di Salvatore Vento
Un convegno sulla pace deve necessariamente partire dalla riflessione sulle tante guerre che si svolgono sotto i nostri occhi e sull’ondata degli odi collettivi sviluppati in ognuna di esse. Domina la barbarie. Mi sorge subito una domanda: Come mai le religioni, in questi tragici momenti, non riescono a praticare l’amore per il prossimo, la benevolenza e la misericordia previsti nei loro statuti morali? Anzi, spesso la fede religiosa viene utilizzata per rafforzare quel bisogno di identità che porta ad accrescere l’odio. E l’odio “genera il delirio della colpa collettiva del popolo nemico, che porta alle peggiori crudeltà e ai massacri” (Edgar Morin).
Alcuni partiti si rifanno esplicitamente a Dio, non solo nel mondo musulmano, e si qualificano come “Partito di Dio” (vedi i partiti ultraortodossi “United Torah Judaism” e “Shas”/ sefarditi nel governo di Israele, che hanno ottenuto il 14 % dei voti alle ultime elezioni).
Senza andare tanto lontano cominciamo a riflettere sul significato di essere o definirsi “cristiani”.
Le guerre avvengono all’interno delle stesse Chiese: La Chiesa ortodossa russa benedice l’invasione di Putin all’Ucraina, paese cristiano ortodosso. L’altro doloroso esempio è stato il lungo conflitto tra cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord.
La “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” che celebriamo a gennaio di ogni anno è opera di piccole minoranze, di addetti ai lavori.
Le due guerre mondiali sono nate nel cuore dell’Europa cristiana.
La “Terra Santa”, luogo sacro per Ebrei, Cristiani e Musulmani, è anche il centro dove la fede, se vissuta in maniera integralista, come dimostra la storia e l’attuale guerra, acceca gli animi e produce odio. Lo dimostra il criminale attacco di Hamas del 7 ottobre contro cittadini inermi. Lo dimostrano i bombardamenti del governo israeliano contro il territorio palestinese di Gaza, che non risparmiano né ospedali, né Chiese.
Sono consapevole che argomenti di tale complessità richiedono anche la conoscenza dei movimenti di geo politica, intanto però i civili continuano ad essere massacrati e di fronte a questi massacri nessuno può tacere perché si finirebbe per considerarli parte integrante dello spettacolo mass mediale. D’altra parte, le preghiere per la pace mettono a posto la coscienza dei pochi che vi prendono parte, ma non producono nulla. Libertà, cantava Giorgio Gaber, è partecipazione.
Se consideriamo la cultura di pace, precondizione di ogni altro ragionamento di fede, aggiungerei una domanda ancora più radicale: Ha senso la fede in Dio, se questo Dio non parla alla coscienza dei popoli in guerra? Che cosa vuol dire credere oggi?
-Che senso hanno le celebrazioni delle “Sante Messe” se i fedeli, dopo la comunione, non sentono il bisogno di andare in piazza a manifestare per la pace? O di fermarsi per discutere insieme sul che fare?
-Come mai le continue esortazioni per la pace di Papa Francesco non suscitano nessuna emozione attiva tra i cattolici praticanti?
Mai come in queste settimane Israele appare isolato, anche nei paesi occidentali, basti pensare alle grandi manifestazioni come quella di Londra a favore della Palestina o negli stessi Stati Uniti e in altri paesi europei. La sicurezza e la stabilità di Israele, auspicate da ogni cristiano, possono rinascere soltanto in un accordo di pace che preveda la costituzione di uno Stato palestinese.