Ancora una divisione sindacale

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di Sandro Antoniazzi

Ci risiamo. I sindacati, di fronte alla manovra finanziaria del governo, si presentano ancora una volta divisi.

Cgil e Uil dichiarano uno sciopero per il 29 novembre, a cui non partecipa la Cisl.

Questo sciopero è figlio di un duplice errore.

Innanzitutto, è sempre sbagliato da parte dei sindacati sostenere una causa, una lotta, andando divisi.

Tra i lavoratori, più che del merito dei problemi, si finirà per discutere della divisione stessa.

Difficilmente in queste condizioni si otterrà un risultato positivo; è possibile, anzi, che se ne ottenga uno negativo.

E’ da richiamare poi l’inusitato comportamento della Uil; da qualche tempo si accoda, senza la minima distinzione, alle posizioni della Cgil, rinunciando a un ruolo autonomo, che aveva in passato, di svolgere una funzione spesso utile dell’avvicinamento di posizioni tra le due maggiori organizzazioni.

Che le idee siano confuse lo dimostra l’affermazione di Bombardieri, segretario generale della Uil, alla conferenza stampa sulla manovra: a suo dire, la riduzione degli oneri sociali non è rilevante perché non aumenta il salario dei lavoratori.  Ma questa è sempre stata una richiesta del sindacato, perché una diminuzione degli oneri comporta maggiore spazio per le rivendicazioni salariali.

All’interno della Uil cominciano a levarsi segni di insofferenza per questo atteggiamento subordinato, che potrebbero sfociare in futuro in manifestazioni più corpose.

Il secondo limite di questo sciopero sta nelle critiche alla proposta.

Esse bene si riassumono nella dichiarazione di Landini che è necessaria una “rivolta sociale”.

Non si tratta di una parola sbagliata; essa esprime sinceramente il pensiero di Landini.

La sua visione raramente è da sindacalista; il suo carattere è piuttosto da agitatore sociale.

Mettere insieme tutte le critiche, le rivendicazioni, tutte le cose che non vanno e che non piacciono, e fare di questo il centro della protesta, questo sembra l’ideale di Landini.

La rivolta sociale non esprime richieste precise, non sceglie priorità, non distingue tra le varie opzioni: mette tutto assieme per poter unire il più ampio arco di folla, di popolo, contro il nemico.

La concezione sindacale è tutto l’opposto: selezione degli obiettivi, ben definiti e studiati, con una calcolata possibilità di ottenere dei risultati.

La protesta non ha bisogno di fare scelte, perché il suo scopo sta nel dimostrare che c’è una (grande) forza avversaria, una forza che è contro.

Anche la posizione della Cisl, al di là del merito dei contenuti, merita di essere considerata.

La Cisl giustamente non concorda con le posizioni di Cgil e Uil, in quanto prive di un vero carattere sindacale.

Però dovrebbe farsi sentire maggiormente, fare delle proposte “sindacali” alle altre organizzazioni e qualora fossero rifiutate avrebbe fondate ragioni per distinguersi.

Rimanere silenziosa non è una carta vincente a livello di massa e dell’opinione pubblica: mostrare una posizione più decisa sarebbe utile anche sul piano di una possibile ripresa in futuro del dialogo.

E’ impressionante a riguardo come il tema dell’unità sia scomparso non dico dall’agenda, ma persino dal linguaggio dei sindacati.

Vorrei sommessamente ricordare che c’è stata un’epoca in cui l’ideale dell’unità era l’obiettivo principale di queste organizzazioni.

Ma senza unità – almeno minima, l’unità d’azione (che, come diceva Gino Giugni, è come una quarta confederazione) – non si può pensare di ottenere grandi risultati. E pertanto tutte le confederazioni dovrebbero rimettere questa prospettiva all’ordine del giorno.

Sono enormi i problemi del lavoro aperti e che richiederebbero una forte iniziativa sindacale: la precarietà e i bassi salari, il rapporto lavoro-vita, la formazione dei lavoratori in larga misura insoddisfacente, la partecipazione nelle imprese.

E poi esistono sempre le grandi discriminazioni e condizioni di subordinazione: la questione femminile (che trova nel lavoro una delle situazioni di maggiore deficit), quella degli immigrati (nella maggior parte lavoratori di serie B), quella dell’estraneità e dipendenza dei lavoratori che induce alla passività.

L’assenza del sindacato e delle sue battaglie su questi grandi problemi si sente profondamente nella società italiana che necessita di un riequilibrio sociale che solo un sindacato unito può dare.

Assistiamo invece a una nuova divisione e all’orizzonte si profila anche il referendum della Cgil che riguarda il famoso Jobs Act, problema ampiamente superato e prevalentemente ideologico, che contiene ulteriori motivi di contrasto.

E’ ora per il sindacato di cambiare strada, perché così non va da nessuna parte e certamente non si opera nell’interesse dei lavoratori.

 

 

 

 

 

 

 

 

One Comment

  1. Giusto Sandro Antoniazzi. A mio avviso Landini oltre a fare l'”agitatore sociale”, mira a candidarsi come futuro leader politico della sinistra. Ma tra il radicalismo della CGIL (e della UIL) e la posizione che oggettivamente sembra sempre (o quasi) strizzare l’occhio al peggiore governo dell’Italia repubblicana c’è un mondo.
    Che significa dire che quella sul cuneo fiscale è una grande conquista? Il cuneo è stato solo confermato, non c’è stato alcun miglioramento IRPEF rispetto all’anno scorso, e se così non fosse stato, ci saremmo trovati di fronte a una decurtazione di reddito. E poi, nulla sul referendum sull’autonomia e sul premierato; sul salario minimo contro; posizioni non chiare e ambigue sull’immigrazione. L’autonomia sindacale, che giustamente la CISL rivendica non è solo autonomia dalle scelte sbagliate di CGIL e UIL, ma anche da quelle del governo. E tutto questo lo dico da iscritto CISL sempre più deluso dal mio sindacato.

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