Sabato, a Roma, abbiamo avviato il processo che porterà, entro il 2018, allo scioglimento dei Cristiano Sociali. Lo abbiamo fatto con discrezione, orgoglio e responsabilità. La discrezione è stato un tratto distintivo del cammino, durato all’incirca 25 anni, di una piccola formazione di credenti impegnati nella Cisl, nelle Acli, nelle realtà scout dell’Agesci, nell’Azione Cattolica, nel variegato mondo del volontariato e della cooperazione sociale di matrice cristiana, che agli inizi degli anni ’90, decidono di costituire un Movimento per rappresentare, nello schieramento progressista che affronterà di lì a poco la destra di Berlusconi, Bossi e Fini, il patrimonio di cultura politica e di presenza sociale del cristianesimo progressista.
L’impegno dei cristiani che si erano formati alle importanti novità del Concilio, con la grande sfida di una politica intesa come “la più alta forma di carità”, il principio di laicità, la scelta degli ultimi e dei poveri come destinatari privilegiati del messaggio evangelico, non poteva rischiare la dissoluzione o la irrilevanza nel dibattito pubblico e nell’azione politica, di fronte alla disgregazione dei contenitori del cattolicesimo politico. Sto parlando di personalità come Gorrieri e Carniti, Scoppola e Ardigó, Giancarlo Zizola e Carlo Alfredo Moro, Paolo Prodi e Franco Bentivogli, Bruno Manghi e il pastore valdese Maselli, Tonini, Passuello e Gabaglio, Franco Chiusoli, Mario Colombo, Donata Lenzi, Marcella Lucidi, Riccardo della Rocca, Luciano Guerzoni. E tanti altri. Esponenti di un cristianesimo sociale popolare e vitale, trasgressivo e coraggioso, (in un tempo in cui certe cose nella Chiesa del Card. Ruini non si potevano dire e neppure pensare come invece si può fare adesso, che c’è Papa Francesco) innervato e diffuso nelle comunità pastorali, nel Sindacato e nelle mille forme di impegno solidale per testimoniare ideali al servizio di una democrazia fondata sul lavoro, sulla giustizia sociale, sui principi di uguaglianza, di legalità, di sussidiarietá.
Sabato aleggiava tra noi una certa malinconia, ma anche l’orgoglio di chi sa di aver fatto del proprio meglio per adempiere alla missione delle origini. Passando per la esaltante stagione dell’Ulivo di Romano Prodi, abbiamo partecipato alla fondazione del Partito democratico, con l’intento di unire le diverse anime del riformismo, per dare una nuova prospettiva e una diversa classe dirigente all’Italia e all’Europa. Restiamo convinti che il Pd resti una grande idea, se fondata sul riconoscimento delle differenze generazionali, di genere, di cultura politica, di sensibilità sociale e territoriale, sull’idea che non esiste un partito o una fazione del capo, che il valore della comunità politica viene prima delle ambizioni e delle esigenze dei singoli o delle correnti, che occorre mantenere saldo il dialogo e il rapporto con i cittadini, con quelli che fanno più fatica e con le forme organizzate della partecipazione e della mediazione sociale.
Abbiamo adempiuto al nostro compito. Il Pd può ancora crescere in un contesto di rinnovato centrosinistra e di riconciliazione con le istanze e le domande del suo mondo di riferimento, e per farlo non ha più bisogno di “componenti” fondate su un presupposto di cultura religiosa o su identità del passato. Ma noi non ci rottamiamo, per la semplice ragione che le radici di una formazione democratica e la sua cultura politica e sociale, per quanto di minoranza, non si possono “rottamare”. Si possono ricambiare i gruppi dirigenti per ragioni di anzianità o di rinnovamento, ma non si possono abbattere i depositi di significati e le tracce di senso del cammino importante e plurale di una storia.
D’altra parte, il mondo che un tempo ha costituito le fondamenta del nostro Movimento, oggi è profondamente cambiato. Il cristianesimo sociale e democratico, oggi, vive e sviluppa più direttamente il rapporto con la politica e le sue istituzioni, pone meno l’accento sulla rappresentanza e punta più direttamente al dialogo negoziale con il Governo nazionale e locale, per svolgere appieno le sue funzioni di promozione sociale, di tutela delle comunità locali e di crescita politica della società civile.
Detto questo, l’avventura dei cristiano sociali non si arresterà. Non abbiamo a che fare con un ceto politico da archiviare o rimuovere e non dobbiamo consegnare alla memoria una piccola vicenda del passato. I cristiano sociali, senza la maiuscola, sono il filo rosso di una storia in cui non cesseranno di riconoscersi le esperienze, le speranze e le testimonianze ricche di senso e di passione, di tante realtà dell’impegno sociale, sindacale e politico del futuro, motivate dall’inquietudine di una fede vissuta nel costante riferimento al Vangelo dei piccoli e degli ultimi, che Dio ama.
Quanto a me, che ho avuto la responsabilità e l’onore di guidare questa piccola comunità politica, per un periodo non breve, forse potevo fare di più per assicurare una navigazione meno precaria e frugale, ma ho fatto tutto il possibile per adempiere al mandato delle origini e per mantenere con dignità e coerenza il profilo di lungimiranza e di credibilità dei fondatori. Di noi, spero resti una reputazione positiva e un ricordo di coraggio, onestá intellettuale e buona politica.
Mimmo Lucà
16 Maggio 2017 at 13:55
Pur nel dispiacere per la conclusione della vostra esperienza, mi auguro – anzi, ne sono certo – che le persone che hanno condiviso questo percorso ideale continuino a dare il loro importante contributo alla vita della nostra comunità civile: occasioni e luoghi non mancano… Buon cammino!