L’Azione cattolica italiana, celebra i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e lo fa con momento di festa e di preghiera a Roma in Piazza San Pietro la sera dell’11 ottobre prossimo , insieme al papa e preceduto da una fiaccolata. Ma non vuole essere una semplice commemorazione: “La Chiesa bella del Concilio” (è il titolo che è stato dato alla manifestazione e che il presidente Franco Miano ha voluto con forza sottolineare), vede la grande attualità dell’assemblea dei vescovi convocata da Giovanni XXIII. E s’interroga per invitare “noi cristiani ad imparare a dire e ridire le meraviglie di Dio nella storia degli uomini”. Per il presidente dell’Ac “ l’intreccio tra fede e vita sia capace di impregnare la vita della Chiesa. Questo – aggiunge – deve essere il ruolo dei laici, anche nel prossimo sinodo.”. L’obiettivo che si prefigge l’Ac in questi anni (e non solo con quest’appuntamento) è cercare di far capire come i tempi che viviamo, che pur in molti si ostinano a considerare sfavorevoli per il senso religioso (secolarizzati) sono pur sempre i nostri tempi e il Concilio ci ha insegnato ad amarli e considerarli come il luogo privilegiato del nostro impegno di cristiani. “Ecco ora il momento favorevole” (san Paolo).
Ma se la memoria di quel grande evento non fosse rigeneratrice non servirebbe a nulla, ha detto con forza Raniero La Valle nella conferenza stampa di presentazione: “Abbiamo celebrato i 150 anni dell’unità di Italia e cosa è cambiato nel Paese?”. Domanda retorica. Se si tratterà solo di una commemorazione non avremo fatto nulla, insiste. Il Concilio, secondo il giornalista tra i principali protagonisti del racconto di quei giorni, è stato un evento di portata eccezionale, già anticipato dal discorso introduttivo di Papa Giovanni XXIII il famoso “discorso alla luna” (di cui La Valle ricorda il grande impatto che ebbe su chi l’ascoltò, per caso, in diretta) per tre temi di fondo: l’introduzione perentoria della categoria della “lettura dei segni dei tempi”; l’anticipazione messianica della fine della distinzione tra la paternità e la figliolanza nella fede (lo stesso papa si definiva solo un fratello maggiore); il nascente protagonismo del popolo di Dio, invitato a tracciare un cammino, a farsi partecipe della storia della salvezza, a prendersi l’impegno di portare la buona novella nel mondo indipendentemente dal ruolo che si assume nella Chiesa. Per l’allora direttore dell’Avvenire d’Italia, i vescovi chiamati al Concilio si opposero poi a inserire nei documenti il concetto che “al di fuori della Chiesa non c’è salvezza” perché, riferirono del sensum fidei dei fedeli delle proprie diocesi, che non accettavano affatto questo concetto. In qualche modo, dal basso, anche i discepoli sono stati ispiratori di questo Concilio.
Piuttosto che affannarsi a discutere se il Concilio sia stato in continuità o in discontinuità con la storia della Chiesa, il direttore della rivista dell’Ac Dialoghi Piergiorgio Grassi, pensa allora che sia importante capire cosa fare affinché i testi letti e riletti interroghino i tempi presenti, e scoprire così ciò che è conforme al Concilio, ciò che può svilupparlo e cosa manca per attuarlo in maniera completa.
Ma proprio per questo, con un velo di pessimismo, un altro vaticanista intervenuto alla conferenza stampa, Gianfranco Svidercoschi, pone un interrogativo: “non so fino a che punto la nuova evangelizzazione porterà il marchio del Concilio. Ho letto il documento preparatorio del prossimo sinodo e non mi pare ci sia questa ispirazione di fondo”.