Classe dirigente per promozione interesse generale cercasi…

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 “Ci possono essere tanti modi per definire la classe dirigente. Ma credo si possa convenire sul fatto che classe dirigente è quella che sa rinunciare alla difesa degli interessi individuali e familiari dei propri membri per promuovere l’interesse generale o, detto in altro modo, il bene comune. Se si accetta tale definizione, se ne deduce che quella espressa in Italia dai partiti negli ultimi vent’anni non è una classe dirigente degna di questo nome, bensì una casta di privilegiati dedita al saccheggio sistematico delle risorse pubbliche. Vi sono state certamente alcune eccezioni, tanto più luminose in un quadro così degradato dell’etica pubblica, ma tali sono purtroppo rimaste”. Così sintetizza il suo lungo editoriale Gregorio Arena, direttore del Laboratorio per la sussidiarietà, pubblicato il 16 aprile 2012 sul sito www.labsus.org. “Se l’interesse generale e il bene comune si identificano con la creazione delle condizioni che consentono alle persone di realizzare pienamente se stesse, di sviluppare le proprie capacitazioni, di ‘raggiungere la propria perfezione’, come afferma la Gaudium et Spes, allora – scrive Arena – la presenza al vertice del sistema di una casta parassitaria anziché di una vera classe dirigente ha significato non soltanto il saccheggio delle risorse pubbliche ma, cosa ancor più grave, ha significato impedire la realizzazione delle condizioni grazie alle quali milioni di persone avrebbero potuto realizzare se stesse”.

E’ urgente, dunque, una nuova classe dirigente dis/interessata. Come individuarla?

Gregorio Arena cita un articolo di Dario Di Vico sull’inserto letterario del Corriere della Sera di domenica scorsa, intitolato Ripeschiamo gli espatriati, nel quale l’autore propone di far leva su quei giovani che hanno lasciato l’Italia e lavorano all’estero. Il loro valore aggiunto, per Di Vico (che cita il sociologo Paolo Feltrin), è che “un’esperienza all’estero serve a ridurre il tasso di politicizzazione che contraddistingue la visione del mondo delle nostre élite”. “Per produrre élite efficaci e competitive dobbiamo assolutamente abbassare il coefficiente di politicizzazione”, ed è più facile che ciò avvenga, almeno inizialmente, – secondo questa tesi – “riportando a casa gli espatriati”.

Arena è d’accordo. Ma osserva che la risposta al problema posto da Di Vico sta forse altrove: “è sotto i nostri occhi eppure non la vediamo”.

“Se infatti il carattere discriminante di una classe dirigente consiste nel saper rinunciare alla difesa dei propri interessi per promuovere l’interesse generale, nell’essere cioè dis/interessata, allora in Italia per fortuna esiste già una classe dirigente con questa caratteristica. Ce l’abbiamo da anni, è diffusa su tutto il territorio nazionale, opera con competenza ed efficacia in tutti i settori della vita collettiva e coinvolge un numero enorme di persone. Ed ha anche un nome: volontariato”.

 Per leggere tutto l’articolo di Gregorio Arena vedi:

http://www.labsus.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3433&Itemid=40

 

 

 

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