Alcune considerazioni sul disastro del Ponte Morandi di Genova

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La ricerca delle responsabilità del crollo del Ponte Morandi di Genova non sarà facile. Come nei disastri aerei non esiste quasi mai una causa unica del disastro, bensì una serie di concause che, in accordo con la ben nota legge di Murphy (se qualcosa può andare male, andrà male nel momento peggiore, ndr), producono degli effetti devastanti. È acclarato che il Ponte Morandi avesse qualche problema strutturale. Le continue manutenzioni negli anni immediatamente successivi alla costruzione lo dimostrano in maniera inoppugnabile. Questa situazione è, peraltro, comune a quasi tutte le infrastrutture del mondo. La progettazione non è una scienza esatta, bensì una tecnica che quasi sempre contiene approssimazioni e semplificazioni per giungere al risultato o semplicemente per raggiungere una finalità di tipo compositivo-estetico. Queste approssimazioni sono residuali e infinitesime, ma la teoria delle catastrofi ci insegna che in determinate situazioni anche un infinitesimo diventa rilevante. Esistono poi una serie di concause che contribuiscono al disastro. In primo luogo le condizioni atmosferiche. È chiaro che un ponte non dovrebbe cadere per una tempesta anche violenta, ma è pur vero, e il caso del Takoma Bridge lo insegna, che in alcune situazioni limite anche delle raffiche di vento possono causare un cedimento strutturale. L’altro elemento da considerare è l’usura delle strutture causato dal sovraccarico. I progettisti avevano a che fare con uno scenario trasportistico completamente diverso da quello attuale. Un trasporto con peso superiore alle 35 tonnellate era un fatto eccezionale negli anni sessanta. Diventa un fatto frequente oggi. Un carico di 35 tonnellate in movimento genera tensioni alle strutture del ponte che, se frequenti, le possono indebolire. Inoltre il flusso costante di traffico ordinario, molto superiore a quanto era ragionevole prevedere al momento della costruzione, sottopone la struttura a continui stress.

I monitoraggi e le manutenzioni servono a controllare ed adeguare le strutture alle mutate condizioni e all’usura del tempo. È da chiarire se le manutenzioni e i monitoraggi fossero sufficienti a prevedere e, quindi, a prevenire il disastro e questo sarà oggetto dell’indagine e dell’individuazione delle responsabilità.

Come nei disastri aerei qualche disastro poteva essere evitato con una adeguata manutenzione dell’aeromobile, ma altri disastri non dipendono dalla manutenzione, ma da una serie di concause occasionali. Ogni infrastruttura ha un rischio di cedimento strutturale che, per quanto piccolo, è diverso da zero. Quando una serie di circostanze si concatenano si verifica il disastro. La probabilità di essere colpiti da un fulmine è bassissima in ottanta anni di vita, 1/10000, tuttavia nel mondo ci sono 1000 morti ogni anno per i fulmini. Pochi di noi hanno conosciuto persone che sono morte a causa di un fulmine e quello di essere colpiti da un fulmine non è uno dei pericoli che percepiamo più rilevante, tuttavia si può morire per questa causa.

Così i ponti possono anche crollare per causale concorrenza di eventi negativi, anche se più frequentemente questo accade per carenza di manutenzione e di monitoraggi.

Un’altra considerazione va fatta sui costi della sicurezza, della manutenzione e del monitoraggio. Per avere una sicurezza assoluta occorrerebbero in generale costi talmente elevati da essere considerati insostenibili. Esiste quindi un trade off tra sicurezza e costo di cui tenere conto, il che significa accettare una probabilità, anche se molto bassa, di disastro. Deve essere il regolatore pubblico, nel caso delle infrastrutture, a individuare dove fissare l’asticella, ma in questo senso la legislazione italiana è abbastanza carente e generica e andrebbe con urgenza modificata adeguandola ai moderni assunti del risk management.

Toccherà alla magistratura stabilire se si tratta di un disastro evitabile, quindi dovuto ad errore umano, o se una concatenazione casuale di eventi abbia condotto ad un disastro che rientra nel dominio della legge empirica del caso.

In ogni caso bisogna però segnalare la vetustà del patrimonio infrastrutturale italiano e il deficit di manutenzione di questo patrimonio. I tagli lineari alla spesa pubblica hanno colpito maggiormente queste spese, perché le manutenzioni sono meno evidenti e generano meno consenso. I politici preferiscono costruire il nuovo, perché questo comporta crescita di immagine, inaugurazioni, voti. Sono restii a investire in manutenzione, semplicemente perché non porta voti. Questo orientamento delle politiche nel lungo periodo crea un territorio e delle infrastrutture fragili. Oggi non abbiamo tanto bisogno di nuove infrastrutture (anche se bisogna fare quelle che servono e solo quelle che servono!), ma abbiamo tanto bisogno di investimenti in manutenzione, monitoraggio, sicurezza.

Occorrerebbe, quindi, per legge, anche per evitare pericolose derive nella spesa infrastrutturale inutile, imporre una regola aurea per la quale, ad esempio, la spesa per nuovi investimenti infrastrutturali non possa essere superiore al doppio delle spese per la manutenzione, il recupero e il monitoraggio di quelle esistenti. A cascata, anche i contratti di servizio per le concessioni pubbliche dovrebbero indicare una soglia di spesa obbligatoria per gli interventi di manutenzione e di monitoraggio, soglia di spesa sufficiente a riportare la probabilità di un disastro a livelli trascurabili.

Così facendo, non potremo certo evitare in assoluto che i disastri avvengano, ma potremo sicuramente ridurli e renderli meno frequenti! Questo lo dobbiamo alle vittime del crollo di Genova e a tutte le vittime dei molti disastri avvenuti negli ultimi anni in Italia. Celebrare la loro memoria significa anche e soprattutto operare per evitare che nel futuro si verifichino disastri e lutti simili.

 

Domenico Marino

Professore di economia dell’ambiente e del territorio del CDLM in Architettura – Restauro dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Direttore del Master in economia dello sviluppo e delle risorse territoriali culturali e ambientali del Dipartimento Patrimonio Architettonico e Urbanistico dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

 

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  1. Questo contributo è di taglio tecnico generale e come tale fornisce un contributo all’ampia discussione che si è, giustamente, aperta dopo il tragico crollo del ponte Morandi. Resta però necessario capire fino in fondo – e ciò spetta in primis alla Magistratura – se ciò che è successo fosse evitabile e, in caso affermativo, chi ha la responsabilità di non aver fatto quanto era in suo dovere o potere perchè non accadesse ciò che è accaduto. Va sempre ricordato che, al di là dei problemi di qualsiasi tipo precedenti o in corso, generali o particolari, vige sempre un principio di precauzione e di prudenza che deve essere scrupolosamente applicato ove non si abbia una certezza quasi assoluta in merito alle garanzie di sicurezza. Il crollo del ponte Morandi – in base a quanto affermato dal Magistrato inquirente – non si è verificato in concomitanza di un altro evento esterno imprevedibile o non gestibile che possa aver accentuato un problema esistente ma sotto controllo, ma è stato dovuto a un cedimento strutturale. Ciò significa – tra l’altro – che se in quel giorno e in quell’ora sul ponte fossero state presenti incolonnati centinaia di mezzi (chissà quante volte è successo in passato) oggi potremmo piangere il doppio, il triplo o il quadruplo delle già troppe vittime. Non si tratta certo di prendere scorciatoie demagogiche o lanciare accuse a caso o fare promesse della cui realizzabilità non si ha certezza o di mettere sotto accusa tout court e tutti insieme tecnici e persone in qualche modo afferenti alla vicenda o ancora spargere sfiducia nel valore delle competenze tecniche e scientifiche, senza le quali il nostro Paese non sarebbe quello che è oggi .Ma di garantire una celere giustizia alle persone che hanno subito una morte atroce e assurda, ai loro familiari e al Paese. Un Paese che si vuole concepire come civile ed evoluto non potrebbe mai accettare che questa tragedia finisca nel calderone delle fatalità, senza con ciò cedere a facili giustizialismi ma procedendo con rigore e serietà e corretta attribuzione delle eventuali responsabilità. Anche perchè -per concludere – è anche dalla precisa ricostruzione di ciò che è successo che è possibile migliorare tecniche, comportamenti e procedure che scongiurino il ripetersi di sciagure come queste.

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