Considerazioni sulle elezioni europee

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di Sandro Antoniazzi

Il risultato più tangibile delle elezioni, del resto unanimemente pronosticato, è la forte avanzata delle destre estreme.

 

Di per sé il voto europeo, almeno da un punto di vista formale, non ha conseguenze dirette sul quadro politico nazionale; però quanto i mutamenti sono sostanziali è difficile far finta di niente.

 

E’ la considerazione fatta dal Presidente Macron, il cui partito ha raccolto un magro 15%, causando una sua scarsa rappresentatività; si ritorna così alle urne per verificare a chi i francesi intendono effettivamente affidare il governo.

Un tracollo altrettanto pesante è avvenuto in Germania, ma qui i conti si faranno alle prossime elezioni politiche.

Altre situazioni gravi si sono create in Austria e in Belgio; in quest’ultimo paese si sono effettuate anche le elezioni del parlamento e i risultati hanno portato alle dimissioni del Presidente del Consiglio.

A livello europeo l’ondata nera, come viene chiamata, non ha comunque portato al temuto cambiamento degli equilibri del parlamento: ID (il gruppo di Le Pen) è passata da 49 a 58 seggi e ECR (il gruppo della Meloni) da 69 a 73, ciò significa che la maggioranza attuale, composta dai popolari, dai liberali e dai socialisti, mantiene i numeri per governare, pure avendo perso una ventina di seggi.

Occorre però aver presente che il parlamento ha poteri limitati (non ha potere legislativo) e che un maggiore rilievo rivestono la Commissione e il Consiglio, che riunisce i capi di governo.

Qui l’influenza del voto potrebbe farsi sentire, sia per la presenza di qualche nuovo capo di governo, sia nella nomina dei commissari (fra cui quello italiano che sostituirà Gentiloni, posto per cui la Meloni chiede un incarico importante).

In chiara controtendenza appaiono i risultati italiani dove non sono presenti nuove forze di destra, essendo la destra già adeguatamente rappresentata dai Fratelli d’Italia e dalla Lega (che nella prospettiva di recuperare il voto di estrema destra ha candidato Vannacci).

Il voto italiano sembra aver premiato le forze più coerenti: Fratelli d’Italia e la Presidente del Consiglio che porta avanti la sua linea politica con decisione; il Partito Democratico, che ha registrato un ottimo risultato con la politica della Schlein dedicata ai problemi concreti della gente; Forza Italia moderata, ma fortemente unita alla destra; l’Alleanza Verdi-Sinistra che marcia compatta e che ha scelto come simbolo la Salis.

E’ da rimarcare l’insuccesso di Stati Uniti d’Europa e di Azione, partiti di centro, decisamente poco affidabili, sia perché una volta votano a destra e una volta votano a sinistra e anche perché sono partiti personali.

Se si potesse fare loro una raccomandazione varrebbe la pena di dire: fate una scelta, o a destra o a sinistra (meglio questa) e poi fate il centro dello schieramento scelto.

Ma ritorniamo al tema principale, quello dell’avanzata della destra estrema, fenomeno presente in quasi tutti i paesi europei.

Per comprendere questa tendenza occorre tener presente che tutta l’Europa vive in una condizione di “difesa”, in parte reale e in parte immaginaria e ingigantita: dobbiamo difenderci dalla globalizzazione (che ha portato via molti posti di lavoro e crea precarietà); dobbiamo difenderci dalle aziende cinesi e americane molto più potenti e avanzate delle nostre; dobbiamo difenderci dagli stranieri che sono troppi, fanno fatica a inserirsi, sono diversi e portatori di culture altre; dobbiamo difendere il nostro paese (adesso anche dalle guerre) e il nostro modo di vita che rischia di essere stravolto; dobbiamo difenderci dagli altri perché tutti sono diventati “competitors” e non ci possiamo fidare.

In questo modo di vedere e di pensare la destra ci sguazza, si trova a suo agio: la sua concezione di fondo è sempre stata la difesa della tradizione (“Dio, patria, famiglia”), della nazione, della realtà presente.

La nuova destra porta all’esasperazione questi “valori” della nazione e della tradizione, facendo degli stranieri il capro espiatorio, sino al razzismo, e affermando il più risoluto nazionalismo.

La sinistra è al riguardo chiaramente sfavorita e si trova pertanto in difficoltà: la sinistra è per il cambiamento, per l’innovazione, per la trasformazione della società. Ma in questa realtà globalizzata, dove controlliamo poco o niente, quali cambiamenti si possono realizzare?

La prospettiva giusta sarebbe un’Europa in grado, per la sua dimensione, di fare una politica internazionale, economica, industriale, finanziaria a livello mondiale.

Questa linea razionale e propositiva che si potrebbe definire di “più Europa” si scontra, appunto, con una destra che ferma nel proprio nazionalismo, sostiene “meno Europa”.

La sinistra ha bisogno di prospettive, di orizzonti, di progetti che guardino all’avvenire, ma questi si dovrebbero realizzare a livello europeo, dove invece troviamo lo sbarramento della destra.

La battaglia politica sull’Europa è decisiva, perché lì è in gioco tanta parte del nostro destino.

Con molta pazienza occorrerà nei prossimi anni costruire prospettive che abbiano un forte consenso tra la gente, in modo di avere la forza per farle emergere e passare.

La sinistra (il centrosinistra) ha dunque davanti un compito difficile quanto indispensabile se vogliamo evitare che gli Stati europei si rinchiudano ognuno nel proprio angolo, uniti solo da qualche scambio commerciale e da confortevoli viaggi turistici.

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