Benigni, la Costituzione e i principi della Casa comune

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Riprendiamo l’articolo, apparso su Jesus di dicembre, scritto quando Roberto Benigni, alcune settimane fa, ha annunciato il suo show sulla Costituzione italiana (“La più bella del mondo”), andato poi in onda la sera del 17 dicembre

In una sua irruzione al TgUno delle 20, Benigni si è espresso così: «La Costituzione della Repubblica italiana è un libro straordinario, molto conosciuta da tutti e anche da alcuni politici (?!). Io che ho studiato il cielo dantesco dico che qui siamo nel cielo degli uomini, in uno dei punti più alti mai raggiunti. E ora che ci stiamo sperdendo dobbiamo cercare la strada, illuminando la via con i suoi dodici principi fondamentali. Questi principi sono belli e vivi, semplici da seguire, una delle più belle Costituzioni del mondo, viva come la cupola del Brunelleschi».

Sono convinto che si possa fare affidamento sul genio di Roberto Benigni nel fare conoscere e apprezzare agli italiani la nostra Costituzione. La più bella del mondo, come titola il programma tv da lui annunciato in quella circostanza. Così come gli è riuscita egregiamente la difficile impresa di illustrare e commentare da par suo, al grande pubblico, compreso quello meno erudito, la Divina Commedia. Benigni è la persona, l’artista più adatto. È uomo colto, dispone di una efficacia comunicativa senza eguali, sa divertire e, insieme, stimolare a riflettere e persino commuovere, evocando quel senso dell’universale umano che fa vibrare le corde profonde dell’animo di tutti e di ciascuno. Ve n’è un disperato bisogno nel tempo del disincanto, dell’accidia, del cinismo. Sentimenti e risentimenti che affondano le radici nell’attuale temperie culturale e che si proiettano sulla vita civile e politica. Povera se non priva di tensione etica e spirituale. Una stagione, la nostra, nella quale sembra si sia irrimediabilmente corroso il tessuto della convivenza, le buone ragioni che tengono insieme una comunità. E che cosa è una Costituzione se non — come avevano ben chiaro i padri della Repubblica — un patto di convivenza, il quadro di principi e di regole che presiedono alla vita della Casa comune dentro la quale siamo chiamati ad abitare insieme (così Aldo Moro costituente)? Oppure, come amano definirla i tedeschi, la «legge fondamentale», la sorgente e la madre di tutte le leggi.

Diciamolo francamente: negli ultimi vent’anni la Costituzione è stata bistrattata. Le sono state inferte ferite, la si è minacciata in forma palese o occulta. Si è blaterato a ogni piè sospinto di riforme costituzionali. Ogni problema che insorgesse è stato addebitato ad essa, anziché alla politica, ai suoi attori e ai suoi programmi. La si è trattata con leggerezza e con superficialità. Talvolta si è messo mano a riforme imposte a colpi di maggioranza politica contingente. Con il risultato di instillare in chi le subiva un sentimento di estraneità alla regola comune che dovrebbe vigere dentro la Casa comune. Fu il monito dell’ultimo Dossetti: la Costituzione rappresenta un patrimonio comune, trasversale alle parti politiche; essa si trasmette da una generazione all’altra; è una bussola e un ancoraggio prezioso soprattutto nel tempo (e mi pare sia il nostro caso) in cui una comunità politica è più divisa e più disorientata («si sperde», come nota Benigni); l’attuale, concludeva il monaco-politico e costituente, non è stagione propizia per una impresa costituente, non ve ne sono le condizioni spirituali e culturali. Al più, è tempo di adeguamenti alla sua seconda parte, quella che attiene all’ordinamento, non alla prima, ove sono fissati i principi e i diritti fondamentali della persona e del cittadino. E gli stessi adeguamenti della seconda parte non devono inficiare i principi e i diritti scolpiti nella prima parte: il primato della persona, il pluralismo delle formazioni sociali, il lavoro come fondamento della cittadinanza politica, il valore delle autonomie, il principio democratico, l’indipendenza della magistratura, l’internazionalismo e la pace.

Qualcuno sostiene che quell’ethos costituzionale si sia irrimediabilmente consumato. Che si debba prenderne realisticamente atto e che, conseguentemente, sia bene dare vita a una nuova assemblea costituente che provveda a riscrivere tutto intero un nuovo patto costituzionale. È tesi che non mi convince. È vera un’altra cosa: che, prima ancora degli attori politici, le agenzie culturali ed educative, nel passato remoto e recente, hanno mancato al compito di custodire, educare e promuovere l’ethos costituzionale. Certo, sono innegabili lo scarto, la distanza tra quell’ethos e il vissuto. Ma la pensosa consapevolezza di quella distanza non può essere allegramente rimossa. Essa di per sé non autorizza a concludere che si richieda una nuova Costituzione. Domando: quale sarebbe, oggi, il cuore ideologico di essa?

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