La situazione italiana, direbbe Flaiano, è grave ma non seria. Emergono evidenti e profonde contraddizioni nella condotta del Governo, a partire dalla diversità di vedute sulla TAV, solo per citare uno dei temi più scottanti tra i molti oggetto di conflitto. Il Presidente Conte viene duramente contestato a Strasburgo: non fa piacere sentirgli dare del “burattino” – il rispetto istituzionale non deve mai venir meno – ma ben più pesante, sul piano politico, è la posizione fortemente critica dei capigruppo dei maggiori partiti europei (Popolari, Socialisti, Liberali); ed è stato sconsolante notare lo scarso interesse dell’aula parlamentare europea (semivuota) per un leader che evidentemente non è riconosciuto e percepito come tale. Del resto, chi semina vento raccoglie tempesta. Difficile suscitare interesse e stima con atteggiamenti sempre sopra le righe e muscolari nei confronti dell’UE e degli altri partner europei, con la rivendicazione di una presuntuosa quanto irrealistica autonomia. E se il termine “burattino” si poteva evitare, difficile negare che il vero premier di questo governo sia Matteo Salvini (nonostante il suo partito abbia preso la metà dei voti e dei parlamentari dei 5 stelle!) e che l’altro vicepremier tenti di stargli al passo sul piano mediatico con iniziative a volte inquietanti (come l’incontro con un gruppo di gilet gialli in Francia), a volte grottesche (come lo show per la presentazione della “card” del reddito di cittadinanza, con scenografia in stile Sanremo e la scopertura di una campana di vetro con all’interno la fatidica carta…). Che l’Unione Europea così com’è sia da cambiare è chiaro a tutti (anche se trovare il “come” non è semplice); ma è ben difficile che si possa dare un contributo utile criticandola, delegittimandola e irridendola continuamente, ritagliandosi volontariamente la parte del guastafeste invece che quella di rappresentanti di un Paese fondatore, che si comporta con serietà e autorevolezza.
E tutto questo avviene mentre la recessione italiana è ormai certificata, e non si vede traccia di una volontà da parte del Governo di porvi rimedio, almeno fino alle europee, per evitare che manovre correttive o altri interventi danneggino elettoralmente la Lega e incidano ulteriormente sul calante consenso dei 5stelle, usciti malamente dalle elezioni in Abruzzo vinte dal centrodestra versione locale.
Dall’altra parte, il Partito Democratico sta cercando di riprendere la sua strada con le primarie del 3 marzo per l’elezione del nuovo segretario, anche se finora non è stato semplice appassionare iscritti e simpatizzanti. Unico partito che elegge con un metodo di partecipazione così ampia i suoi vertici, il PD ha certamente bisogno, come primo passaggio, di un buon numero di votanti alle primarie e di mantenersi unito quale che sia il risultato, superando ogni forma di correntismo fine a se stesso (che è cosa ben diversa dal confronto, anche appassionato, sulle idee e sui temi). Tutto questo, però, è essenziale ma non sufficiente. Perché le primarie non siano la fiammata di un momento, occorre che il grado di partecipazione venga mantenuto attivo nel tempo, con un rapporto costante con le persone e le istanze della loro vita quotidiana. Le proposte contenute nelle mozioni congressuali, che contengono molte interessanti prospettive, vanno trasformate in un programma “di governo” credibile e all’altezza delle sfide dell’oggi e del domani. La leadership, tema ineludibile se si vuole concorrere a una competizione politica, deve essere autorevole, rispettata, ma anche capace di “fare squadra” con le energie migliori presenti sia nel PD che vicino ad esso e nella società civile. Il PD ha la possibilità di “reggere” o persino di migliorare (rispetto alle politiche) alle prossime elezioni europee, ma molto dipenderà dalla sua capacità di presentarsi come una forza coesa e propositiva, in sintonia con le grandi domande dei nostri concittadini, capace di rinnovare risposte, metodi, linguaggi.
E le altre formazioni “progressiste” minori? Non è ancora chiaro come intendano muoversi dopo le varie suddivisioni. Al di là di ogni altra considerazione di merito, rimane sempre la domanda sulla capacità o meno di non ridursi a rappresentare un pensiero minoritario, accettando la sfida di compartecipare, con le mediazioni – faticose ma necessarie – che ciò comporta, a esperienze più grandi. Lo sbarramento del 4% alle europee dovrebbe favorire questa riflessione, ma credo sarebbe l’ennesimo errore costruire “cartelli” provvisori che si sciolgono il giorno dopo le elezioni.
Il percorso avviato tra Verdi e Italia in Comune, il neopartito che ha tra i fondatori Federico Pizzarotti, sembra incontrare un segmento di elettorato interessato a questa proposta. Ma, anche in questo caso, il 4% non è un risultato scontato, in una competizione che sarà estremamente combattuta e difficile.
Da ultimo, una riflessione sull’area cosiddetta “moderata” del centrodestra. E’ preoccupante che quest’area, tradizionalmente piuttosto forte nel nostro Paese, abbia ancora bisogno, nonostante il crollo dei consensi e l’affanno nel posizionarsi in questa situazione inedita, di una figura come quella di Berlusconi. Credo che – dal punto di vista dell’assetto politico italiano – al nostro Paese farebbe bene l’esistenza di una forza moderata moderna ed europeista, piuttosto che una deriva di quei potenziali voti verso il leghismo. Ma se non c’è il coraggio di superare un’organizzazione movimentista ormai troppo evanescente e di individuare un nuovo leader e una nuova classe dirigente, credo che tutto diventi molto complicato. Anche a causa di questo (oltre a tutto il resto) l’Italia continua ad essere, dal punto di vista politico, un Paese strano e volubile, in perenne trasformazione, sempre un po’ in fibrillazione. Non è il caso di aspirare alla calma piatta di un ordine forzato (giammai se autoritario!), ma c’è da chiedersi fino a quando saremo un Paese “in transizione” e cosa possiamo fare per rimettere in gioco almeno qualche punto fermo.
Anche questo è un tema che interessa i cattolici democratici: il fermento che attraversa il “mondo cattolico” è molto positivo; interessanti e ricchi di idee sono i contributi pubblicati da giornali, riviste, blog, siti web, compreso il nostro. Ma tutta questa energia, forse, va investita in prospettive concrete che guardino, a mio avviso, più all’aspetto della condivisione, del dibattito, dell’approfondimento e della formazione – non solo sul piano nazionale ma anche su quello territoriale – che non a esiti direttamene politico-partitici. Mettersi assieme e individuare percorsi comuni è una buona idea e produrrà frutti. Favorire ulteriormente la frammentazione, seppure animati dalle migliori intenzioni, non so quanto aiuti questo Paese a ritrovare una strada migliore di quella che sta oggi percorrendo.
Sandro Campanini
8 Marzo 2019 at 19:04
Penso che i numerosi interventi clericali che stanno chiedendo ai cattolici di intervenire nel difficile momento attuale della cultura politica italiana debbano essere, umilmente ma coraggiosamente, invitati a rileggere l’ultima pagina del libro di Lazzati “Per una nuova maturità del laicato” che è intitolata, pagina intitolata “appello ai pastori”. Se fosse stata ascoltata questa pagina, forse si sarebbe in una situazione migliore