Cattolici e politica: la nebbia inizia a diradarsi
di Guido Formigoni
Sul ricorrente discorso attorno alle prospettive politiche dei cattolici italiani, il dibattito si infittisce. Interventi «interni» si cumulano con quelli «esterni», per così dire: penso a parecchi editorialisti del «Corriere della sera» che sostanzialmente pressano i cattolici ad assumersi la responsabilità di fornire al paese una destra «rispettabile». Non sempre quindi le coordinate del dibattito sono chiarissime. A me sembra però che alcune nebbie degli ultimi mesi stiano diradandosi.
Elenco tre punti che sembra di poter ricavare da una lettura degli sviluppi recenti:
1. La Cei sta lentamente ricollocandosi, rispetto all’esposizione apparente e alle conseguenti diffuse aspettative di qualche mese addietro sul tema di una nuova presenza politica cattolica. La prolusione del card. Bagnasco al seminario di Todi nell’autunno scorso era stata già piuttosto chiara (parlando di uno spazio «prepolitico»), ma altri segnali sono seguiti, come il continuo ribadire di non volere sponsorizzare una forma partitica, e soprattutto il fatto che le associazioni più strettamente ecclesiali, a partire dall’Azione cattolica, si siano ritirate dal percorso messo in atto a seguito dell’incontro di Todi.
2. Il suddetto processo di Todi sta via via ridimensionandosi. Dopo alte proclamazioni e ampie illusioni, sta riducendosi il novero dei protagonisti. Si è prodotto un manifesto dai toni e dai contenuti invero piuttosto vaghi e si sono susseguiti annunci di fondazioni di nuove formazioni politiche (da parte del presidente del Mcl), smentite da altri protagonisti o politici ritenuti vicini a questa sensibilità. Aggiungiamo che esponenti sindacali di primo piano si sono defilati: la conclusione è che singoli protagonismi non sembrano poter portare molto lontano.
3. Emerge invece un’altra ipotesi: il cosiddetto «addensamento» di cattolici attorno alla prospettiva politica di una qualche continuità rispetto al governo Monti (l’espressione è di Agostino Giovagnoli). Ipotesi ancora iniziale, ma non peregrina, se si arrivasse al turno elettorale con l’attuale situazione confusa della transizione post-berlusconiana e soprattutto con il caos aperto nell’area di centro-destra. Non tanto Monti stesso – che non vediamo nelle vesti di leader partitico – ma alcuni degli attuali ministri potrebbero far da punto di riferimento di un’iniziativa che cerchi consenso elettorale: il nome forte di cui si sussurra è ovviamente quello di Corrado Passera (attorno a cui potrebbero essere coinvolte altre figure).
Stante tutto questo, che conseguenze ricavarne? La prima riflessione è che quasi sicuramente non ci sarà un nuovo partito maggioritario o almeno prevalente «dei cattolici italiani». L’antica formula del partito «di ispirazione cristiana» stava in piedi grazie al sostanziale appoggio ecclesiastico (in un delicato gioco tra autonomia e dipendenza). Non sembra che la gerarchia voglia ripetere queste strade: il che ci lascia ancora in dubbio se si voglia tornare al modello ruiniano della mediazione istituzionale in proprio (con simpatie non equamente distribuite per i protagonisti della politica), o inaugurare una fase di maggior riserbo e di alternanza tra parole e silenzi, per costruire una interlocuzione con la politica di taglio «sapienziale». Ma qualsiasi strada prenda la gerarchia, le conseguenza è che ogni spezzone cattolico che voglia ottenere un ruolo politico deve correre in proprio. Chi avrà più filo tesserà.
La seconda conseguenza è che allo stato delle cose appare difficile immaginare che qualche scheggia di classe politica cattolica riesca nell’ambizioso obiettivo di «lanciare un’Opa sul centro-destra», come giornalisticamente si è provato a dire. L’ipotesi di fondare una sorta di sezione italiana del Ppe che metta un cappello cattolico-moderato sulla destra italiana è nel libro dei sogni. Non ci sembra in grado di farlo l’Udc di Casini, neppure nella forma del costituendo «partito nazionale». Ma nemmeno l’ipotetico partito Passera/cattolici, il quale si collocherebbe piuttosto al centro e potrebbe puntare logicamente ad un rinnovo dell’alleanza con il Pd, in nome della continuazione dell’approccio emergenziale dell’attuale governo tecnico-politico.
La terza questione è che la responsabilità dei cattolici democratici nell’animazione del polo di centro-sinistra (in specifico del Pd, ma non solo), emerge intatta come un compito possibile, anche se non facile. Qualche ex popolare o cattolico del Pd verrà forse attratto da sirene più moderate. Ma resterà aperto lo spazio per rilanciare quell’incontro tra culture seriamente riformiste, di matrice ideologica diversa, che l’alleanza di centro-sinistra avrebbe dovuto essere e forse potrebbe ancora diventare. Le forme concrete di questa scommessa sono da affinare e aggiornare a seconda di variabili ancora non chiare (relative alle riforme delle regole). E’ chiara però la premessa essenziale: deve essere superata la fase dell’emergenza affidata al governo tecnico-politico (buona per chiudere con Berlusconi e per «salvarci dal precipizio»). E si deve prendere il largo, oltre la lettera della Bce e le pressioni dei «mercati», per una prospettiva politica autonoma, seria e responsabile, che non rinunci però a proporre un’originale e creativa risposta all’attuale crisi strutturale del paese, dell’Europa e dell’Occidente.
Naturalmente, si tratta di vicende ancora aperte: il dibattito continua.
21 Agosto 2012 at 22:24
Sempre molto utile il punto di vista dell’Autore. Continuate; è indispensabile.