Che cosa è “una prospettiva riformista cristianamente ispirata”?

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Stefano Ceccanti, coerentemente con la battaglia condotta recentemente per avvicinare il Pd all’agenda Monti, invita oggi a prendere sul serio un punto di vista, che dice “profondo” sebbene  “provocatorio”, di cui si è fatto portavoce Giorgio Armillei su landino.it il 18 gennaio (“Ridurre il danno”), e che sembra stia entrando nel dibattito politico. Cioè la proposta di votare Pd alla Camera e Monti al Senato. Suggerisce che è interessante discuterla. Perché no? Cominciamo con una domanda: in che senso davvero questa proposta, e la visione politica che sottende, ha a che fare con un “riformismo cristianamente ispirato”?

 

 

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  1. Provo a dare una risposta sintetica.
    Innanzi tutto è una proposta che si colloca in un percorso di discernimento. Cioè tende a non utilizzare uno schema argomentativo deduttivo: abbiamo i principi, dobbiamo applicarli alla situazione che la “conoscenza naturale” ci consente di inquadrare. Al contrario intende il ragionamento pratico come intriso di una forte dimensione comunitaria ed ecclesiale, condizionato dagli strumenti di lettura, sempre storici e contingenti, teso alla ricerca dei “segni dei tempi” e alla messa a fuoco dei “problemi più urgenti”.
    Poi vuole prendere le distanza da una prospettiva di tipo esclusivamente individuale. Se è vero che non possiamo più parlare di cattolicesimo politico senza ritematizzarlo, vedi l’editoriale di Brunelli sul numero 22/2012 de il Regno nel quale si parla di un tempo di cattolicesimo post politico, è anche vero che permane una non sopprimibile dimensione collettiva nell’impegno dei cattolici in politica, da articolare con formule nuove, ma non eliminabile dal semplice richiamo al solo ascolto, sempre necessario, della coscienza personale.
    Si ispira al realismo cristiano, cioè assume una visione strutturalmente limitata e imperfetta dell’azione politica. La politica incorpora il codice dei rapporti di forza, del numero, degli interessi, tende a regolarli, a impedirne l’espansione egemonica, è un arbitro forte non il giocatore più bravo.
    Persegue la prospettiva della Centesimus Annus e del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Capitalismo e economia di mercato non sono quindi in contraddizione con la dottrina sociale della chiesa. Anzi ne manifestano alcune delle potenzialità, purchè non letti – anche essi come la politica – secondo una visione egemonica e isolata. Non solo non sono in contraddizione ma si collocano perfettamente nella visione poliarchica, cioè di una società caratterizzata dalla divisione sociale dei poteri, lo stesso modello che Benedetto XVI richiama nella Caritas in Veritate a proposito delle istituzioni politiche.
    Assume un punto di vista di sinistra. Di una sinistra del cambiamento rispetto alla conservazione degli equilibri spesso garantiti dai partiti che si etichettano di sinistra come da quelli che si etichettano come destra. Di una sinistra pragmatica, cioè realista e consapevole del valore della democrazia bipolare e dell’equivalenza morale degli orientamenti democratici, di sinistra come di destra. Forse il discorso l’articolo di addio di Blair scritto nel 2007 per The Economist ne è ancora la sintesi più felice. http://www.economist.com/node/9257593 Non a caso proviene dalla cultura del laburismo cristiano anglosassone.

    • Caro Armillei,
      non si può non essere d’accordo con diversi suoi suggerimenti. Ho avuto occasione di dirglielo in altre occasioni. Ne estraggo solo uno che è quello a mio avviso centrale su cui, apprendo, si è soffermato anche Brunelli quando accenna alla “messa a fuoco dei problemi più urgenti…cercando di ritematizzare il cattolicesimo politico, possibilmente in una dimensione comunitaria”. Siamo d’accordo. Il mondo però cammina caro Armillei. Mentre…” la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? ” si chiedeva Martini. Detto ciò eviterei dunque di parlare di cattolicesimo post politico. Che significa? Nessun primato idealistico della politica. Ma neanche una sua subordinazione evanescente rincorrendo i miti della società civile bene assoluto e dei mercati che si autoregolano. A me cattolicesimo post politico, sembra una espressione ambigua che si coniuga bene con il pensiero debole di cui, credo, il realismo cristiano non ne ha bisogno. Ma è una mia opinione. Rimango invece tra coloro che nel tempo si sono convinti che i tempi post politici sono arrivati solo perché la politica si è eclissata. E dunque solo perché la democrazia politica si è indebolita. E che da una democrazia pur imperfetta, e possiamo essere d’accordo su una democrazia bipolare, siamo passati ad una post-democrazia più che perfetta. Che è quella in cui oggi siamo immersi, con il potere (politico e oltre ) lontano dai parlamenti nazionali perché nelle mani dell’economia e della finanza sovranazionali: nuovi leviatani che hanno spodestato la democrazia politica così come l’abbiamo conosciuta da Atene sino all’altro ieri. E’ però solo parlando di post-democrazia che si crea maggiore consapevolezza cristiana per sapere ( e potere) affrontare i nuovi tempi. Mi creda. E non si fa nessun torto al capitalismo e all’economia di mercato, se si insinua il dubbio che i nostri tempi vedono tutti i poteri concentrarti nei luoghi dove si concentra la finanza globale. Tali novità dovrebbero spingere la stessa dottrina sociale della Chiesa a recuperare non “200” ma soli 20 anni. In questo senso la “…visione limitata e imperfetta dell’azione politica” necessita non di realismo ma di iper-realismo che inizi a rivisitare la poliarchia quando afferma che esiste una dimensione orizzontale dei poteri (sociali e non sociali) e si dimentica della dimensione verticale dei poteri fuori dalla nostra portata. E sicuramente “mani invisibili” . Mi starei infine attento a usare espressioni come sinistra del cambiamento – su cui siamo d’accordo – coniugata subito col pragmatismo che è fiore all’occhiello dell’utilitarismo e dell’individualismo: metodologico o meno. Un saluto cordiale. Nino Labate

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