Un leader non basta. La necessità di una proposta politica

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Se teniamo sullo sfondo il Paese, i suoi problemi, le difficoltà che investono una parte sempre più estesa della popolazione, forse potremmo cogliere in maniera diversa la situazione politica, la crisi evidente dei partiti, i rischi che vive la fragile democrazia. Ma è necessario avere questo sguardo. Se invece ci si pone dentro le dinamiche dei partiti o ci si fa catturare dalle seduzioni dei sondaggi su cui modulare affermazioni e programmi; se si finisce per ascoltare le pance, per blandire il consenso, ebbene per questa strada i problemi resteranno tali e li ritroveremo, ingigantiti, di qui a poco.

È la politica che ha la possibilità di operare le scelte che assicurano un futuro migliore. Ed è per questo che non possiamo rinunciare a ridare fiato alla politica. Riaccendendo la fiducia, riaccreditandone la pratica anche presso le nuove generazioni.

L’instabilità del quadro politico è resa drammatica dal fatto che sullo sfondo sono riconoscibili i segni, evidenti e preoccupanti, di una crisi sistemica che investe in maniera particolare i paesi occidentali, i loro sistemi politici,  la democrazia stessa come prassi e come via per la soluzione  dei problemi e dei conflitti.

Il punto delicato è proprio questo: la crisi in cui siamo immersi, non riguarda i partiti, le loro dinamiche interne, l’incapacità, protratta negli anni, di rinnovarsi: situazione che sicuramente ha dato giustificati motivi a forme di protesta, esasperata, che hanno assunto la veste pericolosa dell’antipolitica. La crisi è più generale.

La crisi è politica

 

La crisi è politica, anzi culturale. Sullo sfondo, infatti, dei molti problemi si riconosce la crisi stessa della politica, la sua debolezza, la sua incapacità oggi di interpretare i cambiamenti, di leggere il quadro sociale, di offrire risposte efficaci, che spingano lo sguardo sui prossimi anni e siano capaci di ottenere consenso.   Le altre crisi, non di minore gravità, in cui si dibattono tutte le formazioni politiche rappresentate nel Parlamento, si originano da questa matrice.

Ma proprio per questo il dibattito interno a un partito va riportato al quadro d’insieme. Il confronto precongressuale − si pensi al PD − o il confronto in vista di una inevitabile successione di un leader che ha occupato la scena per un ventennio − si pensi al PDL − così come la possibilità di far nascere nuove formazioni, sono tutti aspetti in definitiva legati alla capacità che un soggetto politico oggi ha di dare risposte complessive ai problemi del Paese e, insieme, alla crisi della democrazia. Proprio per questo sono necessarie vere proposte politiche, sono necessari progetti che abbiano la qualità culturale, la visione politica e la capacità di rispondere, offrendo un percorso plausibile, ai nodi problematici. La stessa riforma dei partiti è strettamente legata alla capacità di proposta politica.

Occorre mettere in campo proposte in cui sia riconoscibile una filiera virtuosa fatta di: progetto, programma, gruppo dirigente, leadership. Progetto perché è solo un progetto politico che può correttamente creare un movimento ampio, un’adesione che abbia in sé qualcosa i più del solo dato emotivo, progetto perché occorre offrire soluzioni che inevitabilmente non possono essere ottenute in tempi brevissimi, ma allo stesso tempo debbono essere riconoscibili gli obiettivi e le scelte indicate, sapendo che queste ultime elidono spazi di consenso.  Progetto infine perché la politica deve essere capace di offrire una visione, una prospettiva che giustifichi, che renda sopportabili anche i necessari sacrifici dell’oggi. E ancora: programma. Perché il progetto va articolato nelle sue scelte e nei tempi di realizzazione, così come nelle priorità. Il programma traduce e scandisce il progetto. Vi è poi la necessità di saldare intorno al progetto e al programma un gruppo dirigente, quanto più democraticamente espresso. Un gruppo che   sappia suscitare l’adesione al progetto e risultare affidabile nella puntuale realizzazione del programma. A questo punto è importante la presenza e la funzione di una leadership e/o di un leader. Sapendo che non è possibile che il leader in quanto tale sostituisca ed esaurisca in sé, per così dire, i passaggi ora richiamati.

Possiamo anche ritenere che, a determinate condizioni, sia possibile anche partire dall’elemento catalizzatore di consenso che il leader talvolta può essere. Ma importante, anzi indispensabile, per i problemi del Paese come per la questione democratica, è che vi siano anche gli altri ingredienti. Non possiamo accettare una semplificazione che, al di là del successo immediato, non può che lasciare delusi. Vi sono requisiti che risultano indispensabili, che non possono mancare. Competenza, esperienza, conoscenza internazionale, ecc., sono indispensabili. La capacità di comunicare è senz’altro una risorsa. Ma quello che un politologo chiama “espressionismo comunicativo”, lasciato da solo, è fuorviante, o comunque carico di ambiguità, e inutilmente illusorio rispetto i problemi e le soluzioni necessarie.

 

Ricostruire le motivazioni della democrazia

 

Una democrazia viva chiede di essere alimentata di continuo. Ciò che accade sotto i nostri occhi, ogni giorno, mette in luce viceversa il rischio di una democrazia moribonda, incapace di affrontare i problemi, farraginosa, lenta, burocratica … in una parola inutile; almeno questo è quello che appare agli occhi di tanti. Eppure i grandi problemi che nel mondo globale ci dicono della necessità impellente di una diversa distribuzione della ricchezza, dei rischi da ecatombe epocale, di un crescente divario tra popolazioni ricche e popolazioni povere, gli impercettibili canali della finanza mondiale che ben più di quelli politici e diplomatici tirano i fili del globo, ci dicono di un bisogno di politica, di capacità di lettura e di progetto, di nuova visione democratica.

Sullo scenario nazionale ho verificato in questi primi mesi di esperienza parlamentare l’inadeguatezza di una produzione legislativa senza respiro, legata a singoli provvedimenti, all’approvazione di decreti d’urgenza del governo. Inefficaci sono le leggi rivolte a piccoli aspetti o segmenti (che non si possono chiamare riforme) che pure riguardano campi delicati come l’istruzione, il lavoro, l’ambiente, etc., senza la possibilità di porre mano a riforme di sistema. Oggi, con ogni evidenza, ancor più che necessarie.

Ma proprio l’instabilità del quadro politico, l’incapacità di proposta e di progetto  avvilisce la partecipazione democratica ben più di un sistema elettorale che indubbiamente va cambiato ma che, se fosse possibile, nella condizione presente rischia persino di essere peggiorato. La vera riforma riguarda la politica nel suo insieme e, in essa, i partiti, la loro funzione, la loro capacità di realizzare la finalità indicata nell’art. 49 della Costituzione, ovvero “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Così come è sempre più evidente l’urgenza di rivisitare il ruolo e i modi dell’azione sindacale. E per questo i partiti debbono ripensarsi, rinnovare radicalmente la proposta mettendo in campo un progetto e un gruppo dirigente capace di raccogliere consenso. 

Un altro campanello d’allarme è infine dato dal fatto che, nella prossima primavera, avremo le elezioni europee: l’instabilità del nostro quadro politico, il peso di un debito pubblico che viene ormai letto anche come rapina intergenerazionale, l’inconcludenza di molti provvedimenti rispetto ai quali non c’è una vera maggioranza, sono altrettanti fattori che rischiano di far muovere nel Paese una spinta antieuropea, scaricando i guasti della situazione sulle decisioni prese a Bruxelles.

È un quadro che preoccupa e rispetto al quale assistiamo ad una evidente difficoltà delle formazioni partitiche. Un motivo in più per tornare a riflettere e agire, con stile amicale, nello sforzo di riconnessione del legame tra cittadini e politica, nella capacità di dare voce al tanto di buono che c’è nella società, nelle forme associate e cooperative, in un credito che segue una strada etica e solidale, in una imprenditoria che trova, anche nelle difficoltà presenti, la strada di una intrapresa. Si tratta, in definitiva, di dare voce a ciò che c’è, di alzare il tono del confronto, la qualità culturale della politica, di individuare e sostenere risorse e competenze, giovani e non, promuovendo un vero e proprio movimento d’opinione  e di azione.

 

Ernesto Preziosi (Argomenti 2000)

2 Comments

  1. Siamo stanchi nel leggere e nel sentire che sono necessari ‘progetto politico’,programma e poi leader.Ma chi dice queste cose non e’ in grado di dirci niente di ” concreto”:fate proposte, e non solo bla bla bla. E ciò’ avviene perche’ non hanno più’ rapporti con le persone in carne ed ossa.Sono completamente avulse dal contesto sociale perche’ non espressione delle persone-elettori ma nominate dalle nomenclature dei partiti in base al porcellum. Se qualcuno dice invece qualcosa con coraggio e chiarezza (Renzi) si dice che
    non basta un leader.Basta andate a lavorare tra la gente!
    Giuseppe Rossi

  2. Condivido pienamente quanto scritto da Ernesto Preziosi. Vorrei solo porre un problema non da poco. Sono sempre stato sostenitore della necessità di cambiare dall’interno i partiti ed in specifico il PD di cui sono tuttora iscritto; tuttavia, soprattutto le ultime vicende legate al governo delle larghe intese e del congresso mi stanno convincendo della impossibilità di perseguire cambiamenti in questi partiti troppo sclerotizzati e troppo radicati in un modo di fare politica che dovrebbe invece appartenere al passato. Quando Preziosi dice, alla fine dell’articolo, che è necessario dare fiato ad un vero e proprio movimento politico d’opinione e di azione, cosa intende? Io lo vorrei intendere come uno sforzo di dare vita, forse per la prima volta in Italia, ad un movimento politico che nasca dal basso e che sappia esprimere e realizzare nel concreto un progetto nuovo (!!!) che si ponga l’obiettivo di trasformare nel profondo il modo di fare politica nel senso che diceva appunto Preziosi nel suo articolo. Abbiamo sempre assistito al nascere, morire, aggregarsi, disaggregarsi di forze politiche sempre a partire dai vertici: ultima la disaggregazione del PdL e, probabilmente, del PD dopo il congresso, ma sempre su questioni di potere e sempre dai vertici. Perchè non tentare di costruire davvero qualcosa che parta dal basso e non solo da una elitte ristretta, ma da una base popolare? Perchè non pensarci? Altrimenti rischiamo di parlarci addosso con elucubrazioni sicuramente ineccepibili, ma senza incidere sulla realtà politica che ha raggiunto livelli di inadeguatezza impensabili solo qualche anno fa. Dante Mantovani

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