di Maria Teresa Pontara Pederiva, in “Vatican Insider” del 12 febbraio 2012
Sul tema della pace, per fare un esempio più volte citato da Karl Golser, vescovo emerito di Bolzano-Bressanone, si parla precisamente di “processo conciliare per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”. E infatti l’idea di una specie di Concilio di tutti i cristiani, per far fronte alle minacce per la pace nel mondo, risale già agli anni Trenta ed è stata portata avanti da due teologi tedeschi, il protestante Dietrich Bonhoeffer e il cattolico Max Josef Metzger.
Di fronte all’affacciarsi seconda guerra mondiale, essi hanno avvertito l’urgenza di mobilitare le coscienze dei cristiani per impedire quella strage che poi si sarebbe abbattuta sull’Europa. Bonhoeffer aveva richiesto, ancora nel 1934, un concilio per la pace, e Metzger aveva scritto nel 1939 al Papa chiedendo di indire ad Assisi un concilio ecumenico per la riunificazione delle Chiese divise, così da essere più incisivi, da cristiani, nelle scelte della società. Purtroppo si trattò di appelli inascoltati e i due, che si possono ben definire profeti, vennero giustiziati entrambi, vittime della follia nazista, martiri per la libertà e la pace.
Se Bonhoeffer è assai noto anche da noi, molto meno conosciuta è la figura di Max Josef Metzger, nato il 3 febbraio 1887, 125 anni fa, a Schopfheim (Baden) e di cui nel 2006 è stata avviata la causa di beatificazione (l’opera più completa, pubblicata nel 1977 a Philadelphia, ed esaurita, è a firma dei coniugi Leonard ed Arlene Swidler, docenti di pensiero teologico e dialogo interreligioso, Bloodwitness for Peace and Unity, mentre da noi è uscita solo una raccolta di Lettere dal carcere curata da Lubomir Zac della Lateranense).
Studi teologici a Fribourg in Svizzera, volontario come cappellano militare al fronte fin dal ’14, una volta destinato a Graz in Austria, al ministero di prete aggiunge un’intensa attività giornalistica con l’intento di allertare i giovani sulla necessità di avviare un processo di pace e tolleranza fra i popoli stremati dalla Guerra, e dissuaderli, più tardi, dall’abbracciare le idee del nazional-socialismo. In pieno conflitto mondiale, nel 1917, aveva inviato a papa Benedetto XV un Programma di Pace dove metteva le basi per un “pacifismo cattolico, unico in grado di portare la pace nel mondo”: “Chiediamo la fine dell’inutile spargimento di sangue sui campi di battaglia e al contempo la fine di una politica che cerca di superare con mezzi autoritari i problemi morali della convivenza tra i popoli e così facendo suscita sempre nuove guerre. Chiediamo una pace mondiale duratura, nella quale crediamo, nel nome della civiltà, della cultura, della morale e della religione. Chiediamo, come inizio della pace, che tutti i popoli distolgano il loro interesse dal presunto nemico esterno e che tutte le forze vengano concentrate sull’effettivo nemico interno, comune a tutti i popoli: alcolismo, immoralità, tubercolosi, degenerazione, usura sia del denaro che del suolo, povertà …”.
Oltre ad una lunga serie di bollettini e giornali (in cui si firmava semplicemente “zio Max”), fonda anche il movimento Una Sancta per avviare un dialogo ecumenico da lui considerato “non più rinviabile”. E pure la Società missionaria della Croce Bianca, una sorta di cellula per il rinnovamento della Chiesa all’insegna della corresponsabilità dei laici. C’erano tutte le premesse per far sorgere sospetti e inimicizie, anche all’interno della Chiesa tedesca (dove taluni l’avevano definito frettolosamente “un utopista ingenuo e a tratti imprudente”) e la Gestapo ha poi fatto il resto. Incarcerato a più riprese, a partire dal novembre 1939 – “involontari e forzati esercizi spirituali”, definirà i giorni trascorsi in cella – viene ghigliottinato il 17 aprile del ’44 al Brandenburg-Goerden, dopo uno dei tanti processi sommari della follia nazista dalla sentenza già scritta, come per il laico, già beato, Franz Jägerstätter, giustiziato nello stesso carcere l’anno precedente. Nel mese di settembre del ’43 aveva scritto di suo pugno la difesa dalle accuse, inconsistenti, che gli erano mosse, esordendo così: “Sono un sacerdote cattolico, e lo sono con anima e corpo.
Tuttavia la mia forma mentis non corrisponde all’idea che di solito uno si crea quando si immagina un prete. L’essere un funzionario di culto, il rivolgere le spalle al mondo, il distanziarsi dalla vita, la ristrettezza dello spirito, il legalismo e il tradizionalismo: tutto questo mi è completamente estraneo. Sono un uomo di giudizio indipendente, che ha un attivo interesse per ciò che avviene nel mondo”. Quattro pagine dopo firmava con fierezza: dr. Max Josef Metzger.
Sulla sua tomba nel piccolo cimitero di Meitingen sono incise le parole che ha pronunciato al momento della lettura della sentenza di morte e che ha scritto un’ora prima dell’esecuzione: “Ho offerto la mia vita per la pace nel mondo e l’unità della Chiesa”. Primo tedesco a prendere la parola alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919, stupì molti dei presenti invocando la costituzione di una “federazione di stati europei”. E se aggiungiamo, oltre la richiesta della convocazione di un concilio ecumenico e di una preghiera interreligiosa in quel di Assisi, la proposta di dedicare una giornata all’anno alla riflessione e preghiera per la Pace, risuonano con tristezza le sue parole ancora una volta dal carcere, e scritte con le mani legate: “Il mio destino è sempre stato quello di aver vissuto anticipando un po’ i tempi e di non essere stato compreso proprio per questo motivo”.
Ma anche quelle pronunciate all’indomani dell’ascesa al potere di Hitler: “Una cosa deve precedere tutto il resto: non possiamo vendere il Vangelo per salvarci la vita! Sono e rimango un uomo libero, mi si possa anche incatenare. La verità continua a sventolare ed io continuerò ad annunciarla coraggiosamente. E se mi verrà tagliata la lingua, allora parlerò col mio silenzio. Fin quando arderà in me ancora la vita, mi batterò contro questa stupidità”.