“Al cuore della democrazia”, partendo dalla testa

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intervista a Pasquale Bonasora, a cura di Vittorio Sammarco

“Cura, accoglienza, condivisione, solidarietà, sono le caratteristiche di tante esperienze diffuse in tutto il nostro Paese, e sono anche le parole chiave che ritroviamo nei documenti preparatori delle Settimane sociali, così come nell’enciclica Laudato si’, in quell’idea di ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia per l’oggi e per le generazioni future. Lo dice in questa intervista Pasquale Bonasora, presidente di Labsus, presente a Trieste e che ha alcune idee praticabili per rigenerare la democrazia nel nostro Paese. Interessante confrontarsi.

L’Amministrazione della Cosa Pubblica, vista così, serve “per la tutela di interessi generali, riconoscersi in principi condivisi e, quindi, (è) negazione della competizione quale misura dei rapporti economici e delle relazioni sociali”. È come mettere il dito nelle piaghe di oggi, del nostro sistema sociale ormai definito vincente. Un “nuotare in controtendenza”: quanto e in che misura pensi che sia realmente fattibile?

 

È stato un successo l’evento con il quale recentemente sono stati celebrati a Bologna gli Stati generali dell’amministrazione condivisa, esattamente 10 anni dopo la presentazione (sempre a Bologna) del primo Regolamento-tipo per la collaborazione fra cittadini e istituzioni per la cura dei beni comuni. La soddisfazione si è colta, netta, negli editoriali sul sito di Labsus (www.labsus.org/) e se né è approfondito il percorso che da quel giorno ha introdotto il Regolamento per più di 300 comuni italiani.

Ne abbiamo voluto parlare con l’attuale presidente dell’organizzazione Pasquale Bonasora. Labsus (e il fondatore Gregorio Arena è tra i protagonisti), infatti, discuterà dei temi della cittadinanza attiva e della partecipazione, che saranno centro del dibattito nella 50ma Settimana sociale dei cattolici in Italia, in corso a Trieste, con il titolo, appunto, “Al cuore della democrazia”.

 

Bonasora non pensi che il numero delle amministrazioni che hanno adottato (almeno sulla carta) il Regolamento siano ancora poche rispetto agli oltre 8mila comuni? Quali sono gli ostacoli che impediscono una piena attuazione dell’Amministrazione condivisa?

Il successo del Regolamento è legato al bisogno delle pubbliche amministrazioni di avere strumenti capaci di rispondere ai bisogni espressi e valorizzare le capacità latenti delle nostre comunità. La rigidità dell’amministrazione tradizionale impedisce di trovare risposte adeguate a bisogni che mutano sempre più velocemente in un sistema di relazioni complesse che non valorizzano le risorse di cui ogni persona è portatrice. L’Amministrazione condivisa, oggi pienamente riconosciuta come modello amministrativo, avrà piena attuazione quando tutti gli attori in campo saranno consapevoli che non si tratta semplicemente di un percorso amministrativo ma di un processo culturale e politico che investe il modo di intendere i ruoli di ciascuno di noi. Il Regolamento e i Patti di collaborazione stanno diventando strumenti di ridefinizione dello stato sociale, la loro diffusione cresce nella misura in cui assume la consapevolezza che possono essere utilizzati per trovare risposte a vecchie e nuove fragilità che le istituzioni e le comunità di persone possono trovare solo attraverso la collaborazione.

 

Per attivare processi culturali fondamentali per incentivare questi percorsi, scrivi che bisogna «coltivare quella dimensione relazionale basata s

ulla fiducia e condivisione delle responsabilità». Ecco, “fiducia e responsabilità”: non pensi che attualmente siano due risorse sempre più rare nel popolo italiano? Non vedi uno scetticismo e un’astensione dai meccanismi decisionali (vedi il voto) sempre più marcati?

Penso che ad essere in crisi sia un modello che si regge solo sull’esercizio del potere e dell’autorità. Nonostante possa apparire vero il contrario, viste anche le proposte di riforma costituzionale. Dal nostro osservatorio ogni qual volta si sottoscrive un patto di collaborazione si attivano, quasi naturalmente, processi che alimentano il capitale sociale delle nostre comunità, si alimenta fiducia e condivisione di responsabilità. Si mette in discussione il modello basato sull’azione unilaterale e verticistica dell’amministrazione.

I dati sono lì a dimostrarlo, quasi 10.000 Patti di collaborazione sottoscritti in tutta Italia, 1 milione di persone, fuori dai tradizionali circuiti associativi, attivi nelle azioni di cura che diventano nuova linfa anche per i corpi intermedi del nostro Paese. E allora fiducia e responsabilità sono indispensabili per prendersi cura della nostra democrazia se è vero che, in particolare negli ultimi anni, i Patti di collaborazione oltre che occuparsi di cura degli spazi hanno sollevato lo sguardo verso l’inclusione sociale attraverso il recupero di periferie degradate, di spazi abbandonati al degrado, di contrasto al caporalato, intervenendo lì dove l’esclusione provoca diseguaglianza e disaffezione verso la democrazia, a partire dall’esercizio del diritto di

voto.

 

Non credo possa definirsi vincente un modello che alimenta esclusione e diseguaglianza. Gli effetti si vedono nel nostro paese e a livello globale con quella che papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”. Non è il tempo di chiedersi quanto sia fattibile ma impegnarsi con lo stesso rigore etico e la stessa passione civile che ha spinto i padri e le madri della nostra Costituzione a immaginare il nostro futuro dentro le carceri del regime fascista, che ha portato Altiero Spinelli a scrivere il manifesto di Ventotene sulla nuova Europa mentre era al confino. Credo che in questo sforzo sarà determinante il contributo delle giovani generazioni, della loro creatività.

 

Labsus da sempre sostiene che questo modello non può essere una visione politico/partitica segnata con i vecchi criteri novecentisti, oggi, considerati desueti. Niente appartenenze di vecchio conio. Bene: ma non pensate che una visione solidaristica e che coinvolge il cittadino attivo sia propria di una visione della società oggi rimarcata, sebbene a volte in maniera debole, dalla sinistra? Di fronte a questo discrimine come vi ponete?

È necessario risignificare le istituzioni democratiche costruendo un nuovo modello che promuova i beni relazionali e torni a considerare l’azione politica come dimensione permanente dell’azione sociale. Alla crisi di credibilità e consenso verso le forme tradizionali della partecipazione c’è chi risponde cercando di coniugare elaborazione teorica e concretezza, azione e idealità e chi cerca rifugio nella semplificazione populista che nasconde, invece di risolvere, i problemi reali in nome di un rapporto senza mediazioni tra chi esercita il potere e chi lo subisce in maniera spesso inconsapevole. Con il risultato che vede crescere nelle nostre comunità, ogni giorno di più, i livelli di povertà, assoluta e relativa. Eppure, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che non funziona la pretesa di assorbire dentro vecchi schemi le nuove forme di partecipazione al fine di riscuotere un consenso stabile e duraturo perché i timori di una società costretta a convivere con la precarietà si ripercuotono sugli stessi protagonisti della scena politica bruciando quelle che sembravano, solo un attimo prima, inespugnabili fortezze elettorali. Intorno all’idea di società della cura che i cittadini attivi stanno costruendo in tutto il Paese attraverso l’esercizio della autonoma iniziativa prevista dalla Costituzione si potrebbe tracciare una nuova rotta, elaborare una nuova cultura politica in cui riconoscersi e il rapporto tra fiducia/potere/responsabilità rappresentare un indicatore di efficacia di quei processi che permettono ad ogni persona di essere protagonista attivo nella risposta ai bisogni propri e delle comunità di riferimento.

 

Quali sono i punti principali che si ritrovano nell’ultimo Rapporto che avete pubblicato (e che è scaricabile dal sito labsus.org)?

Con l’ultimo Rapporto abbiamo cercato di fare il punto sullo stato di salute dell’Amministrazione condivisa nel nostro Paese attraverso il contributo di studiosi, ricercatori, operatori sociali. Abbiamo dato spazio anche alle storie, a quelle persone che chiamiamo artigiani dei patti volendo sottolineare l’aspetto creativo del processo collaborativo che richiede un impegno attivo, la necessità di “sporcarsi le mani” nelle attività di cura di un bene comune. Lo abbiamo intitolato “Al cuore dell’Amministrazione condivisa” per indicare lo stretto rapporto che unisce i patti di collaborazione ai principi costituzionali di eguaglianza, solidarietà e sussidiarietà. Accanto alla riflessione sulla necessità di consolidare il modello, per favorire una crescita, soprattutto culturale, tanto della pubblica amministrazione che del terzo settore e dei cittadini attivi. Trovano spazio, in questa chiave di lettura, alcuni nuovi ambiti di intervento dei patti di collaborazione: la tutela dell’interesse ambientale come interesse generale e, quindi, declinabile nelle forme di Amministrazione condivisa; la riduzione dei rischi legati ad eventi calamitosi in un territorio fragile come quello del nostro Paese; la costruzione delle comunità energetiche rinnovabili e solidali.

 

Cosa ti aspetti dal confronto con il mondo che sarà presente a Trieste per la 50ma Settimana sociale dei cattolici in Italia, e quale sviluppo dare a questo lavoro?

Nel percorso di avvicinamento all’appuntamento di Trieste emerge con forza un aspetto.

Di fronte alle fratture che attraversano la nostra società e arrivano a toccare la quotidianità di ciascuno non è detto che a prevalere debbano essere l’impotenza e la rassegnazione. Come? Labsus propone risposte legate alla cura dei beni comuni. Un’azione che ha un valore locale e globale al tempo stesso, perché anche il più piccolo gesto di cura non ha mai un impatto limitato al nostro quartiere, alla nostra città, ma investe il Paese, l’Europa, l’intero pianeta. È questo lo spazio di frontiera che Labsus ha scelto da sempre di abitare. Insieme a tanti compagni viaggio, alcuni più vicini altri ancora diversi e lontani ma sempre guidati dalla volontà di costruire relazioni significative. Perché per noi quella frontiera è, inevitabilmente, uno spazio di condivisione e non di chiusura. Cura, accoglienza, condivisione, solidarietà, sono le caratteristiche di tante esperienze diffuse in tutto il nostro Paese ma sono anche le parole chiave che ritroviamo nei documenti preparatori delle Settimane sociali, così come nell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, in quell’idea di ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia per l’oggi e per le generazioni future. Allora Trieste, città di frontiera per definizione, può davvero rappresentare il crocevia per immaginare forme di collaborazione con la Chiesa locale, con le diocesi e le parrocchie, per guardare con occhi nuovi il nostro tempo e il nostro spazio e trovare risposte concrete alla sfida che abbiamo davanti, il contrasto ad ogni forma di esclusione e diseguaglianza.

One Comment

  1. Grazie per questa interessante intervista. A Parma abbiamo da poco approvato il nuovo Regolamento sulla partecipazione che crediamo rappresenti un segnale importante e un passo avanti per il coinvolgimento della cittadinanza nella progettualità amministrativa. Per una sintesi dei contenuti, si veda la notizia:
    https://www.comune.parma.it/it/novita/notizie/partecipazione-a-parma-un-nuovo-regolamento

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