Dal film su Enrico Berlinguer, riflessioni su una discontinuità ideologica

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di Salvatore Vento

Il bel film di Andrea Segre, “La grande ambizione”, con un Berlinguer interpretato da Elio Germano, ha già visto una larga partecipazione di pubblico (circa 200 mila persone), segno evidente del bisogno di misurarsi con una visione alta della politica. Una personalità, quella di Berlinguer, di indubbio valore morale: non solo tra coloro che hanno vissuto l’esperienza del Pci, ma per ogni cittadino democratico, oggi, peraltro, molto demoralizzato. Il film inizia quando nel 1973 il segretario del Pci subisce un attentato a Sofia (da parte dei servizi segreti bulgari?).

In genere i commentatori del film si soffermano sulle qualità morali e sull’etica di un uomo politico che esprimeva sentimenti veri, non contraffatti da esigenze indotte dalla società dello spettacolo. Egli aveva un modo serio e sobrio di presentare i propri convincimenti. La sua caduta nel “campo di battaglia” durante un comizio a Padova, e poi la successiva morte l’11 giugno 1984, costituiscono un’ulteriore conferma della coerenza vita-politica. Pierre Carniti nel porgere le condoglianze alla famiglia disse parole vere e non di circostanza:

Il fascino di Berlinguer, almeno per come io l’ho conosciuto, stava, del resto, nella sua diversità. Non la diversità ambigua del PCI che lui stesso predicava e mitizzava, ma la diversità vera di lui come uomo, per la serietà che esprimeva, il riserbo, la parsimonia che dava addirittura un’impressione di ascetismo, l’impegno nel lavoro, la moralità, virtù che ne hanno fatto non solo un politico diverso, ma forse anche un comunista diverso. Penso anche alla scrupolosa separazione del pubblico dal privato. Il grande riserbo con il quale tutelava la sua vita privata, familiare, sforzo dietro il quale si intuiva l’affetto, l’amore per la moglie, per i figli. In una fase nella quale la politica tende a trasformarsi in spettacolo, al quale tutto è sacrificato e consumato, questo riserbo, questo pudore a tutela di sentimenti e valori essenziali hanno fatto, secondo me, assai più delle scelte politiche sulle quali si è discusso e si discuterà di Berlinguer, un politico esemplare.

Il film dà molto rilievo ai rapporti con Mosca e sottolinea il distacco e la critica ai paesi dell’Est, ma proprio su questo punto Berlinguer non riesce a portare fino in fondo questo distacco e considera sempre la rivoluzione bolscevica e l’Urss punti di riferimento per il  movimento operaio; molto lontano dalla vera rottura ideologica attuata dai socialisti tedeschi nel 1959 al congresso di Bad Godesberg.

Alla luce di questa premessa, se vogliamo trarre qualche insegnamento dobbiamo approfondire il suo lascito. Mi limito ad alcune schematiche considerazioni del periodo che ho vissuto in prima persona: gli anni 1975-1984. Fu una fase di grandi conquiste sociali, grazie anche alle lotte sindacali (vedi riforma sanitaria, abolizione dei manicomi) e alle mobilitazioni degli studenti e del movimento delle donne (vedi divorzio). A fronte di questo dinamismo della società italiana (il Pci aveva raggiunto il 34% dei voti), Berlinguer non seppe trasformare questi mutamenti in una proposta politica di governo del paese gettando le basi di un’alternanza tra diversi schieramenti, che è il sale della democrazia. Propose invece, alla luce del golpe cileno, la strategia del “compromesso storico” che, in pratica, si concretizzò nella formula del “governo delle astensioni” e dell’unità nazionale. Il rapimento e poi l’assassinio di Aldo Moro sconvolse il disegno politico di Berlinguer, che non aveva più un punto di riferimento certo all’interno della Dc.

L’altro elemento critico, di cui non si parla mai quando si ricorda Berlinguer, riguarda i rapporti col movimento sindacale verso il quale egli non riusciva a concepire che esso, nella società pluralista, potesse assumere un ruolo di autonomo soggetto politico di trasformazione sociale.  Partendo da questa convinzione Berlinguer si oppose duramente alla concertazione tra le parti sociali (Sindacati, Confindustria, Governo) che nel 1984, durante il governo Craxi, si concluse con un protocollo d’intesa non sottoscritto dalla componente comunista della Cgil. Non solo, il Pci promosse un referendum – per l’abolizione della legge che aveva recepito l’accordo – che fu sconfitto dagli elettori, anche nelle città dove più forte era stata la contestazione dei lavoratori delle grandi fabbriche.

L’auspicio è che le riflessioni su Berlinguer possano portare ad una ricostruzione laica della nostra storia contemporanea, senza pregiudizi ideologici.

 

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