Qui le 25 pagine dell’Agenda Monti in discussione. Il dibattito è aperto. Ci sono due europeismi oggi, dice Stefano Fassina, responsabile economico del Pd: quello mercantilista e quello progressista (“Europeista sì, ma mercantilista”, l’Unità 27 dicembre). L’europeismo mercantilista è quello del Partito popolare europeo e di Mario Monti, che “aggrava la recessione, la disoccupazione e le iniquità e, quindi, aumenta i debiti pubblici ovunque”; e che vuole “uno Stato sociale minimale, un welfare povero”. L’europeismo progressista punta a politiche di bilancio anticicliche, a eurobonds per investimenti nella green economy, a unire insieme Keynes e Schumpeter. Inoltre, oggi, in Italia, dice Fassina, “proporre come unico europeismo possibile la versione declinata dagli interessi più forti, oltre ad aggravare gli squilibri economici, impoverisce la democrazia e dà fiato all’antipolitica e a chi vuole tornare indietro”. Poi, in un’intervista a Avvenire, Fassina dice alcune altre cose: dice che la campagna elettorale del Pd non sarà contro Monti, perché la prossima dovrà essere una legislatura costituente in cui Pd e Monti saranno “dalla stessa parte”; ma dice che le politiche del lavoro di Monti fanno pensare che egli “vuole indebolire il potere contrattuale dei lavoratori e le loro retribusioni” (“Ma Monti non è un nemico. Anche lui vuole cambiare l’Italia”). Su la Repubblica, Barbara Spinelli critica l’Agenda Monti (“Moderatamente europeo”) osservando che nell’Agenda mancano due parole, democrazia e laicità, e che, nella sua netta presa di distanza da Vendola, Monti mostra di non sapere che Vendola “impersona la questione sociale che fa ritorno in Occidente, assieme alla questione dei diritti e di un’altra Europa”. Quel che Monti “pare ignorare è che pernicioso non è Vendola; è il malessere che denuncia”.
Andrea Riccardi, intervistato dal Corriere (“Niente patto dell’ammucchiata. Con noi solo chi aderisce all’Agenda”), non si sbilancia sulla futura alleanza della Lista Monti con il Pd; Andrea Olivero, intervistato dal Secolo XIX (“Verso liste uniche. Il Prof sarà garante dei nomi”), dice invece esplicitamente di puntare, con la Lista Monti, all’alleanza col Pd e di voler fare di più per il welfare. Dario Franceschini parla di un prossimo governo di grande coalizione Pd-Monti e poi di un passaggio verso un nuovo bipolarismo più serio (Il Foglio, “Monti passa i limiti se dà il nome a una lista”, titolo un po’ forzato, ndr). Luca Ricolfi, su La Stampa (“Il Professore e le due anime del Centro”), discute le tre possibili opzioni di Monti (restare neutrale, fare una lista da affiancare alle altre di centro, guidare un unico listone di centro), suggerisce la seconda ma ritiene che Monti sceglierà la terza. Per Alfredo Reichlin tra Monti e il Pd ci potrà essere una utile sfida su come innovare meglio l’Italia (“Il Pd e Monti, la vera sfida dell’innovazione”, l’Unità). Stefano Ceccanti, sempre su l’Unità, indica che C’è un terreno d’intesa possibile tra Lista Monti e Pd, soprattutto sull’elezione diretta del presidente del parlamento europeo e su una riforma elettorale che rafforzi i governi e rimuova i poteri di veto. Come Ceccanti, anche Stefano Menichini vede molta collaborazione un po’ di competizione tra Monti e il Pd, e osserva che “non c’è praticamente nulla del cosiddetto programma Monti che non sia entrato, nel tempo, nella cultura e nella prassi politica e di governo del centro-sinistra italiano”; però “per meritarsi il governo dell’Italia, il Pd deve dimostrare di saper far meglio di Monti le cose che si sono cominciate a fare nel 2012 e che i democratici hanno sostenuto” (“Cosa unisce e cosa divide Monti e il Pd”, Europa). Su Il Foglio viene spiegata “La versione di Ichino”, il senatore del Pd che lascia il partito e aderisce al nuovo movimento pro-Monti.