Solo qualche chiosa alla disputa (inedita) tra Tonini e Ceccanti, cui mi lega un’antica amicizia, ma dai quali, in questi anni, sono stato spesso politicamente in dissenso.
1) Sono d’accordo con Tonini sul grave “peccato di omissione” commesso dal PD nell’essersi rifiutato anche solo a un confronto con i 5 Stelle che potesse scongiurare l’esito sciagurato del governo 5 Stelle-Lega, per il quale i renziani hanno oscillato tra il tifo e i pop corn.
2) Curioso l’appunto mosso da Ceccanti a Tonini di essersi così associato a coloro con i quali effettivamente entrambi sono da gran tempo in dissenso specie nel giudizio sul corso renziano.
3) Curioso, dicevo, e un po’ tirato, l’argomento di Ceccanti (del tipo “dimmi con chi vai – gli ex comunisti e, tanto peggio, i vituperati dossettiani, i “cattocomunisti”…. – e ti dirò chi sei”); e tuttavia tale argomento “indiziario” non va sbrigativamente archiviato e dovrebbe suggerire a Tonini di interrogarsi sulla ragione politica (si spera, non solo di potere personale) per la quale Renzi, da lui sempre sostenuto, abbia pervicacemente e pregiudizialmente chiuso a ogni confronto.
4) Forse ha ragione Ceccanti: la ragione è la subordinazione sino alla irrilevanza assegnata da Renzi alla polarità destra-sinistra, la rinuncia all’ambizione di coniugare la coppia chiusura-apertura (in primis l’europeismo) alla coppia destra-sinistra; per farla breve, la subalternità del PD versione renziana al paradigma liberale (e, aggiungo io, a ricette liberiste). Un esito centrista paradossale per i cultori del bipolarismo e della democrazia delle alternative (alla buon ora sembra se ne sia resoconto persino Veltroni, referente di entrambi, colui che ha posto le premesse del renzismo!). Una deriva, per di più, elettoralmente perdente, come ha argomentato Panebianco, in un sistema proporzionale e non più maggioritario, che non premia la convergenza al centro.
5) Dunque, sulla questione a valle – l’errore del rifiuto al confronto con i 5 Stelle -, concordo con Tonini, ma, sulla questione a monte, circa l’identità del PD, naturalmente dal punto di vista opposto a quello di Ceccanti, sono d’accordo con lui. Abbiamo cioè opposte visioni circa profilo, posizionamento e mission del PD.
Forse sto dando troppa importanza alla disputa (contingente?) tra amici a lungo tra loro politicamente in sintonia, ma la cosa mi dà il destro per trarne la sola conclusione che mi preme. Eccola: sarebbe cosa utile che il PD ponesse fine alla sua ambiguità di “partito irrisolto”, che la facesse finita con indecifrabili tatticismi, sfibranti contorsionismi, ipocrite deliberazioni unanimistiche sortite all’ultimo minuto (al limite del grottesco), e che, in un passaggio congressuale aperto, trasparente, ravvicinato (su questo sto con i renziani!), mettesse finalmente a confronto piattaforme e candidati chiaramente alternativi (è plausibile che possa proporsi come uomo della discontinuità e dell’alternativa a Renzi il suo grigio vice, Martina?). Come auspicato dalla nota firmata da 25 esponenti del cattolicesimo democratico e sociale dall’eloquente titolo: “Caro PD, decidi chi sei“.
A valle di quel franco confronto, si dovrà accertare se le due visioni possano o meno convivere in un medesimo partito o se, come adombrato da Goffredo Bettini, non si debbano acconciare a prendere strade diverse. Senza escludere in futuro alleanze tra soggetti distinti. Siamo sempre lì: un centro-sinistra con il trattino, un centro renziano alleato con una sinistra di governo. Reiterare l’attuale ambiguità irrisolta cristallizzerebbe la paralisi del PD, ne farebbe un inutile ingombro e, come non bastasse, incattivirebbe a dismisura i rapporti personali. La retorica del partito come comunità è francamente stucchevole, ma anche solo il partito come associazione politica, quale esso è anche costituzionalmente, presuppone almeno una dose minima di stima reciproca.
Franco Monaco