L’autrice non ha potuto partecipare al convegno di c3dem a Bologna, il 30 novembre, ma ha mandato un contributo scritto “che testimoni – ha detto – la mia solidarietà ad un’iniziativa così opportuna”.
Dire “il vecchio e il nuovo” è diverso dal dire “dal vecchio al nuovo”, anche se non credo che nessuno voglia suggerire di tenere insieme tutto come nel buon tempo andato. Magari rievocando il cinquantenario del primo centro-sinistra del 1963….
Personalmente non ho mai creduto che il processo noto come “mani pulite” sia stato responsabile della cancellazione dall’orizzonte politico della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista, e di quelli Socialdemocratico, Repubblicano e Liberale. La corruzione fece scalpore, ma gli italiani erano abituati perfino alla moltiplicazione delle tessere. A mio avviso quei partiti sono caduti perché erano “vecchi”; e la Sinistra, che era pronta a diventare – per le esigenze di una storia che camminava già in fretta – un “partito democratico” ha percorso travagliatamente un declino che l’ha indotta, in parte almeno, a cambiare pelle. Forse oggi, nonostante la deriva apparente, potremmo aspirare a qualcosa di inedito. Basterebbe avere “visione”.
Di fatto la globalizzazione da decenni sta provocando ovunque cambiamenti radicali; ma non abbiamo compreso che era necessaria una globalizzazione culturale che rileggesse tutto il buono dell’antico e traghettarci al futuro. Oggi la forma-partito, già in crisi trent’anni fa, ha concorrenze strane anche nel nome che la definisce: abbiamo avuto la Lega, il Movimento, la Forza e oggi Flores d’Arcais propone la Lista (cfr. ultimo numero di Micromega). Nella Costituzione come organismo della partecipazione politica, c’è solo il nome “partito”: nel parlare in pubblico ero solita dire che i partiti sono appena nominati nella Costituzione che escludeva assolutamente qualunque partitocrazia; oggi ricordo che il partito è espressamente previsto nella Carta costituzionale. Il problema, infatti, non è il termine, bensì la comunicazione con i cittadini che, nella società dell’immagine (televisiva prima e oggi tecnologica), ha bisogno di modi del tutto rinnovati. Anche perché la società è diventata complessa e la gente, anche se più acculturata, avrebbe bisogno di maggior chiarezza da parte di forze politiche aggiornate e competenti.
Oggi non so quanto innocentemente la polemica contro la “casta” abbia colpito al cuore le istituzioni e il Parlamento: dovremo vedercela con costi sempre più alti della politica (per le future elezioni non solo bisogna aver costruito una diversa legge elettorale, ma anche tener conto di campagne elettorali sempre più costose: non è senza allarme che per l’elezione del segretario del Pd il limite massimo di finanziamento dei candidati è di 200.000 euro). Con il rischio molto realistico che in Parlamento vadano i ricchi, come in America, e i portatori di interessi senza garanzia di trasparenza.
Quindi proprio noi “vecchi” – lo dico per me – dovremmo fare nostro lo sguardo di un Adriano Olivetti, sempre orientato al futuro: dopo di lui, infatti, incominciarono le speculazioni finanziarie e fu portato al fallimento l’avanzamento tecnologico che era stato la forza costruttiva dell’impresa oggi mitizzata.
D’altra parte ci rendiamo conto che non solo da noi (ma noi siamo sempre un caso speciale e anche nel secolo scorso i disastri sono partiti dall’Italia del primo dopoguerra) ma, per non parlare dell’universo mondo, in tutta Europa i problemi sono gli stessi ed è la democrazia che va a rischio. In questi anni abbiamo fatto guerre “preventive” e stavamo per avviarne una addirittura “a sostegno dei diritti umani”. Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità, ma gli stati hanno fatto come i cittadini: il debito – che, dicevano i vecchi, è brutto e pericoloso – lo abbiamo chiamato mutuo e ci è sembrato un diritto. Stiamo diventando da trent’anni una società di precari e facciamo conto di non sapere che il lavoro non sarà mai più come prima, se, per montare un motore, un unico tecnico dal computer manovra i robot che non hanno bisogno di operai.
Allora, per restare nei limiti di tempo e di lettura, i cattolici democratici possono pensare “a partire da sé” e dalla propria storia politica, criticamente, per cercare nuovi percorsi di rigorosa laicità e tolleranza, di disinteresse e trasparenza, di mediazione politica e rigorosa legalità. La Costituzione è un buon sostegno morale, ma anche una provocazione per portarne avanti lo spirito; il Concilio va riscoperto (a cinquant’anni di distanza pochi ne ricordano la forza innovativa perché deliberatamente oscurata) e fatto guida soprattutto per la fiducia che suscitano le parole nuove di papa Francesco. La Cittadinanza è un terzo elemento fondamentale per riprendere a lavorare tutti insieme per il bene comune, se è vero che (cattolico significa universale) siamo i più pronti a una cittadinanza mondiale; per ora ci possiamo accontentare di fondare sui diritti di libertà e di giustizia la cittadinanza italiana e quella, più recente, ma fondamentale di europei.
Parlare del mondo e dell’Europa (a maggio, cioè tra poche settimane, si vota) significa aprire al coraggio e alla speranza. Ma significa anche ricondurre gli indifferenti, gli egoisti, gli sfiduciati a farsi carico della responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti del futuro. Di cui soprattutto bisogna parlare in termini assolutamente concreti e propositivi: occorre non perdere nessuno. E qui apro la parentesi che mi sta più a cuore: senza perdere, soprattutto, le donne, definite, con loro irritazione motivata, “una risorsa”. Da quel che si vede, sprecata.
Giancarla Codrignani