Il Papa è ritornato, con una lettera ai Vescovi e ai Superiori maggiori dei vari Istituti religiosi, a parlare di pedofilia all’interno della chiesa. Non deve essere usata nessuna copertura agli scandali che riguardano il comportamento degli ecclesiastici dentro le comunità cristiane, nei seminari, nei collegi ecc.
Dice il Papa, indicando le famiglie: “Non c’è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano di minori”. Anche se queste denunce dovessero suscitare “scandalo”. Insomma, dice il Papa, non ci devono essere coperture verso situazioni così delicate: è finito il tempo della omertà e delle giustificazioni che un tempo si andavano cercando, per evitare lo scandalo davanti alla gente.
Questa condotta della chiesa, severa e intransigente, era iniziata con Benedetto XVI. Ma le domande che si pongono sono anche altre: come fare per riconoscere questi impulsi nella propria realtà del profondo? Come riconoscere e superare questi possibili orientamenti individuali, nelle persone che si orientano al ministero?
Finora, il seminario è stato un luogo di preparazione “spirituale”, con studi di teologia e di scienze religiose. Ma dove si sperimentano i propri sentimenti, le affettività, il rapporto con la propria maturazione sessuale?
Se prevale, come spesso capita ancora, l’idea del traguardo sacerdotale, ignorando se stessi e le proprie pulsioni caratteriali, quale grado di “sincerità” possono offrire gli interessati?
Questo è il vero problema che si pone davanti alle situazioni denunciate dai due ultimi Papi.
Non so veramente chi possa essere capace di preparare i giovani al traguardo sacerdotale, non solo tenendo conto del desiderio degli interessati (la vocazione), ma pensando anche alle capacità di annuncio del vangelo che il popolo di Dio si attende dai suoi sacerdoti.
Per diventare sacerdoti è necessario non soltanto maturare spiritualmente, magari con tante nozioni di teologia; è necessaria soprattutto una crescita in ‘umanità’ a partire da se stessi, una crescita in sincerità, in autenticità. E’ necessaria una maturazione interiore, che può avere origine soltanto con il vangelo predicato da Gesù, cioè con una sequela nei confronti di Gesù stesso, vissuta con amore, con felicità,; una sequela che include necessariamente la gioia di essere al servizio di un popolo che, da Abramo a Mosè, da Gesù a Paolo, è l’oggetto dell’amore di Dio.
A mio avviso, le regole di severità richiamate da due ultimi pontefici, sono necessarie per tagliare i rami secchi o malati, ma non sono ancora la risposta alla idoneità dei singoli individui che richiedono di essere ammessi al sacerdozio.
Va considerata la maturità dei singoli, espressa però alla luce della sequela a Gesù intesa come amore verso il popolo, verso questa umanità di poveri, verso quel mondo conosciuto e amato dallo stesso Gesù.
don Enrico Ghezzi