Balducci, Turoldo, a vent’anni dalla morte. Non siamo senza eredità di patrimoni preziosi

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L’editoriale de “il foglio” n. 391 ( mensile di alcuni cristiani torinesi)  dell’aprile 2012, nel commemorare i vent’anni dalla morte di Ernesto Balducci e David Maria Turoldo, si chiede che cosa sia cambiato da quel 1992 ad oggi. Ora – scrive l’editorialista de “il foglio” –  c’è “la crisi di tutto, non di qualcosa”; ora “è l’occasione per ripensare tutto”. E Balducci e Turoldo ci insegnano che “i problemi hanno, sì, dimensioni tecniche funzionali, ma la loro vera dimensione e portata è umanistica, spirituale, planetaria, sistemica,valoriale: non bastano mezzi efficaci, ma occorre vedere fini di chiaro valore umano”.

 

Vent’anni fa morivano quasi insieme (6 febbraio e 25 aprile), David Maria Turoldo e Ernesto Balducci. Abbiamo visto Balducci l’ultima volta al funerale di Turoldo. Aveva accettato l’invito de il foglio a Torino, per maggio, a dibattere con Vattimo su «Processo all’Occidente». Dopo i primi anni, sono stati un po’ dimenticati. Sono due figure alte nella storia religiosa e civile italiana, da reincontrare in questa occasione, come propongono diverse iniziative in tutta Italia. Non si tratta affatto di canonizzarli. Chi li ha conosciuti ha visto anche aspetti discutibili. Ma sono ancora maestri.

Il 1992 era all’inizio dei decenni post-89, di Tangentopoli, del tempo delle «nuove guerre», era il 500° della «conquista» dell’America, il 30° dell’apertura del Concilio. In quel tornante storico, essi ci consegnavano il loro lascito. Un anno dopo moriva anche Tonino Bello. Riascoltare oggi le loro voci ed esperienze implica per noi ricapitolare il loro tempo nel nostro tempo, assai mutato.

In che cosa è mutato il nostro presente? Difficile dirlo in breve. Il capitalismo finanziario, la «rivoluzione dei ricchi», ha trionfato, schiacciando altre dimensioni dell’incontro planetario dei popoli, con le guerre finanziarie e quelle militari. Il cristianesimo per un verso (nel cattolicesimo) ha congelato la profezia conciliare, per un altro verso, nella vita personale e di base dei credenti, ha addolcito la quadratura geometrica del dogma in apertura della fede fiduciale, ha spostato l’accento centrale dall’ortodossia all’ortoprassi evangelica, dall’autosufficienza delle chiese verso la fraternità ecumenica, da una morale legalistica al primato di giustizia e amore, e ha modificato la liturgia da riserva supersacrale ad atto del popolo sacerdotale. Sono segnali più positivi che negativi, nella vita religiosa comune, e assai meno nei palazzi e paraggi. La decadenza dell’istituzione religiosa fa temere quanto ai numeri, ma può non far temere per la fede. La politica voleva in Italia fare una seconda repubblica (ad opera di statisti fondatori come Craxi e Berlusconi) e nel mondo un nuovo ordine mondiale (ad opera del genio di Bush). Due fallimenti sciagurati. Ora la crisi di tutto, non di qualcosa, è l’occasione per ripensare tutto. Entrambi, Balducci e Turoldo, nella loro diversità, hanno lavorato per superare la disperazione storica, che minacciava già il loro tempo. Hanno visto profilarsi il tempo di guerre e di saccheggi che è arrivato da allora ad oggi. Hanno attinto nella fede una forte speranza-impegno per e dentro la storia, oltre la storia, trasmettendola con vigore attorno a sé. Sono stati uomini-ponte tra chiesa e umanità tutta, proseguendo avanti, da cristiani, sulla linea tracciata dal Concilio. Senza quasi uscire dall’Italia hanno ascoltato e interpretato il mondo umano intero, il suo ambiente, la sua storia, le sue attese. Hanno colto bene la nuova dimensione planetaria della comunità umana. Sono stati tra i promotori di quella globalizzazione plurale e libera dello spirito, della cultura, dell’ascolto e della comunicazione, che oggi resiste e combatte per difendersi nella globalizzazione material-imperiale, che non produce unità, ma divisione e discriminazione. Si sono spesi per la pace, con accenti propri, ora più profetici, ora più politici (contro la guerra del Vietnam, i missili, la rilegittimazione della guerra che deludeva le speranze dell’89), ora più antropologici (la transizione all’«uomo inedito» indicato da Balducci), ora più ispirati (le poesie e le ballate di Turoldo), ora col ripensamento della storia e del pensiero filosofico (Balducci scrisse un manuale per i licei, Storia del pensiero umano, che più di ogni altro, fino ad oggi, recepiva le filosofie non occidentali).

Essenzialmente, ci pare che il loro significato oggi sia questo: i problemi hanno, sì, dimensioni tecniche funzionali, ma la loro vera dimensione e portata è umanistica, spirituale, planetaria, sistemica, valoriale: non bastano mezzi efficaci, ma occorre vedere fini di chiaro valore umano. La cultura e l’impegno sono richiamate, da questa memoria di due forti «apritori di strade», alle dimensioni intere e non parziali del dramma umano in corso. Far credito alle grandezze interiori e temporali che ci trascendono, ci fondano e ci elevano, è ciò che anima e sostiene l’azione paziente e tenace nel tempo, e guida avanti l’occhio e il passo sul terreno accidentato. Non siamo senza eredità di patrimoni preziosi.

 

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