di Vittorio Sammarco
L’Amaca di Michele Serra sul quotidiano la Repubblica del 25 marzo ha suscitato un dibattito assai caldo sul web. Contestando le parole del card Bagnasco lo scrittore e giornalista milanese aveva obiettato che il mito della “Crescita Obbligatoria” e di conseguenza l’incentivo alla ripresa dei consumi, non solo sembra irrealizzabile ma è anche forse eticamente insostenibile (poco in linea con il pensiero di papa Francesco). Non sarà il caso invece di pensare alla famosa “decrescita felice”? In realtà le parole del Presidente della Cei (all’ultimo consiglio permanente) erano state più bilanciate: “è necessario incentivare i consumi senza ritornare nella logica perversa del consumismo che divora il consumatore.”, ma è bastata la citazione (fatta da Serra quindi solo sulla prima parte) per far scatenare Vittorio Zambardino (noto guru del web) e fargli parlare di alleanza cattocomunista “che dice molto del passato e purtroppo del presente di questo paese, in fatto di odio per la crescita, per la produzione della ricchezza, per il valore dell’interesse individuale nel creare benessere generale”, di più, fino a fargli scrivere che “l’ideologia cattocomunista è malata a partire dalla sua più nobile e grande radice”. Perbacco! “Malata”. A parte il fatto (che fatica ripeterlo mille volte…) che quella cultura è una delle radici più solide su cui si è sviluppato l’albero della nostra democrazia, una riflessione più pacata e senza insulti farebbe spendere qualche parola un po’ più coerente anche con quel che si scrive. Infatti, Zambardino, per contestare le tesi di Serra tacciate come “pauperistiche” che non consentirebbero né ai popoli più poveri di svilupparsi come hanno fatto finora i ricchi, né ai giovani di immaginare un futuro migliore, scrive: “la ricerca di un modello di sviluppo più equilibrato non è in contraddizione né con la crescita né con una società meno fanatica delle luci dei centri commerciali e più attenti a natura e salute”. Ecco, appunto: io penso che finora l’equilibrio non ci sia stato, che la spinta (fanatica?) verso le luci, il commercio, la spesa, le cose, la roba, i rifiuti, l’incremento senza sosta, il debito, lo spreco di risorse, l’aumento dei bisogni (indotto?), sia stata finora dominante e devastante; e invece una riflessione seria sulle necessità di limiti, regole, prospettive di impatto ambientale, futuro della Terra, cura del disagio per bisogni non soddisfatti, relazioni predatorie e quant’altro di inconvenienti prodotti dal mancato equilibrio, sia stato il frutto di decine di anni di turbo capitalismo.
Si vuole continuare così perché sennò l’economia non cresce? Bene, lo si dica, ma non si piangano poi gli effetti. Che sono di tutta evidenza. Lasciamo perdere poi la felicità o infelicità della decrescita. Diciamo solo che se riuscissimo a riorientare i consumi (non sopprimerli, ma indirizzarli verso una maggiore attenzione ai beni comuni, materiali e immateriali, alla tutela del patrimonio ambientale, alla cura delle persone, alla formazione e l’informazione, alla ricerca, l’energia alternativa, la qualità della vita nel suo complesso) forse avremmo fatto un passo significativo verso un domani migliore. Dando lavoro e limitando i danni. Cammino difficile e faticoso, lo so, non privo di inciampi, cadute e ostacoli, chi lo nega. Ma oggi, lo sappiamo bene, cosa c’è di facile…
L’importante è che non si taccia di ideologie fanatiche né gli uni né gli altri. Nell’interesse di tutti.
1 Aprile 2014 at 19:13
La sfida più importante della crescita è l’impegno nella riduzione delle differenze.