So di essere tra i pochi, e persino poco difendibili, che non disdegnavano la proposta dei cosiddetti Assistenti civici, volontari che avrebbero dovuto avere – credo che ormai l’idea sia stata accantonata – il compito di valutare il grado di applicazione da parte dei cittadini delle norme di sicurezza contro il contagio e, di conseguenza, suggerire i comportamenti giusti. La proposta è stata aspramente criticata e persino derisa, tanto che il proponente (in particolare il ministro Boccia) ha dovuto presto fare un passo indietro. Almeno finora. Di fronte all’incalzare dei giornalisti e dell’opinione pubblica (i social su tutti…), che esprimevano la netta opposizione, la risposta, però, mi è apparsa incerta e balbettante.
La critica viene da un concetto di base ormai accreditato in tutte le democrazie: ogni norma, se non è accompagnata dalla sanzione per un’eventuale sua violazione, non serve a nulla. Di più: quelle sanzioni, se non incutono timore, hanno un debole effetto di deterrenza che col tempo viene a scemare, se non a sparire.
Ma la persistenza di comportamenti scorretti (illegittimi, illegali, reati, colpa, e quant’altro) spingerebbe a ripensare – quanto meno – che questo assioma, diciamo così, positivistico (causa-reazione-effetto) non sia del tutto efficace e neppure efficiente. E invece è su un altro criterio di fondo che avrebbe potuto e dovuto basarsi quella proposta, che, sia aggiunto per inciso, avrebbe visto protagonisti autentici volontari, cioè persone non pagate. Non il criterio del controllo, della minaccia, della severa punizione in caso di distanze ravvicinate o mascherine mancate. Ma quello del suggerimento, del ricordo, della parola che accompagna e sostiene, anche, ripeto anche, in nome di uno Stato civile e non minaccioso. Si dice: ma questo possono farlo anche i vigili urbani o la Polizia. Sì, ma la forza pubblica se è in presenza di un comportamento non regolare, può – al massimo – chiudere un occhio, ma lo fa a proprio rischio e pericolo, dovendo invece certificare e sanzionare. Punire. Il volontario, che, appunto, non ha poteri, non ha altro potere che ricordare che lo Stato siamo tutti, e non c’è una partita in cui il moloch sta da una parte e il povero suddito dall’altra, a temere ed eseguire. C’è invece una collettività, fatta anche di persone che si collocano nel mezzo, anzi, proprio dalla parte di chi deve “abitare” le stesse regole di tutti e non ha altra funzione che ricordare e suggerire, accettando un eventuale fallimento (il mavalà supponente…), senza però ricorrere alla sanzione. E allora? Quante volte la Forza Pubblica, pur sorvegliando e punendo, non sortisce effetti? Se non – per paradosso – quello di far considerare inetto e incapace lo Stato se non si fa rispettare a dovere. Un corpo di volontari cittadini, invece, che al pari degli altri non hanno altro strumento che la parola, consapevoli dei propri limiti, ma desiderosi di prendersi cura e di far rispettare le regole, è proprio così indecente? Purché non si chiamino “guardiani”, è proprio una funzione da considerare inutile e deleteria?
D’accordo, sono tempi difficili, di autoritarismo spinto che mette a rischio anche democrazie consolidate. Strutture istituzionali solide e meccanismi procedurali forti e verificati offrono maggiori garanzie di resistenza ad eventuali attacchi. Ma la cultura che spinge ad accettare le une e gli altri, a sentirsene protagonisti attivi e a limitare la deresponsabilizzazione offerta dalla facile delega, si poggia su processi lenti e sotterranei, duraturi e diffusi. Nei quali si colloca anche quella dinamica che ha consentito all’economista Richard Thaler di vincere il premio Nobel nel 2017. La cosiddetta “spinta gentile”. Dice Thaler: «Anche nei comportamenti più casuali, (…) è possibile spingere (le persone) ad un comportamento positivo in modo lieve». Senza costringere e minacciare; e, così, ottenendo migliori risultati, studiati e testimoniati da decine e decine di indagini. I fautori dell’economia del libero mercato e dell’autonomia delle libere scelte dell’individuo, nel migliore dei modi, lo hanno tacciato di “paternalismo liberale”, nell’ossessione di considerare l’individuo sempre refrattario a qualsiasi intervento pubblico.
Ma episodi frequenti e drammatici in molte parti del mondo mostrano che una faccia dura e cattiva dello Stato non può che suscitare una forza uguale e contraria in chi, ormai, di questo Stato si sente sempre meno parte. Parlare allora di un’assistenza civile e ideale – oltre a quella, sia chiaro, economica sostanziale -, e praticarla, non sembra essere proprio un’idea peregrina.
Vittorio Sammarco
5 Giugno 2020 at 15:15
il lavoro è il grande tema in evoluzione, dopo il secolo dedicato allo scontro tra chi, nel nome del diritto a essere liberi, ha affermato un “liberismo” sempre più dispotico e incoscientemente dedito allo sfruttamento di “uomini e cose”, cioè persone e ambiente, e chi nel nome della difesa dei diritti diffusi, ha tradotto “socialismo” in ennesima esperienza di poteri di minoranze spesso insufficienti rispetto alla vastità degli ideali proposti;
mi auguri di avere il tempo di vedere l’alba di un nuovo mondo in cui il lavoro sia riproposto come espressione della libertà della persona (quello che aveva già capito san benedetto!) e non come merce, con la necessità di “inventare”, prima di aver distrutto l’ambiente in cui viviamo, un nuovo mondo in cui molto del “prodotto per vivere” non ci verrà più da braccia umane, mentre i cervelli saranno sempre più creativamente impegnati a produrre il nuovo