La questione degli F35 rischia di essere instradata nel solito dilemma astratto e un po’ stucchevole tra il realismo dei militari e di alcuni politici, da una parte, e le convinzioni utopiche di un manipolo di pacifisti e «anime belle», dall’altra. Sarebbe importante ricondurla a questione tipicamente e propriamente «politica». Il che vuol dire alcune cose: verificare i percorsi; cogliere i valori in gioco; studiarne le dimensioni tecniche; scegliere le priorità; contemperare le posizioni per ottenere un consenso più esteso.
Certo, un programma così ampio e costoso, con anni di storia alle spalle (dal 1998, anche se le decisioni più vincolanti risalgono al 2009) e percorsi complessi di scelte e passaggi tecnici, non si può cancellare con un tratto di spugna. Ne vanno assunti responsabilmente i dati pregressi, per valutare le scelte possibili (anche se al momento si sono pagati dei costi, ma non esistono contratti che parlino di penali nel caso di modificazioni). Correlativamente, vanno contestualizzati i tempi: di fronte alle tragedie della crisi e con una spesa pubblica che – a quanto il governo sostiene – non riesce a star dietro all’essenziale, non si può far finta che tutto sia già deciso e che si possa ritenere assodata e incontrovertibile una scelta dal peso così cospicuo (si parla di 14 o forse di 17 miliardi di euro… mentre ci si accapiglia per 4 miliardi di Imu!).