Gli amici di www.finesettimana.org , nella rassegna stampa del 12 marzo, hanno voluto riprendere il passo in cui Benedetto XVI, nell’omelia tenuta a S. Gregorio al Celio sabato 10 marzo, ha fatto riferimento ai monaci camaldolesi “conciliari”, senza nominarli, e hanno voluto riprodurre il ricordo che, di Dom Benedetto Calati, fece don Emanuele Bargellini, allora Priore generale dalla congregazione camaldolese e oggi Priore del Mosteiro da Transfiguração in Brasile, nel dicembre dell’anno 2000, poco dopo la morte del monaco ‘conciliare’ che fu a lungo abate a Camaldoli.
Inoltre, gli amici del sito finesettimana.org hanno redatto una nota redazionale per segnalare il loro stupore nel non aver visto citato quel passo dell’omelia di Benedetto XVI nell’articolo dedicato dall’”Avvenire” alla visita del papa a San Gregorio al Celio.
Riportiamo prima la nota redazionale (“Camaldolesi e vaticano II”) e poi il testo di don Bargellini (“Dom Benedetto Calati e il «bacio di Dio»”).
Camaldolesi e Vaticano II
Il riassunto fatto dal quotidiano “Avvenire” dell’omelia del papa durante l’incontro di preghiera (i Vespri) nella basilica di san Gregorio al Celio presieduto dal vescovo di Roma con la partecipazione del primate della chiesa anglicana, trascura (non so quanto volutamente), un riferimento importante del discorso di Benedetto XVI al periodo conciliare quando ha parlato dei testimoni fedeli del vangelo che hanno caratterizzato tutta la storia dei monaci camaldolesi.
Ecco l’intero brano, con evidenziazione nostra:
“Ogni fase della lunga storia dei Camaldolesi ha conosciuto testimoni fedeli del Vangelo, non soltanto nel silenzio del nascondimento e della solitudine e nella vita comune condivisa con i fratelli, ma anche nel servizio umile e generoso verso tutti. Particolarmente feconda è stata l’accoglienza offerta dalle foresterie camaldolesi. Ai tempi dell’umanesimo fiorentino le mura di Camaldoli hanno accolto le famose disputationes, alle quali partecipavano grandi umanisti quali Marsilio Ficino e Cristoforo Landino; negli anni drammatici della seconda guerra mondiale, gli stessi chiostri hanno propiziato la nascita del famoso “Codice di Camaldoli”, una delle fonti più significative della Costituzione della Repubblica Italiana. Non furono meno fecondi gli anni del Concilio Vaticano II, durante i quali sono maturate tra i Camaldolesi personalità di grande valore, che hanno arricchito la Congregazione e la Chiesa e hanno promosso nuovi slanci e insediamenti negli Stati Uniti d’America, in Tanzania, in India e in Brasile. In tutto questo, era garanzia di fecondità il sostegno di monaci e monache che accompagnavano le nuove fondazioni con la preghiera costante, vissuta nel profondo della loro “reclusione”, qualche volta fino all’eroismo.”
E’ vero che non si sono fatti i nomi di coloro che hanno operato durante gli anni del concilio, come il grande teologo liturgista conciliare Cipriano Vagaggini o come il grande riformatore Benedetto Calati (forse perché si sono occupati di aspetti, come liturgia ed ecumenismo, sui quali l’attuale pontefice ha tirato il freno a mano o ha compiuto anche delle inversioni di rotta), ma resta il fatto dell’importante riconoscimento. Di questi tempi, a cinquant’anni dal Vaticano II, e amari per molti versi, è bene sottolinearlo.
Dom Benedetto Calati e il «bacio di Dio»
di don Emanuele Bargellini (dicembre 2000)
Cari fratelli e sorelle, amici e amiche, in gran numero il 23 novembre avete voluto salire fino al Monastero e Sacro Eremo di Camaldoli per condividere con la comunità monastica il momento del commosso congedo al caro fratello, amico e padre, D. Benedetto Calati (nato il 12 marzo 1914), tornato serenamente alla casa del Padre all’alba del giorno 21, memoria liturgica della Presentazione di Maria al Tempio. I messaggi di solidarietà e di partecipazione a questo evento così importante per tutti noi, sono tantissimi. Vorrei ringraziarvi personalmente uno/a ad uno/a. Non riuscendo a farlo come vorrei, esprimo il grazie della comunità e quello mio personale, con il sorriso inconfondibile di D. Benedetto, con il suo caldo abbraccio e questo breve «ricordo» di lui.
Come i genitori di Maria santissima, anche noi abbiamo restituito al Signore, con gratitudine e stupore, il dono straordinario che è stato D. Benedetto per le nostre comunità monastiche, per la chiesa, per tante persone in sincera e sofferta ricerca spirituale, anche al di là dell’ambito istituzionale della chiesa stessa. La vostra partecipazione è stata il segno tangibile di quella straordinaria comunità allargata che egli ha saputo creare, con discrezione di stile ed eccezionale forza interiore, non intorno a se stesso ma intorno a Colui che misteriosamente sta accanto ad ogni pellegrino della vita: «Speravamo… Resta con noi, si fa sera… Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista» (cf. Lc 24, 13-31).
L’occhio acceso e trasparente di D. Benedetto — immagine prima che di lui balza immediata nel ricordo di tutti — si è esercitato tutta la vita nello scrutare con sguardo penetrante, pieno di speranza e amore, i segni della misteriosa presenza del Signore nelle Scritture, nelle vicende della società e della chiesa del nostro tempo, negli itinerari di ciascuna persona che lo ha incontrato. Egli ha avvicinato ciascuno/a con simpatia e amore, in sintonia con quel cuore dai palpiti infiniti che ha portato Dio ad amare ogni sua creatura fino al dono supremo di sé, in un «bacio», personalissimo per ciascuno.
Il «bacio di Dio» ha ispirato e segnato l’esperienza personale di D. Benedetto come uomo e come monaco. Lo ha reso semplice e amico di tutti/e, così fragile e libero di que l l a l ibe r t à che, provenendo dallo Spinto, rende audace e forte anche chi per natura sarebbe timido, come egli lo era.
A questa intuizione profonda della fede e a questa esperienza originaria di Dio, oltre che alla sua ricca e calda umanità, mi sembra che si possa far risalire il quadro del suo pensiero teologico e spirituale, lo stile dei suoi rapporti con le persone, le sue esigenti attese e i suoi «sogni» nei riguardi delle istituzioni della vita monastica e della chiesa.
Esse hanno spinto D. Benedetto ad «andare oltre» lo schema irrigidito del pensiero e della prassi ascetica, ereditato da un recente passato, che per secoli aveva mortificato in tanti uomini e donne lo slancio creativo dell’esperienza spirituale. Lì trovano la loro radice linee di pensiero e scelte pastorali dispiegatesi nel corso degli anni, che talora sono apparse difficili da comprendere soprattutto a chi non avesse familiarità con i percorsi interiori che alimentavano le falde profonde della sua mente e del suo cuore. In questo orizzonte evangelico di amore appassionato a Cristo, alla chiesa e all’uomo, segnato dalle speranze e dalle contraddizioni di questo nostro tempo, traggono origine anche certe affermazioni forti, dei veri e propri scatti di amore ferito, o certi tratti di stile, ritenuti fin troppo accondiscendenti. Il tutto era compensato dalla fine autoironia e dalla fiducia accordata a chi si faceva carico di dare spessore ordinario e quotidiano alle intuizioni più feconde. Il suo costante e decisivo impulso nel processo di rinnovamento della vita monastica nella famiglia camaldolese, il suo appassionato e convinto impegno per la attuazione del Concilio in ogni suo aspetto, affondano le loro radici nella vena mistica e nell’acuto senso della presenza di Dio nella storia dei nostri giorni. La sua acuta passione talora si faceva ira al modo dei profeti, quando si confrontava dolorosamente con i ritardi del processo storico di tale rinnovamento.
Un sofferto cammino personale, una perseverante disciplina esercitata nello studio intelligente delle fonti patristiche e monastiche, lo portarono — ancor giovane monaco — ad elaborare una diversa scala di priorità e un diverso percorso pedagogico della vita spirituale. Sollecitato dall’esigenza di rispondere ai bisogni di crescita umana e spirituale dei giovani monaci camaldolesi affidati alle sue cure, e dalle richieste di laici credenti che si misuravano con le sfide dell’impegno politico in una società pluralista, democratica e già tendenzialmente secolarizzata.
La Scrittura, testimonianza privilegiata di una storia divina di salvezza sempre in corso, la tradizione vivente dei padri che da quella parola biblica ha ricevuto carne e sangue, la celebrazione sacramentale di quel mistero di amore nella Liturgia, hanno dato respiro divino e spessore umano e storico alla vena mistica di D. Benedetto. Una mistica tesa, paradossalmente, ad incidere sulla vita degli uomini e delle donne di oggi, nella logica dell’incarnazione del Verbo di Dio. Monaco del nostro tempo e per il nostro tempo.
Il forte senso della libertà e della responsabilità della persona, la solidarietà appassionata e il dialogo amicale con ciascuno/a, anche se apparentemente il più «diverso/a», l’immediata simpatia verso ciò che poteva sbocciare di «nuovo» sull’orizzonte della vita, sono stati il frutto di un lungo tirocinio interiore, spirituale e culturale. Il «primato dell’amore» e la «centralità della persona» nella sua radicale libertà di figlio/a di Dio — due categorie centrali nel pensiero e nell’azione pastorale di D. Benedetto — sono stati anche per lui, come per ogni discepolo di Gesù, frutti maturi della progressiva conformazione a Cristo sotto l’azione dello Spirito.
A ragione oggi, con gratitudine a Dio e consenso unanime, riconosciamo D. Benedetto come un dono prezioso per la nostra comunità monastica, per la chiesa, per tante persone oltre i suoi confini istituzionali. In tanti lo riconosciamo padre, amico, maestro, profeta, in un tempo in cui, nel moltiplicarsi delle parole, sembra tornata ad essere scarsa e avara la Parola che nutre e che illumina.
Con il suo ritorno nella casa del Padre, tutti ci sentiamo più poveri. Lo affido alla vostra gratitudine fraterna e alla vostra preghiera di intercessione, come lo abbiamo affidato alla misericordia benevola del Padre che egli ha saputo rendere così presente in mezzo a noi con il suo tratto e la sua parola.
La sua memoria non sarà custodita dalle «celebrazioni» — aliene dal suo sentire — ma dall’assunzione di responsabilità a farci carico in prima persona delle istanze di rinnovamento e di sviluppo che D. Benedetto ha saputo raccogliere nel seno profondo del mistero di Dio.
Come per tutte le figure dalle radici profonde e dalle risonanze complesse, sarebbe inutile e non rispettoso della sua ricca verità, cercare di ridurre il pensiero e l’opera di D. Benedetto a questo o a quello schema interpretativo. Egli non manca certo di unità personale o di pensiero. Ma non sopporterebbe l’estrapolazione. Egli resta una sfida feconda anche per i suoi nuovi amici. Un grazie cordiale e un abbraccio fraterno.
Vostro D. Emanuele Bargellini Priore generale