CHIUSURA DEI PUNTI NASCITA E DIRITTO ALLA SALUTE
di Monica Cocconi
È di queste settimane l’annuncio del Presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini di voler rispettare la promessa, avanzata nelle recenti elezioni regionali, della riapertura di alcuni punti nascita in zone montane della regione, in precedenza chiusi tramite accorpamento ad altre strutture. L’annuncio si fonda sulle aperture presenti nel recente Patto per la salute riguardo alla revisione dei parametri fissati nel decreto ministeriale n. 70 del 2015, in base al quale si era proceduto all’accorpamento di punti nascita con un numero di parti annui inferiore ai 500. L’accesso a tali strutture sarà volontario e riguarderà solo donne il cui parto, sulla base di Protocolli redatti in via sperimentale, si prefigura privo di complicanze.
La promessa investe una vicenda istituzionale letta spesso in una chiave demagogica che merita, pertanto, di essere ricostruita nei suoi esatti contorni giuridici, evitando il più possibile indebite strumentalizzazioni politiche.
La questione attiene infatti, più ancora che a esigenze di economicità della spesa, alla dimensione organizzativa più adeguata ad assicurare al meglio il diritto alla salute della madre e del nascituro, in un contesto sociale e demografico attraversato da rilevanti mutamenti. A partire dagli anni Settanta, si è assistito, infatti, ad una riduzione significativa della propensione a procreare in tutte le Regioni italiane con un parallelo innalzamento dell’inizio della vita riproduttiva e dell’età media del parto che ha prodotto una drastica diminuzione del numero di parti. La conseguente riduzione del tasso demografico nazionale ha fatto emergere la necessità di una razionalizzazione conseguente delle strutture sanitarie interessate.
In realtà, tuttavia, non è stata principalmente un’esigenza di economicità che ha sospinto le decisioni regionali di accorpamento, in attuazione della disciplina nazionale, ma sono state, piuttosto, motivazioni di sicurezza sanitaria dotate di solida base scientifica.
Riguardo alla qualità e alla sicurezza delle nascite per le donne e i nascituri, infatti, il significato del diritto costituzionale alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione investe anche il numero di parti verificatisi presso le unità di ostetricia/neonatologia. La convinzione, suffragata da diffuse e consolidate indicazioni scientifiche in materia, è in effetti quella per cui più alto sia il numero di parti, maggiori siano la manualità e l’esperienza degli operatori e, quindi, minore il tasso di complicazioni e mortalità.
In base a tale valutazione scientifica è stato delineato il percorso tratteggiato dalle «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», definito con l’Accordo tra Governo, Regioni ed enti locali, siglato dalla Conferenza Stato-Regioni del 16 dicembre 2010. In esso veniva indicato il parametro dei 500 parti l’anno quale base minima rispetto alla quale, salvo motivazioni specifiche legate ai bisogni eccezionali delle aree geografiche interessate, doveva procedersi all’accorpamento dei Punti nascita. Tale presupposto quantitativo confluiva poi nel decreto ministeriale n. 70 del 2015. Le decisioni regionali conseguenti, peraltro, sono sempre state ritenute legittime dal giudice amministrativo, chiamato più volte dai Comuni a pronunciarsi sulla questione, in quanto rispettose di tali criteri.
È evidente dunque che benché le determinazioni di chiusura siano state assunte con delibere regionali, non solo i presupposti politici su cui si fondavano risalivano ad Accordi e Decreti assunti su base nazionale, ma questi, a loro volta, erano stati siglati e redatti sulla base di valutazioni scientifiche consolidate, ribadite anche di recente da Raccomandazioni dell’Oms.
La decisione politica regionale della riapertura, pertanto, non deve solo avere quale presupposto un’apertura nazionale sulla revisione dei parametri quantitativi legati al numero dei parti ma anche definire un percorso di assoluta sicurezza per le partorienti e i nascituri. La lezione che ci viene dalla recente vicenda dell’emergenza sanitaria legata all’epidemia Covid19, infatti, suggerisce non solo quanto a volte i tagli alla sanità producano danni alla salute ma anche quali maggiori pregiudizi discendano dalla scarsa esperienza del personale sanitario nell’affrontare situazioni di emergenza.
Monica Cocconi, Professoressa associata di diritto amministrativo, Università di Parma