Cosa c’è dentro l’Italia del No?

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Questo articolo è stato ieri “postato” come commento al 30Righe di Vittorio Sammarco. Ma, data l’ampiezza e l’interesse dell’analisi, lo proponiamo anche in questo spazio del nostro portale

 

Questa è una riflessione a caldo, elaborata, nei tempi possibili, in questi tre giorni dalla data del referendum del 4 dicembre 2016. E’ molto lunga, mi dispiace. Riflessione parziale (e di parte), passibile di correzioni di tiro, non per tatticismo ma perché il dibattito serve se si è disposti ad ascoltare e anche ad accogliere le opinioni degli altri.

Il voto con cui si è espresso il popolo italiano merita il massimo rispetto e la massima considerazione. I primi a dover riflettere sul significato del voto e sugli errori commessi (perché, quando si perde, qualche errore lo si è commesso per forza) sono ovviamente Renzi, il PD e i sostenitori del Sì. Ed è comprensibile la soddisfazione di chi ha fatto campagna per il No, per una ragione o per l’altra, visto l’ampio risultato ottenuto.
Detto questo, mano a mano che passano le ore e i giorni e si analizzano caratteristiche e distribuzione del voto, emerge che buona parte dei voti contrari alla riforma costituzionale (in ogni caso, la parte decisiva) non sono collegati al merito della riforma stessa ma alla volontà di punire Renzi e il suo Governo. Affermare che questo slittamento di significato sia stato dovuto anche al modo con cui Renzi ha affrontato la campagna elettorale (la famosa “personalizzazione” che è diventato un mantra in questi mesi) rappresenta qualcosa di vero che però non tiene conto di un dato di realtà: i sondaggi erano sfavorevoli già mesi fa e assodato che anche senza un suo impegno diretto la sconfitta avrebbe comunque significato la fine del Governo (e risulta davvero difficile pensare il contrario, salvo voler fare dell’accademia), Renzi non aveva che due possibilità: mantenere un profilo basso per evitare l’eccesso di personalizzazione, avviandosi però con tutta probabilità verso una sicura sconfitta; o tentare di mettere tutto il peso della sua leadership e della sua capacità comunicativa per cercare di recuperare il più possibile, magari arrivando a strappare il risultato negli ultimi metri. Non solo per il carattere del personaggio, quindi, ma anche per le condizioni date, la scelta di un impegno totale diventava difficilmente evitabile, anche se questo ha avuto come conseguenza inevitabile una forte accentuazione della sovrapposizione (comunque esistente) tra voto sulla riforma e voto sul Governo.

Se il no avesse vinto soprattutto per un reale e diffuso dissenso sulla proposta di riforma, ci sarebbe da fare un certo tipo di ragionamento. Ma se le analisi confermeranno che ha inciso in modo determinante la volontà di “mandare a casa Renzi”, al di là del merito della riforma stessa, occorre cercare di capire per quali ragioni ciò è avvenuto, oltretutto senza, al momento, vere prospettive alternative (come poteva essere ai tempi dello scontro tra Ulivo/Centrosinistra e schieramento berlusconiano).
Si possono considerare i contenuti e gli effetti delle singole leggi promosse dal Governo e approvate dal Parlamento, alcune delle quali criticate da una parte della popolazione. Si può ragionare sulla simpatia o l’antipatia di Renzi, sul suo decisionismo, su quella che è stata definita “arroganza”, sul suo stile comunicativo, sulla sua capacità o meno di rimanere in sintonia con l’elettorato. Tutte cose che meritano attenzione e hanno certamente pesato.
Ma la mia impressione è che ci sia uno scarto, un’eccedenza tra quello che Renzi ha rappresentato, fatto, comunicato e la durezza con cui è stato giudicato (anche prima del referendum) e “mandato a casa”.

Un’eccedenza che dovrebbe seriamente preoccupare anche chi ha votato no per ragioni collegate al merito della riforma e far riflettere anche chi, pur dotato di grande esperienza, intelligenza e preparazione, ha parlato con insistenza di “rischio di svolta autoritaria”, accusa peraltro fatta propria anche da qualcuno che non aveva certo titolo per portarla avanti.

Ho l’impressione che si siano incanalati in questo appuntamento sentimenti che vanno al di là del giudizio politico sulle realizzazioni del Governo o sulla figura del Presidente del Consiglio.
C’è un sentimento di rabbia, insofferenza, risentimento, paura, frustrazione che attraversa oggi nel profondo la società italiana, così come altre comunità occidentali. I principali motivi di tutto questo sembrano noti: la crisi che non finisce, la disoccupazione e la precarietà, la paura dei migranti, il senso di insicurezza, le critiche alla politica e all’UE e molti altri problemi di cui sappiamo.

Ma sono gli unici motivi o c’è dell’altro? Ne parleremo fra poco.

A Renzi si può rimproverare non tanto il fatto che lui abbia cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno e di scuotere con l’ottimismo da una certa tendenza vittimistica che a volte ci prende, quanto di non aver detto con abbastanza chiarezza che il cammino per “uscire dal tunnel” sarebbe stato lungo e faticoso e che le risposte immediate, anche quando giuste, non sempre avrebbero potuto dare frutti nel breve periodo, anche perché c’è intorno (cioè dentro…) un mondo in ebollizione (però, siamo sinceri: quale leader politico – non tecnico – si è mai acconciato volentieri a presentare ai cittadini una prospettiva incerta e difficile?)

A tutte le persone che hanno a cuore il bene comune e in primis ai politici spetta il compito di interpretare questa rabbia che attraversa il Paese, che per fortuna (se non in casi sporadici) non si è trasformata in violenza fisica ma che si esprime invece – e in modo allarmante – con la violenza verbale.

Renzi, il suo Governo, i suoi Ministri e Ministre sono stati oggetto di un’ondata di disprezzo che difficilmente ha avuto paragoni nella nostra storia recente. So di urtare qualcuno e me ne scuso, ma l’affermare che il problema ha riguardato “entrambe le parti” è politicamente corretto ma – per quello che ho potuto vedere io – non corrispondente alla realtà. Se è vero che in una campagna elettorale i toni si possono anche fare aspri e duri e che anche dal fronte del Sì sono arrivate modalità di comunicazione non condivisibili, la quantità di aggressività verbale scaricata nei confronti di Renzi e del suo Governo da parte di molti (non tutti, certamente!) sostenitori del No mi è parsa di gran lunga maggiore rispetto a quella della parte avversa.

Userò un termine forte ma non ne trovo uno più adatto: per una parte della popolazione italiana c’era bisogno di un capro espiatorio (nel suo senso tecnico).

Del resto, lo stesso Renzi – non so quanto involontariamente – si è autorappresentato così, nella notte della sconfitta, dichiarando pubblicamente di assumersi tutte le responsabilità, quando sappiamo bene (e lo sa anche lui) che, certo, in prima fila c’è il o la comandante, ma se non ci sono anche altri intorno, nessuna impresa da soli è possibile, sia nel bene che nel male.

Vorrei a questo punto chiarire una cosa. Quando parlo di rabbia e di capro espiatorio non intendo usare questi termini in senso accusatorio verso qualcuno o, in parallelo, “vittimistico” rispetto a chi è stato “oggetto” del “sacrificio”. Né intendo queste categorie come “voto di pancia” o “di protesta” (in senso dispregiativo) contrapposto a “voto di testa”: la rabbia, la “pancia”, la protesta, i capri espiatori e in generale emozioni e sentimenti, fanno pienamente parte della dimensione politica (a volte in modo eminente), incidono sulle decisioni e gli orientamenti e guai a non considerarli. Altrimenti non capiremmo nulla di molti fenomeni del passato lontano e recente. Il problema, semmai, è come lavorare perché queste dimensioni non superino una certa soglia, non diventino il metro fondamentale e unico di giudizio a discapito di altre.

Non mi sembra quindi che abbia vinto la Costituzione contro Renzi, come ha titolato un quotidiano.

Il fatto è (tornando alla domanda di qualche riga sopra: “Ma sono gli unici motivi o c’è dell’altro?”) che questa rabbia italiana, che ha pesato in modo determinante per la vittoria del no (aggiungendosi ad altre motivazioni politiche e di merito) sembra eccedere, anche qui, i singoli problemi che pure ci sono. E’ come se l’attesa frustrata di quello che ci si aspetta e ancora non c’è avesse il sopravvento su quello che già c’è e che è possibile avere in questo contesto. E’ come se ci si aspettasse da un momento all’altro un miracolo che non arriva. Ed è disperante.

E’ su questi aspetti che bisogna (tutti) riflettere, ma il cammino per arrivare a meglio distinguere tra attese ed illusioni è lungo e complicato. Certamente ciò che si agita nell’animo di molti italiani e italiane potrebbe premiare, ben oltre i propri meriti, chi in questo momento promette un Nuovo Inizio in cui ogni lacrima sarà asciugata e ogni problema risolto, ergendosi a difensore della Democrazia con la D maiuscola, purché essa non riguardi il proprio movimento, chi propone una piattaforma in cui sono mescolati valori e obiettivi non coerenti fra loro, ma che come la pozione magica di Panoramix, renderà invincibili.

Ma queste stridenti contraddizioni non sembrano, ahimè, preoccupare più di tanto l’opinione pubblica e, in particolare, i giovani. Pur dovendosi riconoscere l’entusiasmo, la buona fede e la sincera voglia di impegnarsi di tanti: energie che le forze politiche “tradizionali”, purtroppo, non hanno finora saputo intercettare e valorizzare.

Last but not least, mi sembrano doverose alcune parole sulla lacerazione che si è creata in una parte di quell’area del cattolicesimo italiano che – per capirci – si riconosce nel campo di sinistra – o centrosinistra come dir si voglia. Credo che nel complesso il dibattito sia avvenuto in un clima di correttezza e serenità, con qualche punta di asprezza qua e là, rimasta però isolata. Si potrebbe dire che non poteva che essere scontato che fosse così, ma in ogni caso è giusto prenderne atto positivamente. Siamo ancora qui, un po’ provati, ma – credo – tutti desiderosi di continuare a dialogare, ad ascoltarci, a costruire.

Credo però che sia opportuno riprendere in mano alcuni dei temi che il dibattito sul referendum ha suscitato. La riflessione, ad esempio, sul significato presente e futuro della democrazia, in particolare della sue modalità di funzionamento istituzionale, andrebbe ripresa se non altro per rimettere a fuoco riferimenti e concetti che ricorrono anche nel nostro piccolo – ma qualitativamente alto – dibattito.

Infine, c’è da chiedersi con urgenza da dove ripartire per costruire una proposta politica che non sia in partenza velleitaria e minoritaria.

 

Sandro Campanini

 

5 Comments

  1. Concordo con l’analisi di Sandro e mi permetto di aggiungere una mia riflessione.
    Sono naturalmente molto dispiaciuta per il risultato del Referendum Costituzionale. Credo che il nostro Paese abbia perso una occasione importante per migliorare la qualità della sua vita democratica. Ma ciò che mi colpisce di più sono le motivazioni che hanno prodotto la bocciatura della Riforma. Tra chi ha votato no, una certa percentuale lo ha fatto perché, pur condividendone gli obbiettivi, riteneva che le soluzioni adottate non fossero adeguate (confuse, insufficienti, controproducenti…). E fin qui nulla da dire perché la Riforma si prestava a giudizi diversi.
    La maggior parte dei “no” però è nata da motivazioni che nulla avevano a che fare con la Riforma.
    – Si è trattato in molti casi di un voto politico riguardante il Governo a guida PD considerato responsabile di tutti i mali del Paese: “Piove, Governo ladro”. (Per la verità, visto il risultato da questo punto di vista… per il PD è andata molto bene perché, se alle vittoriose elezioni Europee aveva ottenuto circa 11.200.000 voti, questa volta ne ha ottenuti ben 13.430.000..). Al di là delle battute, questa motivazione si basa su un atteggiamento per me preoccupante e che va molto al di là del Governo Renzi. E’ la motivazione di chi si sente rabbiosamente “contro” a prescindere, “perché chi governa ci vuole sicuramente imbrogliare, non risolve i problemi che abbiamo quindi bisogna mandarlo a casa”. Se ci pensiamo, anche l’iniziale, ampio consenso di Renzi si basò su questa idea: “rottamiamo” chi ci ha governato fino a ora. Essere “contro” ha sempre delle motivazioni (tutti i Governi sbagliano) ma esserlo “a prescindere” significa impedire sul nascere qualunque sforzo di miglioramento che richiede tempo e fatica. Noi adulti, e in particolare noi educatrici ed educatori, abbiamo una grande responsabilità in questo senso perché spesso siamo i primi a gettare discredito generalizzato sul nostro tempo e in particolare sulla politica e su chi ci rappresenta nelle istituzioni. Così contribuiamo a creare un clima di sfiducia e di sospetto che certo non aiuta a distinguere il bene dal male e a costruire la Polis.
    – Altra motivazione diffusissima puntava sull’idea che questa Riforma avrebbe portato a una dittatura o comunque avrebbe limitato la libertà del popolo. Questo messaggio ha avuto una grande presa sui giovani (ho fatto qualche test nella mie classi e posso documentarlo). Ritengo che i fautori del no si siano assunti una grave responsabilità facendo queste affermazioni di cui sono pieni i loro volantini. A mio parere hanno deliberatamente costruito una caricatura della Riforma, caricatura che non aveva fondamento alcuno nel testo. Come si può scrivere, come hanno fatto per esempio i Cattolici per il No: “La posta in gioco tra il Sì e il No nel prossimo referendum costituzionale è l’abbandono della Costituzione vigente e la sua sostituzione con un sistema di democrazia dimezzata in cui i valori e i diritti riconosciuti nella prima parte della Carta, da cui dipendono la vita, la salute e la possibile felicità dei cittadini, sarebbero isolati e neutralizzati per lasciare libero campo al potere del denaro e delle sue istituzioni nazionali e sovranazionali” ?!
    – Poi c’è anche chi è andato oltre le caricature passando direttamente alle menzogne: “L’obiettivo è sempre lo stesso: trasformare la repubblica parlamentare in repubblica presidenziale” (coordinamento “Democrazia e Costituzione” ); “La costituzione non può essere modificata da un Parlamento illegittimo” (comitato “Io voto no”) fino all’esilarante “Se la Riforma passasse, ecco le tappe già annunciate della strategia contro la famiglia: matrimonio gay, adozione gay e single, utero in affitto, divorzio lampo, liberalizzazione droghe, eutanasia anche infantile, estensione procreazione artificiale a coppie gay e single, omofobia/transfobia” (Le famiglie del Family day).
    Sicuramente tutte le parti in campo hanno commesso errori e ceduto a qualche esagerazione ma io penso che molti fautori del no abbiamo davvero oltrepassato il limite.
    Non sono mancate le cose belle: è stata suscitata molta passione, qualcuno ha sicuramente colto l’occasione per conoscere meglio la Costituzione, molte persone sono andate a votare. Bisogna partire da qui e riprendere il cammino.
    Carla Mantelli

  2. Egregi,
    capito su questo blog per caso, e vi invio brevemente due contestazioni (senza tentarle di giustificarle compiutamente con tutte le considerazioni a sostegno che sarebbero necessarie).

    Primo: le proposte modifiche costituzionali erano pessime, mal scritte, inappliccabili, perfino bizzarre, e del tutto ortogonali ai problemi del paese. In quale paese un organo legislativo nazionale è composto da Sindaci? Vi immaginate quale politichetta da provincia avrebbe suscitato – ogni tre/quattro anni e a macchia di leopardo per le varie Regioni – la scelta – indiretta e nel chiuso del sottobosco partitico regionale – di quali città andavano designate per inviare il proprio sindaco a Roma? Si immagina facilmente l’apoteosi di lotte di campanile, gli accordi a ribasso con nomina a Senatori di sindaci di micro comuni, ecc. ecc. E similmente, siccome le Regioni si occupano sostanzialmente solo di spesa sanitaria, uno non dovrebbe fare fatica a immaginare come il governo, con il nuovo Senato, si sarebbe mosso per elargire fondi mirati a ‘comprarsi’ il consenso di quel o altro consigliere Senatore, facendo definitivamente saltare i conti del SSN. In effetti, uno si deve perfino porsi il problema di quale cultura giuridico/istituzionale media ha chi ha scritto il testo della riforma, e di quale preparazione scientifica abbia una parte non secondaria dell’accademia italiana, se proposte del genere non sono state fatte abortire in fase di scrittura come proposte del tutto dilettantesche.

    Secondo: il problema del paese, dal 1989, è come strutturare il sitema politico nazionale. Con la caduta forzata di Berlusconi, è fallito -definitivamente?- il tentativo di creare in Italia un sistema bipolare e una dinamica politica basata sulla possibilità dell’alternanza, in accordo al voto popolare ogni 4/5 anni. Quale l’alternativa al bipolarismo? Ovviamente un ritorno a un qualche centrismo, ove una forza monopolizza il potere politico centrale a tempo indefinito. Nel pre-1989 questo era garantito da limiti esogeni (Yalta e il ruolo di opposizione a vita del PCI), e dalla capacità della vecchia DC di accogliere, filtrandole ma non escludendole a priori, le più diverse esigenze. Con una battuta, il centrismo come monopolio della mediazione. Sicuramente Renzi non è un bipolarista, essendo anzi la sua riforma semmai pensata a creare le condizioni per forme di trasformismo (nel senso storico italiano) a sostegno di un centrismo anti-bipolarista. E – per esser chiari – il ballottaggio dell’Italicus è sicuramente stato pensato come fittizio, scommettendo, con un pizzico di azzardo, che nessuna altra forza avesse la capacità di superarlo. Ma, a questo ruolo, non può corrispondere una politica, e sopratutto una propaganda, di autorappresentazione come portatore di una propria agenda programmatica di cambiamento, presentata come di chi si pone nella situazione di aver individuato un percorso politico a cui gli altri è impedito partecipare in quanto inadeguati, obsoleti o eversivi. Queste sono semmai tecniche per la costituzione di una parte politica utili a vincere una elezione in un sistema bipolare. Nella furbata di nascondere una politica centrista contraria al gioco delle alternanze sotto una propaganda con temi propri di quel gioco, primo tra tutti quello del sapere la sera del voto chi ha vinto, Renzi si è giocato le sue carte.

    Detto più banalmente, Renzi risulta un flop perchè era un bluff, non avendo consapevolezza dei problemi fondamentali del paese, e della scelte che questi richiedono.

    Grazie ospitalità.
    Buona fortuna a tutti noi
    mario

  3. Gent.ma Carla,
    concordo sulle tue osservazioni e in particolare sul fatto che ci sia stato un voto solo politico e non centrato sull’argomento del referendum ; indotto dall’errore politico di personalizzare l’esito dl referendum… una sponda per il comitato del no. ( Anche Renzi commette i suoi errori e lui non è superman come del resto nessuno di noi )

    Trovo ridicola la motivazione sostenuta da tanta parte di chi ha votato no sostenendo il pericolo dell’uomo solo al comando. Trovo molto false tante osservazioni di tanti comitati del no, che giustamente hai sgnalato che hanno dato solo coperture a quei partiti che sostenevano il no ….incapaci di contestare il merito della riforma e la forza di chi la proponeva

    Penso con rabbia all’occasione persa, non tanto dal PD quanto dal ns. paese che con Renzi aveva trovato finalmente una guida concreta.

    Sento molti aggettivi denigratori dell’attività del PD e di Renzi; credo siano la dimostrazione dell’inutilità di tanta opposizione, incapace di contestare con veri argomenti.

    Considero che presto si vedrà la differenza fra un governo produttore di cambiamenti come l’attuale e eventuali nuovi esecutivi . Ora una legge elettorale omogenea a camera e senato che garantisca governabilità e poi al voto.

    Presto si capirà l’ incosistenza di chi oggi è solo capace di dire dei no ; in fondo una riforma può essere sempre perfettibile per cui al risultato ottimale si può arrivare anche per step e non necessariamente con un risultato diretto. I fautori dell’ “….. è tutto sbagliato o del io non faccio nulla e non sbaglio mai – vero m5s …” presto se ne renderaanno conto che la loro era solo eccesso di presunzione .

  4. Provo anch’io a fare una riflessione su quanto successo.
    Ritengo le vostre analisi condivisibili ma parziali. Ci sono due piani: uno la situazione fattuale.
    Siamo immersi, in tutto il mondo occidentale, ad uno tsunami che ci ha colti impreparati: l’onda enorme della globalizzazione, dell’immigrazione e della digitalizzazione.
    I nostri sistemi produttivi si sono trovati in concorrenza con paesi che producono a prezzi decisamente inferiori con necessità di delocalizzazioni, contenimento di costi, sostituzioni di mano d’opera con macchinari. Il tutto condito con la robotizzazione e la digitalizzazione (macroscopica la modifica del core business delle banche e dell’utilizzo del personale); fenomeno destinato ad accentuarsi ed a provocare appunto autentici terremoti in vari settori (trasporti, editoria, costruzioni). Insomma c’è da gestire una situazione estremamente complicata che non può che provocare paure, risentimenti, nel breve periodo disoccupazione, mobilità etc.
    E poi l’immigrazione gestita con politiche di contenimento anziché di programmazione. Ci vorrebbero capitali, più collaborazione ed unione in Europa, patti sociali tra generazioni e regioni diverse: insomma una politica lungimirante e saggia. Invece emergono nazionalismi, chiusure, diffidenze con allargamento delle differenze tra le componenti sociali.
    E’ chiaro che chi governa sia soggetto a critiche, perdita di consenso, sconfitte, difficoltà di amministrazione. Questo si sta verificando in tutto il mondo: non ne è esente, in qualche misura, la Germania nonostante la storica disciplina nazionale.
    Questa circostanza non poteva che accentuarsi in Italia dove la coesione nazionale è sempre stata ai minimi, il consociativismo esasperato, una struttura statuale pletorica che manifesta inefficienze ataviche. Siamo, come noto, il Paese dei campalinismo che in più esce da una crisi politica (berlusconismo, per non andare più indietro) ed economica (anche indotta dall’estero) epocale che ha visto una riduzione decennale e progressiva del sistema produttivo e del PIL.
    E’ evidente che le opposizioni ci sguazzano; ognuno pensa di trarre il massimo vantaggio elettorale da una situazione ingarbugliata ed oggettivamente, entro certi limiti, ingestibile.
    Insomma in estrema sintesi qualsiasi governo non può in questa contesto che collezionare sconfitte elettorali vista, ripeto, l’oggettiva impossibilità di tappare falle che continuamente si aprono.
    Il secondo piano: lo story telling.
    Renzi ha indubbiamente fatto grossi errori; ma cosa doveva fare se non cercare di suscitare ottimismo e dare una spinta ad un Paese fermo, che si piangeva addosso, con una imposizione fiscale che mortifica le iniziative imprenditoriali, entro certi limiti incentiva una evasione (di sopravvivenza?) e riduce i consumi (certamente la crisi demografica non aiuta).
    In più la stampa ha cambiato vento; La7 dopo l’acquisizione da parte di Cairo ha svolto una campagna subliminale (Crozza, L’Aria che tira: che ha ospitato continuamente ex o della minoranza PD etc.) di dileggio e quindi di feroce opposizione. Così pure Sky senza considerare le TV commerciali con programmi di chiaro stampo razzista.
    E veniamo ad altri punti che hanno attirato la mia attenzione:
    L’ “Io contro tutti”: Renzi è indubbiamente un po’ arrogante; ma gli hanno fatto tutti la guerra compresa la minoranza PD che ha una visione proprietaria del Partito, che lo considera un usurpatore e che ha cominciato fin dall’inizio a contrastare qualsiasi iniziativa, salvo votarla “obtorto collo” in Parlamento, sotto la minaccia della “fiducia” ma contestandola pubblicamente. Insomma a difendere Renzi c’erano soltanto i c.d. renziani non il PD. Se vediamo come si comportano gli altri… Non appaiono differenze e discussioni (anche se ovviamente ci sono) ma solo compattezza.
    In definitiva la sindrome Ferrero/Bertinotti/Turigliatto/Rossi: incapacità di aderire ad una disciplina di partito e di accettare un ragionevole compromesso.
    Il Partito: Si dice che “i partiti non ci sono più”. Convengo, se non altro nelle forme precedenti.
    Alcuni amici affermano anche che “il PD è stato completamente depotenziato dal suo segretario che ha dimostrato di non amarlo, di considerarlo semplicemente una macchina per gestire il consenso nei suoi confronti”.

    Sarà… Tuttavia trattasi, come già detto, di una crisi epocale (basti pensare come sono strutturati FI e i 5 stelle). Le liturgie di una volta (seppure valide) non tengono più.
    Tutto considerato siamo in un bel caos. Penso che Renzi sia una risorsa importante per il Partito e per il Paese; nel presente, a mio avviso, comunque non utilizzabile. Ricompattare il partito (impresa difficilissima tanto che mi sto chiedendo se vale la pena di continuare a restarci) ed andare alle elezioni quando possibile (ovviamente bisogna togliere il ballottaggio perché significherebbe ancora una volta il PD contro tutti) mi pare necessario: tuttavia è chiaro l’interesse degli altri di lasciare il cerino al PD nell’intento, visto quello che ho detto prima, di logorarlo definitivamente.
    Vedremo cosa succede in Parlamento e cosa decide di conseguenza Mattarella.
    Luigi Mazzoli – Parma

  5. Alcune osservazioni:
    1- la riforma costituzionale è stata sollecitata da Napolitano e chiesta al Parlamento proprio nel momento in cui applaudiva, quasi freneticamente, le pesanti critiche che lo stesso Napolitano scaricava sui suoi componenti;
    2- il PD non ha assunto il dovuto ruolo di promotore della riforma impostandola da subito dentro il Parlamento e facendone il tema dominante del dibattito politico al suo interno;
    3- Renzi, appena conquistata la segreteria del partito, ha da subito impostato l’azione sull’accordo con Berlusconi (secondo uno schema andreottian-craxiano) senza preoccuparsi troppo di problemi di trasparenza e, soprattutto, non investendo tutto il partito di questo tema focale della legislatura;
    4- intanto lo scomparire dei partiti accelera il processo di estraniazione dei cittadini rispetto ad un tema di così grande importanza. Per lo scolorirsi del PD diventa dominante il disinteresse del suo Segretario a farlo funzionare. Un partito se vuol vivere di reale partecipazione NON deve contare esclusivamente sul carisma (vero o presunto) del Capo e il Capo, anche se si ritiene carismatico, non deve dimenticare il suo dovere politico di servirlo perché sia strumento di partecipazione e di esaltazione della democrazia (non mi si dica che le primarie sono l’essenza della democrazia!!);
    5- Renzi si è intestato la riforma già nel 2015 quando pensava di avere un consenso elettorale crescente. Nell’ultimo mese prima del voto ha attuato una strategia comunicativa invasiva occupando tutti gli spazi possibili quasi pensasse di avere il dono dell’ubiquità. E qui si è evidenziato che i suoi più stretti collaboratori e consiglieri non lo servivano secondo un criterio di verità.
    6- La crisi di governo. Renzi ha oggettivamente creato difficoltà al Presidente Mattarella, non ha agito da statista. Personalmente penso che avrebbe dovuto accettare l’invito del Presidente di continuare nel suo ruolo di Capo del Governo, così non avremmo dovuto subire il rimpastino – e il timore di essere battuto al Senato – con il contorno della canea degli oppositori (ad eccezione di Berlusconi che ben sapeva di dover chiedere aiuto al governo per far fronte all’attacco di Bollorè), seguendolo nei consigli di priorità e nel contempo rassegnare le dimissioni da Segretario del PD perché il partito si sentisse stimolato ad assumere le iniziative politiche – in primo luogo la predisposizione di una proposta di nuova legge elettorale – necessarie anche a riattivare un dibattito interno reale in preparazione del congresso.

    Ora la situazione si è fatta molto nebbiosa e dagli esiti incerti anche sull’anticipo o meno delle elezioni. Ritengo molto difficile evitare tale anticipo, ma occorrerà porre la massima attenzione in primo luogo al referendum sul jobs act affinché l’anticipo non sia letto come un trucco del PD per rinviarlo al 2018 e, non da ultimo, al problema della maturazione del diritto al vitalizio (scatterebbe a metà settembre), problema che si può risolvere con una modifica interna a Senato e Camera nel senso di cancellarlo dando validità ai contributi versati solo per acquisire la pensione contributiva come accade per tutti. Avranno il coraggio i parlamentari di cancellare una semplice “legittima aspettativa” che non è ancora diritto acquisito?
    Per completezza il sottoscritto ha sostenuto personalmente e votato SI.

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