I berlusconiani pretendono dunque una soluzione “politica”. Che tenga conto del fatto che il “Cavaliere” è il capo (il “padrone”, in verità) del centrodestra, e che, conseguentemente, non può essere “fatto fuori” per via giudiziaria. Qualunque cosa abbia combinato. Pretesa discutibilissima questa, naturalmente, in uno Stato di diritto, ove tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Tutti tranne Silvio, invece? Non sono certo un costituzionalista, e neppure un giurista, ma credo vada da sé, poi, che il Senato (come anche la Camera) non può costituire una sorta di quarto livello di giudizio. Dopo il tribunale ordinario, la corte d’appello, la corte di cassazione. Se così fosse, avremmo inventato un qualcosa non previsto nella Costituzione. La “Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari”, che dovrà istruire la pratica per l’aula, non è pertanto un organo giurisdizionale, con buona pace di Schifani, il quale, ciurlando un poco nel manico, come si suol dire, ne paragona invece i componenti a dei giudici (sarebbe un “collegio” di ben 23 soggetti!) e urla allo scandalo (le stanno provando tutte, i berlusconiani!) perché taluno di essi ha dichiarato prima della “sentenza” in che modo voterà. Nel caso, dunque, il Senato non dovrebbe, a me pare, che “prendere atto” della decadenza. Non lo facesse, dicono gli esperti non “di famiglia”, assumerebbe una decisione in qualche misura dirompente. Certo, è forse (forse) giusto che vi sia un pronunciamento della competente aula, che a suo tempo ha convalidato i propri “eletti”, sulla sopravvenuta condizione di decadenza. Ma si tratta, appunto, di appurare “tecnicamente” (se posso dire) la sussistenza della nuova condizione. Non certo di mettere in discussione le concordanti sentenze di ben tre gradi di giudizio. Già, ma la legge Severino sarebbe incostituzionale, è il refrain, se applicata a seguito di vicende accadute prima della sua entrata in vigore. Guarda caso, gli uomini del “Cavaliere”, che quella legge l’hanno pur approvata, scoprono cioè soltanto ora che ci sarebbe un problema, al riguardo. E sembrano non avvertire quanto sia strano che il Parlamento (vuoi la competente “giunta”, vuoi l’aula) venga chiamato a sollevare presso la Consulta una questione di costituzionalità di una sua legge, approvata oltretutto soltanto dieci mesi fa. Quanto alla retroattività, in ogni caso, mi convince molto la tesi di chi sostiene che lo spirito della norma in questione pare evidente: impedire che entri in Parlamento, o vi resti, un soggetto non degno perché colpevole di reati “non compatibili” con il ruolo. Ha davvero importanza sapere allora se questi reati sono stati commessi un minuto prima o uno dopo l’entrata in vigore della legge? Ma l’interessato ha il diritto di difendersi, insiste pervicacemente il buon Violante. Già: e che cosa mai ha fatto Silvio Berlusconi in tutti questi anni, pagando parcelle miliardarie a penalisti di fama, bravi e meno bravi, che gli hanno spesso ottenuto, anche grazie a talune leggi “particolari”, il rinvio di non poche sentenze? Quanto poi al tema della grazia, o della commutazione della pena, o quello che sia, c’è una questione un poco imbarazzante: se, stante la nota situazione, dopo la grazia (o simili) numero uno vi fosse, un domani, la necessità di un qualche atto di clemenza numero due?
Tornando, però, all’inizio, se la soluzione ha da essere “politica” tutte le suddette considerazioni valgono poco. Prescindiamo dalle pandette, dunque. Registreremo allora subito che gli interessi, in proposito, di Pdl e Pd sono totalmente divergenti. Se il primo ha infatti l’esigenza di “salvare” comunque sia, per evidenti ragioni, il munifico condannato, il Pd ha o dovrebbe avere l’obiettivo precisamente opposto: liberare finalmente il Paese dall’anomalia politica rappresentata da Berlusconi, che ha fatto soprattutto danni. Chiudere quest’era per far sì che l’Italia torni a essere “normale”. Con una destra di tipo tradizionale e una sinistra non più impegnata a spendere la più parte del proprio tempo a parlare (male) del patron di Mediaset sceso in politica. I grandi opinionisti d’oltr’alpe apprezzerebbero, e i politici europei (e non solo) non si straccerebbero certo le vesti, tra l’altro. “Se si vota la decadenza scoppia la guerra civile”, preconizza l’infatuato Bondi. Ma per carità! Il capo della rinascente Forza Italia è amato allo spasimo dalle sue Erinni, e difeso allo stremo dai suoi numerosi, riconoscenti pretoriani. Degli elettori lo salva, forse, uno su quattro. Quelli leghisti, sempre più frastornati, sopportano, semplicemente, la “collusione” dei loro capi, in attesa che, prima o poi, accada qualcosa. Gli altri gli sono più o meno tutti contro. Circa i due terzi del Paese, dunque, se ne “frega” ormai, se posso pronunciarmi, di Silvio. Una riprova? Il sondaggio del Corrierone (giornale pieno di opinionisti innamorati di una “stabilità” quale che sia, più filogovernativi dello stesso Enrico Letta), l’altro giorno, chiedeva di commentare la frase dell’ex premier, che diceva, più o meno: “l’ipotesi di farmi fuori rappresenta un attacco alla democrazia”. Per quello che può valere, va segnalato che il novantadue per cento ha risposto che dissentiva da Silvio. Evviva! Dopo di che, va da sé che Berlusconi può continuare a “fare politica” anche fuori dalle istituzioni. Ma voglio proprio vederlo, a quel punto!
Vincenzo Ortolina