I cattolici e la Terza Repubblica: quale contributo dei cattolici? Se lo chiede il direttore di Aggiornamenti sociali, il gesuita Giacomo Costa. Ripercorre gli ultimi mesi, drammatici per il clima turbinoso in cui si sono svolti, per gli scontri, l’emergere di stili personali diciamo “rozzi”, lo stallo accompagnato da tensioni e disegni al limite dell’eversione. Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale di due degli elementi cardine della legge elettorale (e con la sostanziale caduta, o almeno dell’annunciata fine delle larghe intese finisce la Seconda Repubblica e una nuova generazione di quarantenni si avvia a guidare un’ipotetica Terza Repubblica, non solo nel M5S (si pensi a Letta, Alfano, Renzi, Civati, Salvini). Lo stesso Letta ha detto che “il nostro Paese quest’anno ha compiuto una svolta generazionale senza precedenti nella storia repubblicana italiana”. Il problema è ora di vedere dove e come si andrà a finire. Come ricorda il padre Costa, infatti, non è infrequente sentir dire “Ci vorrebbe papa Francesco anche in politica”. Certo, soggiunge il direttore di Aggiornamenti sociali, “da tempo si invoca una nuova generazione di politici cattolici e una rinnovata presenza dei cattolici in politica”. E aggiunge: “è chiaro che il Papa spinge non verso una posizione moderata, ma verso atteggiamenti, scelte e quindi anche politiche autenticamente profetiche”.
Anche la rivista dei padri Dehoniani di Bologna Il Regno dedica l’editoriale del n. 2/2014 alla politica italiana. Il direttore Gianfranco Brunelli sottolinea che sta nascendo una “nuova Repubblica” (lui la chiama seconda perché pensa che stiamo uscendo dalla prima, altri invece pensano che una prima transizione sia già avvenuta ed ora si tratti del passaggio dalla seconda alla terza). In ogni caso siamo in un momento di passaggio che interpella seriamente e severamente i cattolici. Brunelli nota: “Matteo Renzi proprio nella sua diversità mostra anche i nostri limiti. Limiti di un cattolicesimo politico troppe volte subalterno ai compagni di strada di turno”.
Un interessante contributo alla comprensione delle radici e dello spirito di papa Bergoglio è offerto dai due saggi che vengono dall’Argentina e appaiono sullo stesso numero del Regno, scritti dal teologo Carlos Maria Galli e da Virginio Bressanelli vescovo di Neuquen e vicepresidente della conferenza episcopale. Francesco, scrive il teologo, ricorda spesso e condivide la convinzione di Paolo VI sulla “dolce e confortante gioia di evangelizzare” e “incarna la Chiesa samaritana della misericordia, pensata dalla teologia, agìta dalla pastorale e insegnata dal magistero dell’America latina” . E il vescovo conclude: “Si vede che Francesco è mosso dallo Spirito. Il Papa ha riportato gioia, speranza e nuovo slancio in molte persone, non solo cattoliche, che vedono in lui un uomo di Dio, un leader morale e un segno che molte cose nel mondo possono migliorare”.
Anche il mensile dell’Azione Cattolica Segno nel mondo parla della politica nel Belpaese e intitola “Sindaci, prima ed ultima frontiera”. Giuseppe Notarstefano ammonisce che lo sviluppo è un gioco di squadra. Gianni di Santo intervista Gian Candido De Martin, ordinario di Diritto amministrativo alla Luiss e presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto V.Bachelet. “Una buona politica, spiega, non può che essere il frutto di un mix di fattori che assicurino, insieme, la selezione di rappresentanti e responsabili istituzionali qualificati e la capacità di elaborazione e gestione di scelte in funzione del bene comune possibile”. Oltre a competenza e trasparenza occorre che dirigenti politici e cittadini , tanto più se credenti, riscoprano il senso della “carità politica”. Oltre a ricordare le grandi figure di Bachelet e la Pira, la rivista dell’AC presenta e intervista vari amministratori locali (da Ferrara ad Angri, a Cuneo) in cui credenti sono impegnati nella politica locale ed operano “col grembiule”, cioè al servizio degli ultimi. Anche numerosi altri articoli della rivista che è destinata a tutti i soci adulti dell’AC raccontano esperienze di vita vissuta in ascolto e al servizio del prossimo. Ed è la più bella lezione di politica possibile.
Spirito e Vita, una rivista di spiritualità edita da novant’anni, offre ai suoi lettori (e lettrici, religiosi e laici) riflessioni ed esperienze sulla vita interiore, comunitaria e sul dialogo con Dio. Ora dedica un numero intero (il primo del 2014) e specialmente l’editoriale di Armando Matteo ad una semplice domanda: “Perché leggo Spirito e Vita?”. In realtà Dario Fridel aggiunge anche “perché scrivo in Spirito e Vita?”. Il fascicolo, arricchito da alcuni splendidi passi di Paolo VI e da un testo di Papa Francesco del mercoledì 23 ottobre, è una bellissima meditazione sul significato della vita spirituale e del dialogo-comunicazione con i fratelli. Le “consacrate” infatti (che sono le principali destinatarie della rivista) non sono certo isolate e chiuse al dialogo e alla riflessione comune. E una semplice, agile ma profonda pubblicazione come “Spirito e vita” le aiuta ad essere se stesse e a crescere.
Sono ormai 34 anni (il 24 marzo) dalla morte di Oscar Romero, ucciso mentre celebrava l’Eucarestia. Ucciso perché amico e difensore dei poveri. Lo ricorda il teologo domenicano (e Maestro generale dell’Ordine dal 1992 al 2001) Timothy Radcliffe in un testo pronunciato al Westminster Abbey Institute e pubblicato in larga parte su Adista-documenti (n 3 -2014). Ricorda Radcliffe: “è stato ucciso perché era paladino dei poveri. Non era un rivoluzionario radicale, un vescovo alla Che Guevara. Per molti versi, era un rappresentante del clero cattolico tradizionale… Chiamava Roma ‘madre, maestra e patria’. Il suo motto era ‘sentir con la Iglesia’. Come è arrivato a farsi uccidere? E’ stato ucciso perché ha detto la verità … e per Romero si trattava in primo luogo della parola di Dio. Il regime militare salvadoregno temeva la Bibbia. Molti contadini la nascondevano sottoterra perché il solo fatto di possederne una avrebbe potuto portare al loro arresto e alla loro morte …”.
Sulla forza trasformatrice e “rivoluzionaria” della Parola di Dio hanno riflettuto vari teologi in questi anni. Proprio in questi giorni viene pubblicato (su Appunti di teologia, dicembre 2013) un testo inedito di don Germano Pattaro in cui spiega che prima del Concilio la Bibbia era considerata più come una dottrina su cui non sbagliarsi. Il Concilio invece(Dei Verbum 2, 4) “ha riflettuto su Dio in maniera diversa. Si deve ricordare – ha affermato – che Dio si fa conoscere attraverso il suo agire nella storia. E’ questo il luogo del suo manifestarsi … Il parlare di Dio non è didattico, per una dottrina. Quando parla egli si rivolge all’uomo, lo incontra e gli cambia la vita. E ne nasce una storia, di salvezza, di amore …”.
(a.bert.)