Dopo una distruzione non nasce, necessariamente, una costruzione

| 0 comments

Luciano Cafagna è stato uno storico e un politico italiano. Nato nel 1926 ad Avellino si è spento a Roma lo scorso 5 febbraio. Professore di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, si è interessato dei problemi dello sviluppo economico italiano, del divario tra nord e sud e dei partiti della sinistra italiana. E’ autore, inoltre, di diversi saggi su Cavour. Fece parte del Partito comunista italiano. Nel 1956 prese parte, invece, alla diaspora, legando le sue sorti politiche a quelle di Antonio Giolitti. Divenne un autorevole esponente del dibattito relativo all’industrializzazione italiana, con i saggi “La formazione di una base industriale in Italia fra il 1886 e il 1914” e “Intorno alle origini del dualismo economico in Italia”. Più tardi ha aderito a La Rosa nel Pugno, e ai DS, e si iscrisse, infine, al neo Partito Socialista.

Oggi a Roma lo hanno ricordato in molti: Ernesto Galli della Loggia ha ricostruito l’acuto saggio di Cafagna su Cavour, rilevandone le molteplici lezioni politiche che se ne possono trarre per leggere le carenze dell’Italia politica del secondo dopoguerra. Paolo Pombeni ha riletto un altro saggio di Cafagna, dedicato questo alla crisi della Prima Repubblica, La grande slavina, in cui lo storico socialista individuò tre distinte crisi, tutte ugualmente gravi, la crisi fiscale, quella morale e quella istituzionale. Crisi che, allora, il Pds di Occhetto non capì – ha ricordato Emanuele Macaluso -, pensando di essere alla vigilia di una grande avanzata della sinistra. Invece, pochi mesi dopo, arrivò Berlusconi. A questo proposito Macaluso ha ricordato un pensiero di Cafagna, che spesso diceva che non è del tutto vero che a una distruzione corrisponda poi una costruzione… Molti altri sono intervenuti: da Giuliano Amato (autore con Cafagna di un volume del 1982, Duello a sinistra), Alessandro Pizzorno, Michele Salvati (che consiglia la lettura della ristampa che ha fatto ora Marsilio de La grande slavina, ritenendola la migliore storia della Prima Repubblica), Andrea Romano, Mariuccia Salvati, Giorgio Ruffolo, ed altri.

Come hanno osservato in molti (Pombeni, Salvati, Amato) Luciano Cafagna ha offerto della crisi della Prima Repubblica e del suo sbocco un’analisi che, riletta oggi, ci fa capire come la sinistra italiana stia ancora dentro i problemi di allora, senza avere trovato la via per risolverli, e con ben minore speranza di quanta ce n’era allora di poterli affrontare positivamente.

Nel corso dell’incontro è intervenuto Giorgio Napolitano. Qui di seguito il testo del suo intervento.

(g.f)

 

L’INTERVENTO DI GIORGIO NAPOLITANO

Solo qualche breve considerazione, che vuol essere testimonianza della mia profonda partecipazione a un ancora cocente dolore comune e ad un desiderio di ulteriore, discreto dialogo col nostro amico scomparso. Quel che mi sembra giusto sottolineare – muovendomi nel solco del meditato intervento del professor Galli della Loggia – è il rapporto stretto e peculiare che lega il Cafagna storico e il Cafagna politico, storico di professione e politico non di professione.

 

Mi aveva colpito, nel leggere, appena apparve, il suo Cavour, il fatto che egli avesse per così dire introdotto, in una ricostruzione e analisi storica di impeccabile rigore e completezza, talune categorie della politica quali Cafagna le aveva vissute, e le stava vivendo alla fine del secolo in un problematico contesto ancora segnato dalla traumatica cesura insorta anni prima nella vita dell’Italia repubblicana. Ed egli – che di quel trauma e dei suoi possibili esiti aveva saputo dare la più lucida rappresentazione da critico penetrante della politica in atto – nel dedicarsi poi al grande tema storico della personalità e del ruolo di Cavour, tese certamente a ricercare persistenze di lunga durata nello svolgimento dell’esperienza storica dello Stato unitario, a partire dal processo della sua formazione.

 

Significativo è, così, specialmente il capitolo conclusivo di quel Cavour pubblicato nel 1999, in cui compare la categoria, piuttosto contemporanea, del “ricorso al centrismo”, e insieme con essa una realistica valorizzazione delle “arti, a volte geniali a volte mediocri, della mediazione e del compromesso, da Depretis-Correnti o da Giolitti-Turati, a De Gasperi-Togliatti e a Moro-Berlinguer”. Valorizzazione in evidente controtendenza rispetto alle correnti demolitorie del percorso della cosiddetta Prima Repubblica e, rispetto ad una nascente mitologia del più perentorio bipolarismo. La linea del libro del ’99 è stata infine ribadita e accentuata da Cafagna nella relazione dell’ottobre 2010 al Convegno di Torino, ancor più rivolta a mettere in luce i caratteri dell'”unico uomo veramente europeo del Risorgimento italiano”. Quel Convegno e quella relazione hanno – voglio ricordarlo – trovato posto nel programma delle celebrazioni del Centocinquantenario, che sono anche state un risarcimento, quanto mai dovuto, alla poco coltivata memoria di Cavour.

 

Il dedicarsi alla figura del maggior artefice politico dell’unificazione nazionale, fu per Cafagna un portare avanti in sostanziale continuità tutte le precedenti ricerche sul processo unitario e sullo sviluppo italiano, sulle sue connotazioni strutturali e sul suo dualismo. Ma è vero che egli, identificandosi in modo così profondo e radicale con la figura di Cavour, uscì da una tradizionale sottovalutazione, non priva di ambiguo significato, del ruolo del primo ministro piemontese nel Risorgimento : e su questo punto – già richiamato ora da Galli della Loggia – ha gettato luce lo stesso Cafagna nella recente postfazione alla ristampa del suo libro, rivelando come sintomatica della scarsa popolarità di Cavour e anche della sua scarsa fortuna storiografica – nonostante qualche grande eccezione – nonché perfino della sua scarsa eco, in epoche recenti, nelle sfere intellettuali, la singolare disattenzione confessatagli da Norberto Bobbio.

 

Possiamo in definitiva ben dire con Galli Della Loggia che il “lungo colloquio o soliloquio” di Cafagna con Cavour, “prende di continuo la forma di un’alta meditazione sulla politica in generale e sul suo ruolo nell’intera nostra vicenda nazionale”. In quel ruolo, nell’importanza decisiva della “alchimia politica”, Luciano credeva fortemente : da storico e da uomo di intensa passione politica, quale fu pur senza tradurre tale sua vocazione in professione, come può accadere e tanto vorremmo che accadesse ancora, coinvolgendo giovani oggi troppo lontani dall’attenzione e dalla propensione per la politica. La lezione di Luciano è al tempo stesso quella della forza di un’autentica intelligenza politica anche nel sollecitare e guidare la ricerca storica. Ed è viceversa quella del valore insostituibile della cultura storica, o almeno del senso della storia, come componente della cultura politica, ovvero della cultura di chi fa politica. Mi fermo qui, a questo semplice accenno alla grande e ineludibile sfida che abbiamo oggi davanti, del veder la politica in Italia risollevarsi dall’impoverimento culturale che ne ha segnato la decadenza. Ci duole molto non poter più chiedere a Luciano Cafagna contributi nuovi a questo fine : di non poterne più chiedere allo studioso, all’intellettuale-politico degno come pochi del titolo di riformista, cresciuto in uno stretto sodalizio con Antonio Giolitti, all’interlocutore – mi si lasci aggiungere – mai perduto nemmeno nel divaricarsi delle posizioni in seno alla sinistra, all’amico ritrovato sempre più vicino nella ricerca di nuove strade per il paese.

 

 

Lascia un commento

Required fields are marked *.