Spero tanto che Salvatore Vassallo segua questo sito e risponda. In una sua recente intervista al Corriere prende infatti le distanze da una qualche legge che regolamenti le primarie di partito: “I problemi delle primarie non si risolvono per legge”. A difesa della sua deregulation, Vassallo chiama in causa le tradizioni della Dc e del Pci, che le suppone senza democrazia interna e nelle mani dei capibastone; non si scandalizza troppo dei soldi regalati all’elettore napoletano ricordando, forse, gli spaghetti di Achille Lauro; e compie un salto azzardato quando paragona il mercimonio del voto delle primarie napoletane con la richiesta di un consiglio del nome da votare al segretario del vecchio Pci emiliano. Una pratica, quella di consigliare un nome da votare, presente in tutte le elezioni democratiche del mondo. Vassallo insomma, gli impicci napoletani, i brogli e il voto comprato e a Roma gonfiato, li ritiene “…una dinamica purtroppo nota di un voto organizzato”, da digerire e sopportare con pazienza perché non c’è niente da fare. Infine fa capire che le primarie aperte sono frutto della provvidenza e della migliore democrazia possibile. Ma meglio lasciarle senza regole. Quelle regole di “trasparenza” che invece suggerisce il suo amico Stefano Ceccanti in una intervista all’Unità, che condividendola in pieno consiglio di leggere: “Sì alle primarie per legge e chi perde non può candidarsi“.
Salvatore Vassallo, al pari di Stefano Ceccanti, è un ex fucino. E come Stefano Ceccanti è professore universitario, con esperienze uliviste e politiche nel Pd. Oggi è componente della sua Commissione di garanzia. Per diversi motivi non è dunque uno sprovveduto. Forse lo sprovveduto sono io dal momento che il titolo della sua intervista lo avrei completamente capovolto: I problemi delle primarie si risolvono per legge. Ove per legge suppongo una regolamentazione che non obblighi i partiti a fare le primarie, ma che, ispirata all’art. 49 della nostra Costituzione, al comunitarismo e personalismo delle sue radici, alla trasparenza e alla trafila democratica delle candidature, indichi intanto chi è abilitato a preparare le liste dei candidati e con quali deleghe. In secondo luogo che preveda un “organo indipendente di controllo” – come propone Ceccanti. Sono forse regole utili queste, che non delegittimano le primarie, ma che rilegittimano il ruolo del partito.
Con un approccio vagamente sociologico e di costume, più che politologico e procedurale, mi sto infatti ogni giorno di più convincendo che difendere le primarie del Pd senza ripensamenti, non significhi automaticamente difendere il ricambio generazionale di un partito e la democrazia rappresentativa. Non ho mai infatti creduto che siano state le primarie da sole a portare nuove leve e nuova aria nel Pd , ringiovanendo la sua rappresentanza e la sua cultura politica. C’è della fisiologia anagrafica di mezzo. E c’è da rivolgere un pensierino alla generazione nata e formata nell’Ulivo, che tuttavia ha frequentato le vecchie sezioni (piene !) Pds-Ds e Pp-Margherita, forse anche le loro scuole di formazione, con una sensibilità politica nuova” post 1989”, più aperta ai segni dei tempi nuovi. Una generazione che ha preteso protagonismo, spintonando dalla base i vertici di partito in quel momento classe dirigente responsabile ed “esaminatrice” seria, che le ha aperto le porte facendola entrare.
Tuttavia una volta che la palla delle scelte e delle valutazioni di competenze, di profili etici e professionali, di qualità culturali e democratiche è passata nelle mani del “popolo delle primarie” e della minoranza riflessiva di “selettori” – come si definisce con una brutta parola elettrica – in certi casi anche di passanti occasionali, ai molti è sembrato un avanzamento della democrazia interna al partito. Se non della democrazia tout court. Non erano forse le primarie un metodo che rompeva i giochi dei capo correnti e dei notabili centrali e locali, delle oligarchie, e permetteva il ricambio? Non si praticava forse quella sognata democrazia diretta dell’Atene di Pericle, buona per una Città–Stato di 15-20 mila abitanti? C’è stata e c’è ancora in queste euforiche valutazioni sulle primarie di partito un errato convincimento. Quello che trasferendo alle primarie la scelta della rappresentanza e scaricando sui votanti le responsabilità delle scelte, si identificava il popolo delle primarie col “popolo sovrano”. Con i cittadini – opinione pubblica. Con i liberi votanti, alcune volte senza appartenenza alcuna e postideologici, forse depoliticizzati e vaganti senza meta e senza tessera, disinteressati e forse anche apolitici e “contro”. Insomma questo popolo, mentre era un sostituto formalmente pilatesco delle responsabilità di scelta dirigenziali, diventava anche l’unico capro espiatorio di candidature sbagliate: “ …ma come…non l’avete scelto voi ?”.
Comunque stiano le cose, alla fine si deve essere d’accordo: questo metodo sconfigge le oligarchie, le correnti (di tessere e non quelle di idee), i capibastoni e i notabili locali. E sconfigge soprattutto i padroni del partito, come la variegata destra italiana dei nostri giorni insegna. Ora, che l’esistenza di partiti oligarchici e sotto padrone è un pericoloso danno per la democrazia politica, non ci dovrebbero essere dubbi. Ma che i rimedi estemporanei e deregolamentati siano stati forse peggiori dei mali che si volevano curare, comincia a emergere quando si valuta la salute del partito politico. Nei fatti è proprio il partito politico nel suo insieme che con le primarie sta morendo sgonfiandosi al suo interno. Come suggerisce la metafora di La Fontaine, il Pd mi somiglia alla sua rana: che più si sporge e si gonfia al suo esterno per fare paura, tanto più presto dopo tanto sforzo scoppia e muore. Che il Pd da leggero sia diventato man mano liquido e oggi aeriforme e volatile, buono per tutti gli usi e per tutte le rivendicazioni ma sempre più centralizzato, sono ormai in molti a riconoscerlo. Ed è la sua classe dirigente rissosa e in crisi di ruolo che è diventata superflua assieme alla sua organizzazione territoriale. Questa è la verità del Pd di oggi, che ha importato le primarie miliardarie Usa, dove sono regolamentate per bene. Ma dove com’è noto non esiste il partito ma il comitato elettorale, e dove il fair play anglosassone lascia dentro il partito, sovente con cariche di responsabilità, i candidati sconfitti. Se è dunque il partito politico che deve sparire trasferendo la democrazia sulla post-videocrazia della web influencer e dei milioni di follower, e se bisogna depositare in cantina come ferri vecchi i rapporti interpersonali e i mondi della vita familiari, amicali, lavorativi, associativi e partitici, è bene esserne consapevoli. In questo caso bisogna ringraziare Bernard Manin che ci ha già avvertiti per tempo sul fatto che il partito come corpo intermedio è ormai inutile, in quanto la democrazia di oggi è fondata sul rapporto (comunicativo) diretto tra leader e opinione pubblica. Ma se invece si ha ancora fiducia sulla sua funzione – costituzionale – allora bisogna correre ai ripari iniziando a regolamentare le primarie, rendendole complementari al partito politico e non sostitutive. E subito dopo rilanciare e rivitalizzare, anche nelle scelte, le sezioni e i circoli di base.
La crisi del partito politico, ormai portato alla sua debolezza identitaria e strutturale grazie all’accresciuta centralità e visibilità mediatica del leader, si tocca ormai con mano. Soprattutto quando diventano leader “senza qualità” alcuni campioni dello sport, conduttori televisivi, cantanti, attori di teatro, ex ballerini, faccendieri e …comici. Tutto questo per il semplice motivo che manca una legge sulle primarie che riconsacri nel proprio ruolo di responsabilità nelle scelte la dirigenza di un partito, il popolo ormai risicato degli iscritti, i territori, i simpatizzanti, attraverso eventuali albi ove ci si registra anche da esterni lo stesso giorno delle elezioni. Insomma far funzionare nella scelta la democrazia interna al partito come ci ricorda il dimenticato art. 49 della nostra costituzione non è un passatempo inutile. E se questi sono i “filtri” che Vassallo non vuole in mezzo ai piedi, perché secondo lui significa aver da fare con un partito chiuso, ebbene evviva i “filtri” !
Nino Labate
16 Marzo 2016 at 12:30
Posto questa replica da parte di Salvatore Vassallo:
Non ho mai scritto o detto che sono contrario a regolare le primarie per legge. Ho anzi ricordato che la prima e più articolata proposta di legge depositata alla Camera in materia ha le prime firme di Veltroni Castagnetti e mia. Si tratta peraltro di una proposta a cui ha contribuito anche Stefano Ceccanti e che lui aveva depositato al Senato. Ho solo fatto notare che è difficile impedire con una legge che qualcuno chieda ad altri per chi votare e che (forse, perché se il voto rimane segreto la prova non c’è) si adegui alle indicazioni che ha ricevuto. Tanto è vero che l’unica norma di legge tra quelle oggi in vigore applicabile per analogia al caso napoletano sarebbe il divieto di campagna elettorale in prossimità dei seggi. Per questo, la regolazione per legge delle primarie, pur essendo utile per altre ragioni, non può risolvere i problemi (piccoli o grandi nelle dimenioni, non si sà) da cui è partita la discussione degli ultimi giorni. Si tratta di un argomento molto concreto e preciso (l’unico rilevante nell’intervista che cita) che Labate mi pare eviti proprio di considerare. SV
22 Marzo 2016 at 13:20
Ho letto in ritardo sul Messaggero del 14 marzo la sofferta e lucida intervista di Emanuele Macaluso.
Per chi come me sa distinguere il rimpianto e la nostalgia, inevitabilmente sempre sul sottofondo di tutti i meridionali, da una analisi verace e spassionata sul presente, bisogna andare a rileggersela.
Anche Macaluso appartiene al Novecento…anzi al Novecento socialcomunista
E anche Macaluso è alcune volte ancorato al passato.
Spesso tuttavia si spinge coraggiosamente sul futuro.
Ma altrettanto più spesso guarda al presente con intelligenza e sensibilità politica rara.
Conoscendomi come un “critico delle primarie”, devo ringraziare un mio amico che mi ha suggerito di leggere questa sua intervista.
Con la quale il “vecchio” Macaluso invia, a proposito di questo metodo , un accorato consiglio a Renzi:
“(…) o punta sul partito oppure sulla via di primarie forti e ben fatte “, concludendo che secondo lui
“(…) ci vuole un partito forte in grado di guidare il processo politico delle primarie”.
Comprendendo bene che il suo “partito forte” è un partito organizzato nel territorio, con una sua classe dirigente all’altezza del momento storico che attraversano l’Italia e l’Europa , che discute , che ha una sua identità culturale, che lascia spazio al dibattito e alle minoranza interne, che si sforza di mediare, e che sopra tutto ha una sua democrazia interna.
Naturalmente è inutile aggiungere che questo passaggio lo condivido totalmente.