Il divorzio breve è passato; dopo la sentenza della Consulta che ha revocato il no alla fecondazione eterologa si profila una legge che meglio la disciplini; si riprende a ragionare di una legge sulle convivenze sia etero che omosessuali, senza escludere le adozioni da parte di coppie gay. Molta la carne al fuoco che può essere inscritta sotto la voce diritti civili.
Nel giro di pochi anni il clima è decisamente cambiato. Anche troppo. Basti rammentare le tensioni e le resistenze che, al tempo del secondo governo Prodi (2006-2008), incontrò la proposta di una prudentissima legge sulle unioni civili denominata “dico” che si limitava a riconoscere elementari diritti in capo ai partner, presi singolarmente. Sia chiaro: è buona cosa che se ne possa discutere serenamente, senza il sovraccarico ideologico e le ingerenze ecclesiastiche del passato. Tuttavia, merita segnalare l’opposta insidia di un eccesso di leggerezza. Ma procediamo con ordine.
Quali le ragioni di tale, accelerato mutamento? Di sicuro, vi ha contribuito la svolta impressa alla Chiesa da Papa Francesco, come testimonia il recente Sinodo sulla famiglia. Una svolta che si è puntualmente riverberata sulla Chiesa e sulla politica italiana, con l’abbandono dell’enfasi sui “principi non negoziabili” che si pretendeva di trascrivere, senza mediazioni, nelle leggi dello Stato. Così pure, sul versante politico, a produrre un clima diverso hanno concorso due circostanze: un parlamento affollato di giovani non più ancorati al modello familiare tradizionale e partiti politici sempre più post-ideologici e comunque immuni dal vecchio contenzioso tra laici e cattolici.
Si è così aperta una finestra di opportunità per una codifica legislativa da gran tempo attesa delle suddette questioni. Ripeto: può essere una buona cosa. E tuttavia è difficile non scorgere un problema: che, d’un tratto, si passi dal muro contro muro paralizzante di ieri a un facile concordismo; dal dialogo tra sordi a soluzioni normative non adeguatamente istruite da un confronto politico-culturale alto; da pregiudiziali chiusure a una sorta di “pensiero unico” di stampo laicista e libertario.
Va detto: la miopia del passato prescriverebbe qualche autocritica. Se, anziché contrastare mediazioni ragionevoli, la gerarchia cattolica italiana avesse dato fiducia ai laici cristiani politicamente impegnati quando la temperie culturale e la composizione del parlamento erano altre, non saremmo a questo punto. Se, da parte della Cei ruiniana, non si fosse ricorsi ad ogni mezzo – la politicizzazione del “family day”, il sostegno allo schieramento berlusconiano improvvisatosi improbabile custode dei valori della tradizione e della famiglia, la malcelata sponda fornita ai Teodem infiltrati nel centrosinistra con la complicità di Rutelli – forse certe questioni sarebbero state affrontate e risolte in un contesto meno sfavorevole.
Allora, i cattolici democratici erano considerati reprobi, si diffidava della loro autonomia laicale e politica. La formula “cattolico adulto”, un tempo sinonimo di maturità cristiana, fu bollata come presuntuosa e polemica. Si spiega come, da parte di gerarchie ecclesiastiche attivissime nel negoziato di vertice diretto con partiti, parlamento e governo, un’autonoma mediazione operata da politici cattolici risultasse inutile o d’impiccio. Salvo che essi non si riducessero a fare il verso ai vertici ecclesiastici o a mettersi di traverso per inibire convergenze legislative sgradite. Non un’iniziativa politica creativa, ma megafono o azione ostruzionistica.
Acqua passata. Inutile recriminare sul passato. Ora che i terminali politici del clericalismo sono evaporati e a fronte del dilagare di un approccio ispirato a un dogmatismo di segno opposto o quantomeno a un pragmatismo ignaro della portata dei valori in gioco, tocca proprio ai veri cattolici democratici assumersi per intero la propria responsabilità, finalmente non più confiscata dai pastori. Con il metodo della mediazione e della laicità; avvalendosi delle procedure e delle regole della democrazia; facendo leva sulla fiducia nelle risorse della ragione e del confronto. Ma anche tenendo il punto, con posizioni chiare. Non settarie, ma neppure rinunciatarie e subalterne. Dopo il tempo della surroga ecclesiastica, ora tocca loro. Su una strada in salita e, di nuovo, da una posizione di minoranza.
Diciamo la verità: suscita un certo disagio osservare come taluni cattolici, ieri intransigenti e loquaci, oggi si siano zittiti e agevolmente omologati. A destra, al centro, a sinistra e … in alto. Sino a palazzo Chigi, il cui inquilino partecipava al “family day” mentre noi ci affaticavamo per portare a casa i “dico”, senza riuscirci.
Ma non è tempo di rimostranze, semmai di un creativo protagonismo da parte di quanti un tempo si sarebbero chiamati “liberi e forti”.
Franco Monaco
20 Ottobre 2014 at 11:35
Purtroppo è tutto vero. Speriamo che Papa Francesco riesca a farsi capire. Lo Spirito Santo traspare dalla sua
azione. Ci auguriamo che la Chiesa tutta mediti sull’insegnamento di Paolo VI, oggi proclamato beato. La cui vita è stata impegnata nella formazione dei laici cristiani e i risultati ci sono stati (la Costituzione e le ricchissime conseguenze). Ma perchè non vengono più impegnate energie per la formazione dei laici ? Senza l’impegno anche dei pastori i laici da soli non potranno essere cristiani maturi. A quando un cambiamento di atteggiamento ? Ricordiamo sempre l “Appello ai Pastori” di Lazzati, a conclusione del suo libro “Per una nuova maturità del laicato cristiano”
21 Ottobre 2014 at 13:10
Complimenti a Giovanni Colombo per il suo articolo che condivido in toto. Purtroppo i trasformismi e gli opportunismi rischiano ancora una volta di risultare vincenti, almeno nei numeri, e di scavalcare qualsiasi riferimento culturale e valoriale. Si nota ancora una volta la totale mancanza di culture politiche a supporto di decisioni importanti come quelle di cui si sta parlando. L’unica cultura politica degna di questo nome è ancora quella cattolico democratica che rischia però un costante indebolimento a causa, come dice Giuseppe Zappa, di decenni in cui le comunità cristiane hanno abbandonato la tensione formativa al sociale e al politico nella chiave della laicità. Se non cogliamo l’occasione del papato di Francesco per riprendere con forza questo tema, si rischia davvero che anche la cultura cattolico democratica si esaurisca. Rendiamoci conto che i preti ordinati negli ultimi 20-30 anni non sanno nemmeno cosa sia il cattolicesimo democratico…
24 Ottobre 2014 at 11:09
Sono d’accordo con le argomentazioni! Nei loro panni avrei fatto come Marino e Pisapia riconoscendo la scelta fatta dagli sposi all’estero. E la distinzione tra unione civile e matrimonio di cui si distingue in questi giorni mi pare ipocrita.
Nessuno deve imporre i propri valori come paradigma per gli altri, ma piuttosto testimoniarli. Ho conosciuto l’associazione dei GLBT cristiani e mi è parsa fatta da persone ragionevoli, serie e di grande fede. Perché discriminare?
3 Novembre 2014 at 16:40
Una domanda mi sorge spontanea: ma siamo interessati a capire chi, come e perchè era a favore o sfavore dei dico e a recriminare il passato, o nell’attuale cornice siamo interessati nel contesto delle proposte e della civil partnership in particolare a formulare idee o correttivi e/o sottolineature e proposte?