Prendo spunto dal bell’articolo di Castagnetti apparso su Avvenire del 4 aprile, sulla democrazia illiberale di Orban per svolgere alcune riflessioni.
Parlare di democrazia illiberale è più che un ossimoro. È un non senso, è una contraddizione in termini. Perché la democrazia è necessariamente pluralista, nel senso che è intrinsecamente fondata sulla originaria e inviolabile libertà delle persone/individui che sanamente si confrontano/confliggono nella pubblica arena delle opinioni/interessi.
La democrazia è sostanza e forma, a partire da una modalità di reggimento degli uomini attraverso la libera, e dunque non cruenta, scelta dei governanti. Nella nostra contemporaneità si parla di regime repubblicano, il cui duplice fondamento è: la garanzia dei diritti e la divisione dei poteri. Da ciò deriva che nessuna declinazione del termine/concetto “democrazia” può prescindere, oggi, dall’essere a sostegno di un ordinamento liberale et costituzionale: per il fatto che alla sua base – e al tempo stesso per la tutela delle persone/individui e delle formazioni sociali – è stato posto un documento giuridico, solennemente adottato e vincolante per tutti, denominato Costituzione.
Asserire poi che la democrazia cristiana è illiberale è un’apostrofe indebita e truffaldina: un malsano mescolamento di parole spacciate per concetti. Il che obbliga ad alcune distinzioni e a chiarimenti, non solo lessicali e terminologici.
Va premesso che aveva ragione Sturzo a non voler chiamare “cristiano” (o cattolico) il partito da lui fondato nel 1919. Aveva, invece, compiuto un passo incauto (un mix di candore/generosità e furbizia elettoralistica) De Gasperi quando battezzò in quel modo il partito che risorgeva nel dopoguerra. Nei fatti, però, la DC è stata un partito popolare, con due declinazioni che si sono alternate alla sua guida: cattolico-liberale e cattolico-sociale, senza che mai una di queste tendenze annullasse l’altra.
Ragioniamo, sia pure in modo sintetico: l’autodefinizione di “seguace di Cristo” è oggettivamente troppo alta per un movimento politico, intriso e percosso dalla terraneità. Sempre ti potrà essere rinfacciato dagli avversari che i tuoi atti e comportamenti, come singolo e come aggregato, sono incompatibili con i precetti evangelici, già a partire dallo stile di vita e dal linguaggio usato. “Beati senza dubbio coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Luca, 27-28).
Qui necessita una prima chiarificazione. Premesso che tutte le scelte politiche sono contingenti, revocabili e opportunistiche (nel senso che si sforzano di cogliere, a proprio vantaggio, un’opportunità che l’ora presenta) e che è vano misurarle sull’unum necessarium (la salvezza dell’anima), le opzioni di Orban – e del suo sodale italiano Salvini – confliggono apertamente con una lettura piana e semplice, alla portata di tutti, del messaggio evangelico. Nessuna interpretazione difforme è, a tale proposito, lecita con riguardo alle politiche anti-immigrazioni o a quelle contrarie al confronto libero delle opinioni (libertà di stampa ecc.), per fermarci ai due fatti più vistosi che opportunamente Castagnetti mette in luce.
Sull’ampiezza, o meglio, sulla profondità dell’accettazione della “libertà” quale requisito indispensabile alla visione politica di un partito “di ispirazione cristiana” si svolse nel novembre 1951, in sede di III Convegno dei giuristi cattolici, un memorabile scontro di opinioni tra Dossetti e Mortati, da una parte, e Carnelutti e Capograssi (non presente di persona) dall’altra. Ciò che, sinteticamente, i primi rimproveravano ai secondi era l’assolutizzazione della libertà, che in Carnelutti portava dritto ad un liberalismo senza freni a vantaggio dell’iniziativa economica privata, mentre Capograssi era geloso di difendere la “verticale delle libertà” che, da quella personale di proprietà di sé (e dei beni essenziali), attraverso la libertà di coscienza saliva fino alla libertà di attingere direttamente Dio. Questo era il tipo di libertà che un’anima pura e coltivata come Capograssi, giustamente, pretendeva che venisse garantita dall’organizzazione politica denominata Stato. Dossetti e Mortati certamente non si opponevano a ciò. Facevano soltanto osservare che, nell’impostazione liberale, l’interesse delle istituzioni si concentrava con grande, anzi esclusiva, prevalenza sulla difesa ad oltranza della proprietà privata dei mezzi di produzione, disinteressandosi viceversa dell’ultimo tratto della verticale delle libertà, cui poteva essere, benevolmente, consentito di interloquire con la divinità, tanto ciò non disturbava un determinato assetto dell’organizzazione sociale che restava fissata dalla gabbia d’acciaio della condizione economica circa la produzione e lo scambio: profitti, salari, situazione dei lavoratori ecc.
Questo è detto per porre qualche elementare distinguo alle categorizzazioni davvero rozze di Orban (e del suo emulo e protettore Salvini: altro che l’ostentazione televisiva del rosario!).
Concludendo: far propaganda di e per una democrazia cristiana illiberale è operazione tanto rozza intellettualmente quando pericolosa socialmente, nella misura in cui il messaggio che si vuole propalare è il seguente: la libertà è una fatica inutile e – di questi tempi – non ce la possiamo/vogliamo permettere; sostituiamola con un blando totalitarismo che anteponga l’esercizio autoritario del potere ai diritti e alle libertà delle persone. Che un regime di tal fatta abbia la spudoratezza di richiamarsi ad una democrazia cristiana ci dice molto dei tempi sventurati che stiamo vivendo.
Enzo Balboni