Riceviamo e volentieri pubblichiamo
E’ difficile che la crisi passi a breve. Un operaio di un paese emergente costa venti volte meno di un operaio europeo. I nostri supermercati sono pieni di prodotti provenienti dai paesi emergenti, costano molto meno di quelli prodotti da noi. Anche qualora disponessimo dei soldi per fare gli investimenti, cosa potremmo produrre? Questo prodotto sarebbe troppo caro e quindi difficilmente vendibile, esclusi i prodotti di alta fascia. Ma il mercato mondiale chiede in maggioranza prodotti di media e bassa fascia. L’Italia è un paese ricchissimo di opere d’arte e città d’arte, possibile che non si riesca a fare di più per il turismo? L’Italia ha un agroalimentare di buona e ottima qualità, possibile che non si riesca a fare di più? Siccome abbiamo perso negli ultimi cinque anni tanta produzione industriale perchè non ci buttiamo , con tutta l’energia possibile, sul turismo e sull’agroalimentare?
L’argomentazione di cui sopra è certificata dal fatto che il PIL (prodotto interno lordo) dei vari paesi europei o non cresce, o cresce pochissimo. Ma queste cose le vedo solo io ?
Parlano di ripresa, un anno dopo l’altro, e la ripresa in tutta Europa non c’è , anzi il Pil in tutti i paesi d’Europa più che crescere diminuisce. A me non sembra difficile capirlo. La metà del mondo, tre miliardi e mezzo di persone, stanche di morire di fame si sono messe a produrre i prodotti che prima venivano costruiti in Europa. Un operaio di un paese emergente costa da dieci a venti volte un operaio europeo. E ci sono quelli che vorrebbero svalutare l’euro, ma di quanto dovremmo svalutarlo per riuscire ad essere competitivi con i paesi emergenti? E ce ne sono sempre di più di paesi in cui si lavora con dei costi sempre più bassi, e faccio riferimento ai paesi del sud est asiatico. Vado in molti supermercati e li vedo solo io i tanti prodotti provenienti da quei paesi , con prezzi fortemente competitivi? E vedo solo io che in certi supermercati di elettronica è difficilissimo trovare un prodotto costruito in Italia o in Europa? E poi, se svalutiamo l’euro, il giorno dopo la svalutazione, quanto pagheremmo un litro di benzina? Che io sappia il petrolio lo paghiamo in dollari e forse qualcuno pensa che per la nostra bella faccia ce lo regalino?
L’altro aspetto inquietante è la sensazione che in Italia e in Europa si continui a vivere come se nel mondo nulla fosse cambiato. E non vorrei fare l’elenco delle varie categorie sociali o associazioni che continuano a dire le stesse cose che dicevano, dieci anni o vent’anni fa. E questo non rendersi conto dei cambiamenti, questo ritardo nell’analizzare la realtà è molto grave per l’ Italia e per l’Europa.
Cosa fare?
- a) se non riusciamo a produrre di più per la concorrenza dei paesi emergenti, dobbiamo ridurre la spesa pubblica
- b) dobbiamo risparmiare e razionalizzare la spesa. Ogni famiglia italiana l’ha già fatto
- c) dobbiamo incentivare e promuovere la produzione di prodotti di alta fascia
- d) dobbiamo forzare il turismo, abbiamo oltre il 50 % delle opere d’arte e città d’arte del mondo e non lo facciamo con la grinta e la determinazione che servirebbero.
- e) dobbiamo sostenere la vendita del nostro agroalimentare nel mondo. Cerchiamo e troviamo le soluzioni più opportune, come di norma avviene in aziende fortemente motivate allo sviluppo
Ma ci vogliono dei fenomeni per capire questo?
Sicuramente il novanta per cento delle famiglie italiane ha ridotto le spese della propria famiglia, causa la situazione economica. E allora stante il fatto che la crisi ha ridotto la crescita del prodotto interno lordo (Pil) è normale e non difficile comprendere che anche la spesa pubblica debba diminuire. Allora :
- a) spesa pubblica di ottocento miliardi, se solo la riducessimo del 5 % risparmieremmo quaranta miliardi di euro, da dedicare allo sviluppo.
- b) turismo,credibile. L’Italia ha nel mondo oltre il 50 % di opere d’arte e città d’arte e non riusciamo ad aumentare il turismo. Da non credere !
- c) l’agroalimentare. Abbiamo dei prodotti tra i migliori al mondo e non riusciamo ad aumentare l’esportazione in modo significativo.
Basterebbero queste tre voci, per metterci una pezza, e smetterla di piangerci addosso.
Sergio Pagani
11 Novembre 2014 at 15:42
Il turismo non è l’unica attività economica per la valorizzazione del patrimonio d’arte “coesteso all’ambiente come sua peculiare componente qualitativa”, come postulò il direttore dell’ICR, Giovanni Urbani, fin dall’inizio degli Anni ’70 del ‘900.
Urge una scienza economica capace di elaborare una innovante “ricchezza della nazioni” da produrre coltivando le risorse di cultura dei territori storici. Risorse da salvaguardare e non da trasformare secondo le logiche dell’industrialismo.
Come si avvia tutto questo?
Spetta ala cultura non continuare a scambiare i mezzi con i fini.
Buon lavoro a chi pensa.