A 77 anni, in una riunione della sua famiglia religiosa, Giuseppe Dossetti affronta il tema della conversione e mostra quanto debba essere totale il cambiamento di mentalità, di azioni, di affetti. La conversione non può avvenire, dice, se non siamo consapevoli di quanto sia glorioso il Dio di cui ci proclamiamo credenti e in che cosa consista tale gloria. Alla figura di Dossetti e a questo suo poco noto discorso è dedicato un piccolo e prezioso libro edito da Il Pozzo di Giacobbe
E’ di grande interesse il piccolo libro pubblicato dall’editore trapanese Il pozzo di Giacobbe, intitolato Il Signore della gloria (sottotitolo: Un discorso su conversione e storia); autore Giuseppe Dossetti. Di grande interesse sia per chi Dossetti lo conosce bene o abbastanza bene sia per chi lo conosce poco o nulla. Sono 120 pagine così ripartite: un lucido profilo biografico di Dossetti, curato da Enrico Galavotti, docente di Storia del cristianesimo a Pescara; un saggio di Fabrizio Mandreoli a introduzione e commento di un discorso che Dossetti, ormai anziano (aveva 73 anni), tenne alla sua comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata nel dicembre 1990; e il testo del discorso in questione, titolato appunto Il giorno del Signore e già pubblicato, nel 2005, nel volume La parola e il silenzio, che raccoglie discorsi e scritti di Dossetti dal 1986 al 1995.
Il profilo biografico coglie con acutezza i nodi essenziali della figura di Dossetti ed è arricchito da alcuni estratti, anche inediti, di testi dossettiani dal 1939 al 1993. Il saggio di Fabrizio Mandreoli è prezioso perché, oltre a riferire, chiarendoli e contestualizzandoli, i contenuti del discorso di Dossetti – un discorso in apparenza ostico e forse anche non attraente per via di quel vocabolo, gloria, che può apparirci lontano –, ne ricava e propone alcune piste di rilettura assai significative per il nostro tempo. E’ così che un discorso in apparenza, e dalle prime righe, poco attraente si fa invece assai vicino e stimolante.
Rimando al bel saggio di Mandreoli per le piste di “rilettura contemporanea” da lui individuate, e sulle quali ha scritto di recente Matteo Prodi in una recensione assai bella.
Mi limito, qui, a ricostruire la meditazione di Dossetti per come io l’ho accolta.
Il discorso che Dossetti propone ai suoi confratelli è incentrato su due poli: la conversione e la gloria di Dio. Dossetti dice che la conversione cui il Vangelo ci chiama è un cambio totale di mentalità, un dietro front radicale. Si tratta di convertirsi al Dio della gloria; ed è su questo che egli vuole parlare ai suoi amici: vuole spiegare che cosa voglia dire davvero questa gloria, e come essa si riveli agli uomini, e che cosa significhi convertirsi ad essa. Dossetti compie un itinerario in sei passaggi.
La gloria di Dio si rivela, innanzitutto, egli dice, nell’universo della natura, nella creazione: un fiore, un filo d’era, una formica… Se una rondine non ci parla della gloria di Dio, dice, “vuol dire che ancora non abbiamo cominciato a pensare, a essere e a volere da cristiani”. Dossetti si chiede se l’uomo delle nostre città li guardi ancora i cieli … Secondo passaggio: la gloria di Dio si rivela nell’universo degli spiriti, di esseri che esistono ma che sono immateriali ed invisibili ai nostri occhi: forse gli angeli, forse le potenze celesti … Non abbiamo neppure i nomi, eppure in qualche modo percepiamo questa infinita presenza spirituale (qui il saggio di Fabrizio Mandreoli aiuta nell’illuminare questo passaggio meno facile da cogliere, e rimando al suo commento). Terzo: la gloria di Dio si rivela nell’universo della Scrittura, che Dossetti dice di essere un universo più grande, più ricco e più prezioso dello stesso universo della creazione naturale; ma il nostro rapporto con la Scrittura, lamenta Dossetti, non poggia su questa consapevolezza. Quarto: la gloria di Dio si rivela nell’universo dell’uomo: la nostra perenne inquietudine, la nostra alternanza di stati di grazia e di profonda desolazione, noi non siamo in grado di spiegarle; possiamo comprenderle soltanto se accettiamo la parola di Dio, se riconosciamo il suo amore e la sua fedeltà; solo così riusciamo a ricomporci in unità e, nonostante le avversità, a placare le nostre lacerazioni. Quinto: la gloria di Dio si rivela nell’universo dell’umanità di Cristo, del Cristo coronato di gloria a causa della morte che ha sofferto a vantaggio di tutti; Cristo è il nuovo universo che ricapitola tutta la creazione, che ne rivela il senso profondo, e che ci fa capire a quale speranza siamo chiamati; ma si arriva a comprendere l’umanità profonda di Cristo – sostiene Dossetti – solo se passiamo per i vari stadi: la natura creata, gli spiriti invisibili, la Scrittura, la nostra umanità fatta di gioie e dolori. Sesto e ultimo passaggio: la Chiesa, cioè Cristo con la Chiesa, lo Sposo e la Sposa insieme. La nuova creazione. Qui Dossetti introduce le sue considerazioni conclusive, che offrono un’impegnativa risposta ai nostri crescenti interrogativi sul futuro della Chiesa.
Tutta la gloria di Dio, dice, la troviamo ricapitolata nel Cristo, ma, insieme a lui, nella Chiesa. La Chiesa, dunque noi. Il cristiano – dice Dossetti – cresce e si rafforza, in virtù dello Spirito santo, non nelle sue opere, nei suoi successi, ma nella sua dimensione interiore, “nell’uomo interiore”. E nella Chiesa c’è questa ricchezza infinita; perché infiniti sono i volti di uomo interiore, cioé i santi, i quali “sono infinitamente di più di quelli che noi conosciamo e mettiamo sui nostri altari”, dice Dossetti. Sono più delle stelle del cielo. La gloria della Chiesa, dunque, è il riflesso della gloria di Cristo e si costruisce giorno per giorno nell’uomo interiore dei santi, i tanti santi, capace di accogliere in sé la gloria del Cristo risorto.
Ma c’è un passo ulteriore. La gloria di Gesù, la gloria del Signore, è iniziata quando ha detto il suo sì al sacrificio di espiazione. La gloria è venuta attraverso la morte, accolta a vantaggio di tutti. Questa è l’autentica gloria.
Questo che cosa significa per noi? Significa che anche noi (noi, la Chiesa) dobbiamo partecipare, con Cristo, a cancellare i peccati del mondo e a reintegrare il tessuto dell’esistenza laddove si è corrotto. “Dobbiamo credere che lo possiamo”, dice Dossetti, che è possibile “questo miracolo dei miracoli”. E’ “un dovere-potere”. Ci riusciremo?, si chiede. La sua risposta è sì: “Sì, io credo di sì – dice –, se sempre più faremo una profonda attenzione al nostro uomo interiore, se davvero ci convertiremo a lui”. “Non sono cose – aggiunge – che si vedono a prima vista da tutti. Non sono cose che si compiono nella gloria del mondo, si possono solo compiere nel nascondimento di Dio, nella piccolezza estrema”. La Chiesa, dunque, è, “nonostante tutto” (i suoi peccati, i suoi fallimenti …), casta e gloriosa. Una gloria, però, tutta interiore. E “sarà sempre più così”, dice Dossetti. Come è per il singolo, la Chiesa è nel farsi piccola che potrà essere gloriosa. E, alla fine, essa “difficilmente si sottrarrà alla stessa peripezia alla quale è stato soggetto il suo sposo”. Qui Dossetti pone la domanda retorica, eppure cruciale: “Ma è mai possibile che la Chiesa non abbia a subire la stessa crisi e la stessa peripezia che ha subito il Signore della gloria? E’ mai possibile che anch’essa non sia soggetta allo stesso svuotamento, alla stessa kènosi, alla stessa necessità di passare per l’irrisione, l’obbrobrio, il disprezzo, la svalutazione progressiva, la perdita di tutti i valori apparenti?”.
Nelle parole di Dossetti – l’invito forte ai cristiani a credere nella possibilità (e nel dovere) di impegnarsi a guarire le ferite del mondo e della storia (e farlo “nella piccolezza estrema”), e l’avvertimento che la Chiesa non potrà che trovare derisione e ostilità nella sua strada, se sarà una strada fedele – colgo una verità profonda e una “lezione” preziosa per il tempo presente e venturo; sebbene la radicalità delle sue parole – in questo discorso del dicembre 1990 come in tanti altri momenti della sua vita, sia politica che ecclesiale (come l’efficace profilo biografico di Galavotti ricorda) – possa assumere talvolta una severità che appare eccessiva.
Giampiero Forcesi