Valerio Onida, lettera al “Corriere della Sera”, 9 febbraio 2012.
Caro direttore, l’editoriale di Galli della Loggia del 6 febbraio («Una maturità da ritrovare») unisce giudizi, duramente critici ma tutt’altro che infondati, sull’operato dei partiti ad un giudizio, che appare invece privo di giustificazione, sulla Costituzione repubblicana. Questa sarebbe «inattuale» e vorrebbe «espressamente» «la sostanziale impotenza dell’esecutivo». Sembra tornare dunque il «mito» del presidenzialismo all’italiana, nonostante che l’esperienza degli ultimi anni, improntata a una sfrenata personalizzazione della politica e ad una esaltazione dei poteri non tanto dell’esecutivo quanto del suo «capo», ne abbia dimostrato la pericolosità.
Che cosa dice la Costituzione sull’esecutivo e sui suoi poteri? Dice che il presidente del Consiglio dei ministri «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile». Che i ministri sono nominati (e quindi, si deve intendere, possono essere anche revocati) con atto del capo dello Stato ma su proposta del presidente del Consiglio. Che il governo deve godere la fiducia delle due Camere, ed è obbligato a dimettersi solo se una delle Camere vota espressamente e motivatamente la sfiducia. Che il governo può presentare progetti di legge, e può, ponendo la «questione di fiducia», costringere le Camere a scegliere fra l’approvazione della sua proposta e l’apertura immediata della crisi. Che le Camere possono essere sciolte anticipatamente dal capo dello Stato solo con l’assenso (la controfirma) del presidente del Consiglio in carica. Che il governo, oltre a disciplinare con regolamenti ogni materia che non sia riservata alla legge, può adottare atti legislativi immediatamente efficaci (i decreti legge) in attesa della conversione in legge da parte delle Camere, nonché ottenere dal Parlamento la delega a legiferare su oggetti definiti nel rispetto dei criteri da esso stabiliti. Che il presidente della Repubblica è chiamato ad emanare gli atti più importanti del governo (nonché a promulgare le leggi), può controllarli e formulare rilievi (sulle leggi può chiedere una nuova deliberazione), ma l’ultima parola è del governo stesso (del Parlamento per le leggi). Per il resto, il presidente della Repubblica può «persuadere e influenzare» con la sua autorità, ma a decidere sono governo e Parlamento, tra loro legati dal rapporto di fiducia.
Si dice: questa è la Costituzione, ma la prassi? La prassi vede il governo essere promotore di quasi tutte le leggi approvate dal Parlamento; usare largamente (anche abusare) dei decreti legge; utilizzare ampie deleghe legislative conferite dal Parlamento con criteri talvolta generici; usare spesso la questione di fiducia ottenendo dalla maggioranza l’approvazione «in blocco» delle proprie proposte; usare e abusare di poteri di ordinanza «di necessità» anche in deroga alle leggi. Dunque, un esecutivo «impotente» o un esecutivo «strapotente»?
Il fatto è che in tutti i regimi democratici, e non solo in quelli parlamentari come il nostro, i poteri sono distribuiti ed equilibrati, mai concentrati in un unico organo; ci sono contropoteri di controllo e di garanzia; le scelte politiche sono soggette a discussione, a confronto, spesso a trattative e a mediazioni. Obama, il presidente della maggiore Repubblica presidenziale del mondo, di recente ha dovuto confrontarsi a lungo e duramente col Congresso per riuscire a far approvare il bilancio dello Stato.
Se dunque l’esito dei processi politici non ci soddisfa, smettiamo di pensare che ciò sia dovuto a difetti del sistema dei poteri. Organi «onnipotenti» e senza freni si danno solo nei regimi autocratici. Parliamo di scelte politiche e dei loro protagonisti: i partiti, le forze sociali, le categorie professionali, le forze culturali, i mezzi di comunicazione. È a loro, non alla Costituzione, che si devono imputare successi e insuccessi. La Costituzione (tutt’altro che «inattuale») ci può solo offrire – e ci offre – congegni istituzionali sapientemente equilibrati (i checks and balances), e il quadro di garanzie e controlli perché questi protagonisti, se ne sono capaci, realizzino i loro fini e perseguano il bene pubblico.