Ancora caos nelle elezioni venezuelane

| 0 comments

di Salvatore Vento

Ancora una volta i risultati elettorali del 28 luglio delle elezioni presidenziali venezuelane sono stati comunicati dall’autorità elettorale governativa (Cne)  senza nessun controllo reale delle schede scrutinate; mentre i primi dati parziali erano nettamente favorevoli al candidato dell’opposizione, alla fine Maduro è stato dichiarato vincente con il 51% dei voti. Da un controllo di oltre l’80% dei verbali (actas electorales) digitalizzati di ogni Stato, e in possesso dell’opposizione, si evince la vittoria di Edmundo Gonzalez che ottiene il 67%, e Maduro il 30%.

Alle elezioni si è arrivati impedendo alla vera leader dell’opposizione, Maria Corina Machado, che aveva vinto le primarie della sua coalizione alternativa, di presentarsi alle elezioni perché dichiarata, arbitrariamente, non eleggibile dal governo. L’opposizione ha quindi dovuto trovare all’ultimo momento, un altro candidato disponibile, l’ex diplomatico Edmundo Gonzalez.

Per capire meglio la situazione socio politica del Venezuela occorre ricordare almeno l’ultimo ventennio di storia. Già le elezioni dell’Assemblea Nazionale per il periodo 2016-2021, avevano visto, dopo Chavez, la prima vittoria dei partiti d’opposizione e Juan Guaidò, si proclamò perciò Presidente provvisorio del Venezuela, in attesa di libere elezioni presidenziali. Per contrapporvisi Nicolas Maduro promosse successive elezioni nel maggio 2018 alle quali non parteciparono i partiti d’opposizione; il risultato è stato la permanenza di un dualismo di poteri: quello governativo (chavista) e quello dell’Assemblea eletta da tutti. L’ultimo governo, esempio di lunghi anni di bipolarismo tra democristiani e socialdemocratici – diretti da leader carismatici (e anche uomini di cultura) come Rafael Caldera e Romulo Betancourt – fu quello di Carlos Andres Perez (1989-1993) che per far fronte ad un duro periodo di crisi economica e per avere i finanziamenti dal Fmi adottò politiche economiche draconiane che provocarono grandi manifestazioni conclusesi con morti e feriti.  In questo clima di esasperazione popolare emerse la figura del tenente colonnello Hugo Chavez, che prometteva la fine dei regimi corrotti e più giustizia sociale; organizzò anche un colpo di stato che non ebbe fortuna e fu incarcerato. Dopo Perez vinse le elezioni una coalizione inedita promossa dal vecchio Rafael Caldera (1994-1999) con storici esponenti della sinistra rivoluzionaria (fra tutti ricordo Teodoro Petkoff poi nominato ministro). Per ristabilire la pace e la concordia nazionale, Caldera fece uscire Chavez dal carcere, che a sua volta cominciò a fare politica proponendosi come l’uomo del popolo in grado di combattere la miseria e la corruzione. Costituì un proprio movimento che poi sfociò nel “Partito socialista unito del Venezuela” (Psuv) col quale cercò di mettere insieme le sue idee di confuso comunismo primitivo con quelle di Simon Bolivar e ridefinì il paese come “Republica Bolivariana de Venezuela”. Si impossessò di tutti i gangli del potere, nazionalizzò le imprese e quella più importante del petrolio (Pdvsa), la trasformò nel principale potere economico clientelare del suo partito. Promosse ampi programmi di piccoli sussidi sociali, propagandati come scelte socialiste (del XXI secolo), che però accentuarono la dipendenza nei confronti dello stato, aumentarono la povertà, senza creare alternative occupazionali. Politiche populiste che ebbero consensi elettorali maggioritari alle elezioni del 2006 e del 2012.

Il suo successore, Nicolas Maduro, costruì la propria immagine trasformando Chavez in un mito paragonabile a quello di Simon Bolivar e accentuandone le caratteristiche dittatoriali. I risultati, per la prima volta nella storia del paese – che anzi era sempre stato luogo di accoglienza di cittadini provenienti dagli altri paesi latinoamericani – furono la fuga della parte più attiva dei venezuelani all’estero che oggi si calcolano in circa 8 milioni, in larga misura in Colombia, ma anche in Perù, negli Stati Uniti e in Europa in Spagna.

Una vera e proprio emergenza umanitaria, di cui si conosce poco. Luce ed acqua vengono forniti a giorni stabiliti; le tessere alimentari provocano continue code nei negozi. Cresce la povertà e la disoccupazione, alla moneta nazionale, il bolivar, viene preferito il dollaro o il peso colombiano (e anche l’euro). La crisi socio economica di proporzioni inaudite arriva all’impossibilità di fornire benzina in tutto il paese (code intere notte per fare il pieno), che è veramente paradossale considerate le enormi riserve di petrolio esistenti.

Tutto ciò sempre accompagnato da episodi di diffusa violenza e di criminalità.

Maduro aveva parlato di bagno di sangue in caso di sconfitta e in questi giorni sta avvenendo proprio così, ma a causa dell’annuncio di una vittoria inesistente.

 

Lascia un commento

Required fields are marked *.