima pagina del giornale, come era sempre stato in passato e come era secondo gli accordi. E ventilava la possibilità di decidere di smettere di scrivere sul Corriere. Evidentemente ha poi deciso di continuare.

E, con tutta evidenza, Sartori ha voluto punire il direttore Ferruccio De Bortoli, presentando, il 17 luglio, alla scadenza mensile, un editoriale nuovamente incentrato sul tema dell’immigrazione, e con il medesimo bersaglio dell’articolo precedente (che probabilmente per pudore il Corriere aveva  collocato in una posizione diversa dal solito, facendolo iniziare in prima e proseguire poi all’interno). Il bersaglio è di nuovo il ministro Cecile Kienge (e non importa se in Parlamento proprio in questi giorni si discuteva dell’insulto propinatole dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli). Titolo: “Terzomondismo in salsa italica”. Occhiello: “Il dibattito su immigrazione e integrazione”.

Questa volta De Bortoli l’articolo gliel’ha messo in bella evidenza. Suppongo gli sia costato non poco. Infatti, Sartori ripete, aggravandola, la messa in ridicolo della Kienge: “lei, Kienge, si batte per un ius soli mentre il suo ministero si dovrebbe occupare di integrazione. E non sa, a quanto pare, che l’integrazione non ha nulla a che fare con il luogo di nascita”; “Io ho scritto un libro per spiegare quali siano i requisiti di questa integrazione (…). Capisco che un’oculista non deve leggere (semmai deve mettere i suoi pazienti in condizioni di leggere). Ma cosa c’entra l’immigrazione e l’eventuale integrazione con le competenze di un’oculista? Ovviamente niente”. Ma non solo: allarga la sua improvvida riflessione per centrare altri bersagli: il terzomondismo della sinistra orfana del comunismo, la Fiom, Vendola, la Boldrini, il governo Letta (“il più scombinato, in fatto di competenze, della nostra storia”), e soprattutto Livia Turco, già ministro degli Affari Sociali con il primo governo Prodi: “la ‘pasionaria’ di questo terzomondismo dogmatico e pressoché fanatico”, “consigliere occulto (e ascoltato) di tutti i nostri presidenti da Ciampi in poi”.

Infine – e questa è la perla conclusiva – si pone il seguente interrogativo: “A chi deve la sua immeritata posizione la nostra brava Kienge?”. Per Sartori si tratta di un mistero che sarebbe “davvero da scoprire”. L’Italia è in una situazione economica gravissima, scrive, e “non si può permetter governi combinati (o meglio scombinati) da misteriose raccomandazioni di misteriosissimi poteri. Siamo forse arrivati – si chiede – alla P3?”.

Non so darmi spiegazioni di due editoriali di questo tenore. Sartori dovrebbe essere coerente: lui è esperto, espertissimo, in scienza della politica, soprattutto in ingegneria costituzionale (e di questo scrive da anni sul Corriere); seguendo il suo concetto, non dovrebbe occuparsi di immigrazione, che è sì tema politico, come lo sono tutti quelli che dibatte un parlamento, ma con una sua specificità ben precisa. Oppure, se lo vuole fare, non irrida al fatto che si occupi di immigrazione una persona specializzata in oculistica (la quale è stata, per altro, a lungo assessore al Comune di Modena, che è una delle città italiane con il maggior tasso di immigrati).

Sartori ha un contratto per scrivere una volta al mese un editoriale sul Corriere. Ma evidentemente non sempre ha qualcosa di sensato da dire. Credo allora che farebbe bene a proporre a Ferruccio De Bortoli un accordo diverso: quando avrà qualcosa da dire nel campo dei suoi interessi, lo potrà fare liberamente e l’articolo verrà pubblicato. Eviti, Sartori, che sia il direttore del Corriere a chiederglielo. Su, un po’ di autoironia!

 Giampiero Forcesi

 

Giovanni Sartori, “Ius soli e integrazione, e una catena di equivoci”, Corriere della Sera, 17 giugno
https://www.c3dem.it/6956

Alberto Guariso, “Giovanni Sartori e l’Impero Moghul”, c3dem, 18 giugno

https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2013/06/Ius-soli-e-integrazione-e-una-catena-di-equivoci.-G.-Sartori-cds.pdf

 Giovanni Sartori, “Terzomondismo in salsa italica”, Corriere della Sera, 17 luglio

https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2013/07/Terazomondismo-in-salsa-italica.-Sartori.pdf

 

 

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