L’ondata di scandali che l’Italia ha fatto registrare nell’ultimo anno ha investito in maniera esemplare anche Reggio Calabria. Una delle più belle e storiche città calabresi ha assistito al commissariamento della sua amministrazione comunale con molta indignazione. Ma nello stesso tempo con tanta rassegnata compostezza. Tutto ha riguardato il déjà vu, il déjà senti, accompagnati da una drammatica impotenza. L’atto governativo, per le sue devastanti conseguenze sulla fiducia cittadina verso la politica, non è davvero da sottovalutare. Nel mentre alimenta ulteriormente la cultura del sospetto fra i ceti sani della città, rende consapevoli non solo del deficit di etica pubblica, ma anche del diffuso disinteresse delle èlite locali verso l’impegno civico. Se a questo si aggiunge la crisi economica che l’Italia attraversa – gli studenti in piazza, la disoccupazione, i licenziamenti – lo scenario reggino con la sua classe media che precipita verso il basso e con oltre il 50 % dei giovani senza lavoro, fa pensare al peggio.
Il ripristino delle regole della democrazia politica, la crescita economica e il riscatto sono possibili solo se si reagisce e se si invertono abitudini e paure inveterate sporcandosi con coraggio le mani.
Al di là della ‘ndrangheta, per il commissariamento di Reggio ci sono anche responsabilità collettive che bisogna capire bene.
I fenomeni che hanno favorito il default comunale non sono solo di natura sociale, ma anche culturale. E se veramente si vuole la rinascita della città, bisogna portarli alla luce e trarne alcune conseguenze non più rinviabili. Reggio è giunta a un bivio, e può invertire la marcia solo se la speranza si unisce alla consapevolezza.
L’eclissi della classe dirigente locale
L’informazione dei media sul commissariamento non è andata al di là della nota “zona grigia” della politica. Pochi hanno ricordato il fatto che se c’è una mela marcia non significa che tutte le mele sono marce. E ancor di meno sono coloro che si sono interrogati su probabili concause. Ripercorrere la storia sociale della città, per scoprire i motivi che hanno permesso il diffondersi dell’illegalità, è superfluo. Esiste sin dall’Unità d’Italia una copiosa e seria saggistica. Cinematografia, letteratura, e giornalismo hanno negli anni fatto il resto. La cronaca recente ha poi aggiunto ulteriori scenari, facendo anche riemergere dallo sciocchezzaio il positivismo lombrosiano sul “carattere” e il Dna del calabrese. Siamo anche in presenza di una serie di luoghi comuni che in piena crisi economica possono acuire razzismo e conflitti etnici inimmaginabili.
Le domande allora sono: la crisi della democrazia civica cittadina e il clima di sfiducia che si respira riguardano solo gli eventuali collateralismi della ‘ndrangheta con l’amministrazione pubblica locale, la sua presenza nelle attività commerciali della città, nell’economia, o c’è dell’altro? E se c’è, si potrebbe, questo altro, esplorarlo, concentrando le analisi sulla eclissi della classe dirigente locale, sui valori individualistici esaltati negli ultimi vent’anni di trasformismo rampante e subentrati alla storica tradizione di solidarietà, onestà e sobrietà popolare, accoglienza, ospitalità cittadina? E quanto pesa e ha pesato l’aristocratico apartheid della classe dirigente? E infine: si potrebbe spiegare, questo altro, con la difficoltà antropologica di creare fermento associativo con finalità politiche o economiche? con la mancanza di una tradizione di impegno comunitario e col declino del “capitale sociale”?
La vecchia e la nuova borghesia cittadina
Sono domande che interpellano l’humus storico-culturale della città assieme alle trasformazioni subite dai costumi locali nell’epoca della globalizzazione e del web.
Ci si limita solo ad osservare che il fenomeno della ‘ndrangheta a Reggio è sempre stato noto : si sapeva, si diceva, si scriveva; “…maturava da tempo” come scrive la Consulta diocesana dei laici. Ripetute inchieste, saggi, articoli, reportage, frequenti allarmi, denunce e lettere preoccupate della Chiesa locale, lo facevano di volta in volta emergere portandolo alla coscienza dell’opinione pubblica locale e nazionale. Quello che invece si dimenticava è che, alla progressiva espansione delle “mani sulla città”, ha fatto seguito il progressivo arretramento di ciò che rimane della borghesia virtuosa cittadina: intellettuale, professionale o imprenditoriale che sia. Mi riferisco a quella onesta borghesia (ex) agraria, ora terziaria, senza connivenze. Pulita e laboriosa; cattolica e laica. Che, pur di destra moderata e conservatrice sin dall’unità di Italia, si è tuttavia sempre “sporcata le mani” con l’impegno politico: basti ricordare i nomi di Spanò Bolani, Tripepi, Genoese Zerbi, Mantica, De Blasi, Plutino…Priolo, Andiloro, Siles, Barbaro, Romeo, Spoleti, Salutari, Barone Adesi, ecc. Famiglie con nipoti e pronipoti oggi lontani da Reggio, e cognomi quasi scomparsi anche dall’elenco telefonico.
La nuova borghesia ha invece nel suo insieme scelto il disinteresse e l’apatia. Il rifiuto della politica. Defilandosi man mano dall’impegno pubblico e chiudendosi nei recinti dei club èlitari, nei circoli di società, in quelli privati, sportivi e culturali. Emigrando. Mandando i propri figli a studiare fuori per poi lasciarli fuori. Ma spalancando in questo modo le porte della cosa pubblica ai parvenu carrieristi e approssimativi, gattopardi della nuova politica e della possibile “contiguità”.
Il disinteresse delle èlite: i giovani
Non sembri dunque peregrino il fatto che, se siamo di fronte al deterioramento del tessuto etico della democrazia locale, le responsabilità vadano anche ricercate nel declino arrendevole delle elite cittadine. Si va a votare, ma il giorno dopo ci si lava le mani come Pilato. Certo, le generalizzazioni sono fuorvianti. Molti sindaci e consiglieri comunali presentano profili di comprovata onestà. E molti altri provengono dalle libere professioni e dalla cultura. Ma, con qualche eccezione, tali avanguardie hanno sempre avvertito di essere isolate dal resto della città, chiudendosi alla fine in autoreferenzialità lontane dai problemi di cambiamento. E non vanno, certo, dimenticati gli esempi in controtendenza dei movimenti giovanili anti’ndrangheta, laici e cattolici, da cui si spera un’iniezione di etica pubblica una volta che sceglieranno di “occupy” Palazzo S. Giorgio con le elezioni, facendo un passo oltre il volontariato e i cortei.
Il risveglio
Con i tempi che corrono prendere le distanze dal neo-liberismo sotto traccia non è difficile. La dolorosa crisi economica comincia però a suggerire che rifugiarsi nell’assistenzialismo e nello statalismo è deleterio. Non è male a tale proposito andare a rileggersi le belle relazioni della 46° Settimana sociale dei cattolici tenutasi proprio a Reggio Calabria. Lo Stato svolga il suo ruolo. Dia sicurezza ai territori. Assicuri libertà ed eguaglianze. E i partiti politici, senza i quali la democrazia politica diventa un non senso, si strutturino al loro interno come recita l’art 49 della nostra Costituzione. Ma il cittadino faccia il suo dovere e sia sussidiario allo Stato e ai partiti, facendo la sua parte. Lezione vecchia per problemi tragicamente nuovi.
Una volta appurato che la cosiddetta Seconda Repubblica fondata sulla “rivoluzione liberale” è miseramente fallita lasciando macerie, le risposte vanno allora individuate nell’ondata di rinnovamento che monta presso le opinioni pubbliche locali, regionali, nazionali. Presso movimenti e liste civiche. In pezzi importanti di società civile. Le quote di astensionismo parlano chiaro: se non si cambia, o non si va a votare o si vota per il nuovo qualunquismo-spettacolo dentro cui l’illegalità si trova più a suo agio. Primarie o non primarie, preferenze o liste bloccate, democrazia partecipata o diretta, liste civiche locali o nazionali, partiti vecchi o nuovi, la politica si sta strutturando in forme inedite che ancora ignoriamo. Di una cosa siamo però al momento certi: si sta notando un generale risveglio.
Un blocco laico formato da professori, manager, imprenditori, intellettuali, professionisti, è già – come si dice – sceso in campo: una parte è addirittura al governo. Prepara documenti e convention, manifesti, programmi, liste civiche. Chiede firme di sostegno. Organizza fondazioni e conferenze stampa. Siti e social forum. Insomma forma opinione e assicura impegno.
Il laicato e la Chiesa cattolica
Nel ricordo delle sollecitazioni cagliaritane del Papa, il laicato cattolico ha invece risposto coi raduni di Todi1 e Todi 2, i cui documenti conclusivi hanno chiaramente indicato un nuovo protagonismo politico. Alcune componenti si sono recentemente riunite a Roma col movimento di Montezemolo all’insegna di un Monti bis. Mentre i cattolici democratici del centrosinistra scalpitano e preparano incontri, anche col nuovo portale C3dem. Con convegni e riviste.
Il laicato ha insomma capito che per ricostruire le rovine di vent’anni di politica padronale e populista, per rispondere alla crisi economica, al pluralismo conciliare ma anche a un bipolarismo zoppo, non può più rimanere alla finestra.
A Todi è addirittura sbucata dal cilindro una vera e propria proposta di partito di centro a impronta cattolica. Intendiamoci : la persona umana con i suoi diritti e le sue libertà, la dimensione comunitaria delle istituzioni e dei corpi intermedi, la crescita economica, un sano regionalismo unito al rilancio dell’unità politica europea, quei beni comuni ispirati dalla dottrina sociale e dal Concilio, sono valori che appartengono alla migliore tradizione del cattolicesimo politico. Ed è un patrimonio che per quanti credono alla politica come “…forma alta di carità cristiana” non va disperso. Ma si tratta di un “supplemento d’anima” più che di un partito politico. Un farsi avanti e non stare nelle retrovie, che a Reggio Calabria riguarda la rinascita della città. Liste civiche, presenza nei partiti o movimenti… ne saremo capaci solo se, al di la della stupidaggine della rottamazione, giovani e meno giovani decideranno di sedersi a Palazzo S. Giorgio, sapendo però di avere alle spalle la classe dirigente locale, la società civile,la Chiesa e la città intera.
La richiesta di “aggiornamento della Chiesa” arrivata dal recente Sinodo dei Vescovi, rivolta ad una nuova pastorale e alla corresponsabilità delle parrocchie, acquista anche il significato di ridestare nei cattolici il gusto per la polis, in modo di dare anche a “Cesare” quello che è suo.
Respingere l’antipolitica, il disimpegno e la mala politica, portando aria pulita nell’amministrazione cittadina, appartiene a questo risveglio. E potrà essere l’inizio di una nuova storia reggina.
Avvicinare la città alla politica non sarà facile, ma bisogna provarci.