di Fabio Pizzul

Uno Stato, come qualsiasi altra organizzazione sociale, ha bisogno di trovare le ragioni per stare assieme, ovvero motivi convincenti per far sì che le parti che lo compongono decidano di fare la fatica di contribuire al benessere comune, che viene ritenuto preferibile rispetto a una condizione in cui ciascuna parte si preoccupa degli affari suoi.
La Costituzione ci ricorda che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, ma non dice molto altro sulle ragioni che hanno portato le diverse parti del nostro Stato a convergere verso un’unità che, evidentemente, tutti davano per scontata.
Lo stesso articolo 5 della Costituzione non concede molto spazio agli eventuali dubbi e si preoccupa, piuttosto, di non mortificare le autonomie: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.
A quasi ottant’anni di distanza, ci troviamo a dover fare i conti con spinte di segno opposto, che arrivano a mettere in discussione l’unità, evidentemente sempre data per scontata.
L’autonomia è un valore nella misura in cui contribuisce a far funzionare meglio l’apparato pubblico e sostiene il buon funzionamento dello Stato. Il decentramento è, secondo la Costituzione e la prassi amministrativa, un modo concreto per valorizzare il contributo dei territori allo sviluppo unitario dello Stato. Almeno così l’ha qualificata e promossa la Costituzione.
La modifica del Titolo V della Costituzione, che nel 2001 intendeva porre un argine alle derive indipendentiste della Lega, pare ora essersi trasformata in una sorta di “cavallo di Troia” per gli impulsi disgregativi che si materializzano nell’idea che divisi si possa stare meglio.
Il regionalismo differenziato, venduto come un tentativo di rendere più efficiente lo Stato, pare poter diventare il tarlo che lo corrode dall’interno. Se mancano le risorse per gestire centralmente i servizi dello Stato, secondo quale miracoloso principio queste dovrebbero materializzarsi grazie a una suddivisione territoriale delle stesse? L’impressione è, piuttosto, che queste agognate risorse si concentreranno in alcune zone del nostro Paese, quelle, peraltro, che già ora soffrono meno di altre.
Il regionalismo differenziato, probabilmente, fallirà sulla questione delle risorse, nel frattempo contribuirà a rendere ancora più esili le ragioni dello stare assieme in uno Stato che non potrà che diventare sempre più fragile.

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