Democrazia e partecipazione: ultima chiamata

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di Luca Emilio Caputo

“Ma se non si arriva al 50% non sarebbe giusto annullare le elezioni?”
In questa drastica, semplice domanda, sta un intero discorso: è la domanda di una cittadina (una delle tante persone comuni, non coinvolte nella dialettica politica ma non estranee alla politica in quanto tale) chiamata a svolgere le funzioni di scrutatrice alle Europee.
Provo però a stenderlo, quel discorso, perchè mi pare che il momento delle sofìe, dei dottrinalismi, delle alchimie costituzionali sia finito e ci sia solo da fare, forse per l’ultima volta, piena la propria parte, costi quel che costi.
Desolazione.
Non trovo altro modo per descrivere la sensazione provata durante le ultime elezioni Europee, in cui da Presidente di Seggio ho ricevuto una media di 1 elettore ogni 10 minuti; tanti dei quali, così come era successo nelle altre ultime tornate elettorali, coglievano l’occasione -forse la sola capitatagli- per rivolgersi ad una figura istituzionale, la più
immediata da incontrare, evidentemente, e dirgli:
“questa chiamata al voto: noi rispondiamo, ma per che cosa ci chiamate a fare?”.
Tra sabato 8 e domenica 9 giugno la noia, a un certo punto, in certe lunghe ore, ha preso il sopravvento: una noia mortale, di quelle che vorresti tanto andartene e lasciare tutto lì; la sensazione più forte, però, è stata una lacerante tristezza nel vedere gli effetti, sui concittadini, della distruzione del rapporto di fiducia tra le persone e i loro “eletti”, tra il popolo e le istituzioni che dovrebbero rappresentarlo al massimo livello.
Per la precisione, è opportuno ricordare che in nessuna democrazia delle nostre questa istituzione è il Governo o il Capo dello Stato: è sempre, ovunque, il Parlamento.
Rompiamo un po’ la prudenza ed andiamo dritti al punto, indicando direttamente il principale colpevole; con pochi semplici dati: nel 2006, subito dopo l’approvazione della prima legge elettorale illiberale prima e incostituzionale poi (e bocciata -troppo tardi dalla Corte), voluta dal Governo Berlusconi nel 2005 una volta che era fallito il tentativo di
elezione diretta del Premier, l’affluenza alle elezioni politiche fu dell’ 84%; questo dato, che segnava un 2,89% in più rispetto alle precedenti, soffriva già di un 3,12% di voti dati a liste “ultraminori”, inserite nelle uniche due coalizioni d’Italia allo scopo di racimolare, in una aspra e innaturale contrapposizione, ogni singolo voto in più che potesse far scattare i diversi premi di maggioranza: quello generale alla Camera e, ancora peggio, quelli regionali del Senato, che avevano come finalità, come espresso dallo stesso estensore della legge, di generare il caos rendendo il Senato ingovernabile per la coalizione vincente (i sondaggi davano in vantaggio il centrosinistra, ma sarebbe stato lo stesso a parti invertite).
Possiamo imputare allora a questa deriva antipolitica, voluta da alcuni partiti, l’inizio del collasso della fiducia tra elettori ed eletti:
affluenza in calo all’ 80% nel 2008, al 75% nel 2013, al 73% nel 2018 con la legge cosiddetta “Rosatellum”, fino al 64% nel 2022.
Ciò che ha accomunato le ultime due leggi elettorali è il fatto che i cittadini non possono più scegliere una persona: con la legge voluta da Calderoli l’unica scelta possibile era mettere una croce su un simbolo, praticamente ci hanno fatto regredire agli anni ’50.
Con quella voluta da Rosato, Forza Italia & friends, i partiti si sono superati: con un’unica croce porti a casa un pacchetto completo di persone scelte dalle Segreterie, e l’unica scelta rimasta a noi cittadini è di non votare.
In entrambi i casi, era sufficiente che i capi-partito avessero a disposizione dei buoni sondaggi per decidere a tavolino chi andava in Parlamento e chi no.
Il rapporto di fiducia elettorale non è più mai stato quello tra elettori ed eletti, come in qualsiasi democrazia, ma tra capi-partito ed eletti.
Tutto questo nonostante i Referendum del ’93, e nonostante la nostra Costituzione e soprattutto la nostra cultura nazionale vedano nella dignità e nel primato della persona, non dei partiti o dello Stato, il pilastro fondamentale della nostra democrazia.
In 16 anni le leggi elettorali nemiche della partecipazione democratica hanno mandato a casa un italiano su cinque, tutelando invece piena la possibilità per meno di dieci capipartito di mandare in Parlamento persone la cui unica caratteristica è di essere stati scelti da loro, magari qualcuno anche per motivi abietti che non conosceremo mai.
Insomma, più i partiti si indeboliscono, più si danno leggi elettorali che tolgono ai cittadini la possibilità di scegliere e di decidere: minore è la loro forza politica, più diventano antipolitici.
Tale è la forza distruttrice della democrazia che il crollo della fiducia ha coinvolto anche le Europee, dove la legge elettorale è diversa e ci sono anche le preferenze:
72% nel 2004, 65% nel 2009, 57% nel 2014, 54,50% nel 2019, 50% nel 2024.
Si dirà: “Bruxelles è lontana”; non è vero! Quello che è successo da noi non è successo invece negli altri principali Paesi Europei:
la Germania, che ha percorso un cammino legislativo totalmente opposto rispetto all’Italia,
è passata alle Europee dal 45,47% nel 2004 al 64,78%;
la Francia è passata dal 42,56% nel 2004 al 51,49%. Dati in crescita, che non riepilogo per semplicità, ma che linko in nota*, si possono trovare in quasi tutti gli Stati membri dell’ Unione Europea.
Insomma, i dati ci dicono che nessuno in Europa vede Bruxelles “lontana”, anzi appare sempre più vicina, mentre invece per noi si sta allontanando, tanto quanto si sta allontanando Roma.
Allora è chiaro che il problema è nostro.
Ed è altrettanto chiaro che il problema non riguarda i cittadini, che mantengono percentuali molto alte di partecipazione alle elezioni comunali, bensì chi va a chiedere loro il voto per Roma o per Bruxelles.
Che cosa possiamo fare allora, in attesa e nel dubbio che i nostri partiti di riferimento invertano la rotta, o che la Corte Costituzionale bocci anche quest’altra legge, perchè nemmeno questa ci permette di scegliere le persone?
Una iniziativa referendaria per sbloccare la democrazia interrotta in questo Paese e restituire ai cittadini un embrione di partecipazione democratica, un nuovo inizio di potere di scelta.
Questo, e solo questo, porterà le forze politiche a dover avere più coraggio nella proposta e più fiducia nella capacità degli elettori di scegliere quella migliore: si chiama “Democrazia”.
Nel mese di aprile ho aderito al Comitato Referendario per la Rappresentanza, che ha depositato quattro referendum per eliminare ciò che non va nel “Rosatellum”. Di questo ho dato conto nelle ultime due assemblee del Circolo Dossetti, certo di agire, con molta minor qualità e competenza, ma spero con la medesima sincera determinazione a difendere la democrazia italiana, nello stesso solco in cui Dossetti e il nostro maestro Giovanni ci hanno instradato ai tempi in cui loro hanno condotto le loro gloriose battaglie referendarie e di difesa della democrazia Costituzionale.
Questa iniziativa referendaria, che si chiama “Io voglio scegliere”, è partita da zero:
nessuna grande sigla, nessun partito ha partecipato alla sua costituzione, e si rivolge a tutti in maniera trasversale. Siamo certi che alcuni potranno capirci e sostenerci meglio di altri, ma quello che ci anima è ripiantare un seme di partecipazione democratica al termine di un ventennio in cui, semplicemente, ce l’hanno tolta come in una lenta asfissia.
Altri, più titolati, saranno gli incaricati di scrivere finalmente una nuova legge elettorale che ci possa restituire la possibilità di scegliere bene Parlamenti rappresentativi e così capaci di dare al Paese Governi funzionanti, nè gli nè gli altri prigionieri di pochi capipartito che farebbero volentieri collassare l’Italia, del tutto o quel tanto che basta a salvare gli interessi propri e dei propri gruppi di potere.
Noi invece vogliamo solo dare ai più volonterosi, ai meno disonesti, un’arma in più per salvare la democrazia e il Paese, ed è per questo che ci stiamo impegnando sacrificando il nostro personale, mettendoci in gioco.
Abbiamo però bisogno di aiuto, dell’aiuto di tutti, a cominciare da quello dei cittadini a cui è stata sottratto il potere di scegliere chi li deve rappresentare: entro il 15 settembre dobbiamo raccogliere 500.000 firme. Molti comitati in tante province d’Italia si sono già organizzati ma abbiamo un grande bisogno di aiuto.
Chiedo a chi leggerà questa lettera aperta di mettersi in contatto con il Comitato www.iovoglioscegliere.it ; per chi è a Milano anticipo che venerdì 28 giugno alle 21 al Teatro Franco Parenti presenteremo l’iniziativa, e sarà una buona occasione per farsi una idea compiuta di chi siamo, di che cosa stiamo chiedendo e del cosa vogliamo farne.
Personalmente, è l’unico atto eminentemente politico in cui gioco e spendo in pieno la mia figura di rappresentante di un Circolo dedicato alla figura di Dossetti, sapendo che tanti amici potranno avere da ridire sull’iniziativa in sè, sui singoli quesiti, sull’opportunità di inserire una nuova variabile nel gioco delle parti politiche: a quegli amici dubbiosi
rispondo fin da subito che la mia, personale e non consueta, analisi, è che il momento sia ora e che bisogna semplicemente fare il proprio dovere ora: dopo, non servirà più.
Le grandi architetture costituzionali, l’aggiustamento della nuova legge li lasceremo poi a chi sarà capace di farle; noi per intanto cerchiamo di sgombrare il campo dai rottami e di spegnere alcune macchine che lavorano contro i cittadini.
Quella scrutatrice, di cui parlavo all’inizio di questa lettera aperta, ci è poi andata, a votare, nonostante il potente scetticismo da cui era pervasa: il motivo?
“Voto in questo stesso plesso, mi sembra brutto non farlo”.

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