L’autore è il Coordinatore nazionale dell’associazione Agire politicamente
È la domanda che abbiamo sollevato altre volte, ad ogni cambio di segreteria del partito, ansiosi di conoscere da quali ragioni ideali fossero mossi i nuovi dirigenti, ma anche preoccupati della progressiva caduta delle idealità originarie, a vantaggio di una conduzione pragmatica, priva di progettualità futura. Oggi, a dieci anni dall’atto fondativo del partito, siamo costretti a porre la stessa domanda, dopo le ultime travagliate vicende e la scissione, strumentalmente consumata come irresponsabile exodus! Poniamo la domanda ai tre candidati alle primarie, i quali parlano di tutto, dell’Italia, dell’Europa, del Mondo…, quasi fossero candidati alla guida del governo nazionale, tranne che del partito di cui ambiscono a diventare segretari, ignorando che un buon programma di trasformazione del Paese può nascere solo da un grande progetto di partito. Nessuno di loro, tranne accenni e battute di reciproca ostilità, conduce un’analisi di ciò che il partito è stato, nei successi e nei fallimenti, e di ciò che dovrebbe essere, nelle attese e nelle non rimosse speranze. Insomma, qual è la loro idea di partito? Ritengono ancora valide le ragioni fondative che lo legittimarono come partito nuovo e non come un nuovo partito? E ritengono ancora attuale il progetto originario di unità plurale delle culture che lo hanno fondato?
L’associazione Agire politicamente, sin dagli inizi, ha considerato la nascita del Partito Democratico fattore di novità nella storia dei partiti politici, occasione di rinnovamento della politica italiana, opportunità storica per il movimento politico dei cattolici. Ci sembrò, infatti, decisamente inedita e significativamente innovativa la confluenza in un progetto unitario delle tre grandi culture che hanno elaborato la nostra Carta costituzionale: il personalismo comunitario del cattolicesimo democratico, l’umanesimo della tradizione socialcomunista, la concezione liberale dei diritti individuali.
Più volte, negli anni scorsi, abbiamo parlato di “identità plurale”, per dire che le culture di provenienza si sarebbero impegnate, non a costituirsi in correnti o a rivendicare quote di appartenenza, ma ad elaborare una sintesi di essenziale e condivisa unità. A tale scopo, sollecitavamo l’interesse del partito a dotarsi di un Centro studi, concepito come tavolo permanente di elaborazione del progetto originario, in risposta adeguata alle grandi questioni del Paese e anche come luogo di ricerca e di formazione politica.
Oggi, constatiamo con disappunto che tale progetto non è stato sviluppato e, anzi, temiamo che sia stato archiviato, nella complicità di una insensibile e disattesa responsabilità.
Noi riteniamo invece che, proprio per la mancata realizzazione, il progetto conservi il suo potenziale di modernità e possa costituire il punto di non ritorno per una ripartenza e un nuovo inizio.
A questa ripartenza torniamo a guardare, con trepida speranza e con l’auspicio che il cattolicesimo democratico possa contribuire a rigenerare l’identità plurale del partito, con la specificità della sua cultura politica, vincolata allo statuto di laicità e all’etica della mediazione, nella ricerca del bene comune.
È anche questa la condizione perché il cattolicesimo democratico, componente strutturale del progetto originario, continui a considerare il Partito Democratico quale luogo privilegiato di espressione e di sviluppo della propria tradizione politica.
Il Partito Democratico sia il partito della Costituzione e della cittadinanza democratica. Pur consapevole di essere “parte”, come del resto sono, per definizione, tutti i partiti, si apra alla società civile per coglierne le ansie, i bisogni ma anche le attese e le speranze di futuro.
Nel “Manifesto di Assisi”, del settembre 2007, i cattolici democratici scrivevano: “Il Partito Democratico vuole essere un partito popolare, che costruisce la sua politica attraverso l’impegno, la passione e la fatica di tante persone. Vuole essere un partito nazionale, radicato nella varietà del territorio italiano. Vuole dare spazio alla partecipazione e alla discussione di uomini e donne, al fine di promuovere una nuova classe dirigente e contrastare ogni concezione aristocratica e oligarchica della politica”.
Per rispondere alla sua vocazione sociale, sarà necessario che la struttura del partito evidenzi la propria natura associativa e la collegialità effettiva degli organi gestionali e deliberativi. Tutte le cariche siano realmente contendibili, attraverso trasparenti processi democratici e siano distinte dagli incarichi di governo nazionale e locale.
Il Partito Democratico renda visibile organizzativamente e riconoscibile culturalmente la sua identità plurale: il pluralismo delle culture che lo abitano, per renderlo unitario ma non uniforme e monocratico.
Infine, riformuliamo la nostra proposta, già avanzata in passato, di costituire una “Consulta delle associazioni”, che aderiscono al partito o ne seguono con attenzione i suoi percorsi, formalmente istituzionalizzata ma dotata di sufficiente autonomia propositiva. Questo organismo consultivo favorirebbe la saldatura tra società politica e società civile e contribuirebbe a ridimensionare la presunzione di autosufficienza del partito, mentre correggerebbe l’opinione , piuttosto diffusa, che finora abbia trascurato le risorse umane e culturali dell’associazionismo politico democratico.
Lino Prenna
23 Marzo 2017 at 12:52
In questo breve intervento Lino Prenna ha riassunto con un tono pacato e sereno, ma in termini precisi e duri, tutti gli elementi di fondo della crisi e del malessere esistente nel PD e specialmente quelli che sono più specifici dei cattolici democratici. E ha posto le domande che tutti ci poniamo su che cosa é e dove va il PD oggi. In più ci sono anche alcune cose che vanno a completare il bel dibattito in corso fra Guido Formigoni, Stefano Ceccanti e Giorgio Amillei : se la crisi del PD sia principalmente la crisi della pretesa di proseguire e « completare » una transizione verso un certo modello definito della democrazia governante come se fosse davvero questa la volontà politica di tutti gli aderenti ed elettori del PD, come se davvero la maggioranza di essi l’avesse ritenuta e la ritenesse ancora indispensabile, come se davvero la credessimo ancora e sempre la più importante necessità per il Paese, quella che il PD dovrebbe insistere ancora per riuscire ad imporla.
Le considerazioni di Lino Prenna sono anche le mie : anzitutto « un buon programma di trasformazione del Paese può nascere solo da un grande progetto di partito », cioé non esistono delle scorciatoie democratiche prendendo la strada d’istituzioni più decisioniste ed efficaci create con artifici costituzionali perché i problemi del Paese non si risolvono senza la partecipazione democratica necessaria sia per formare e far emergere una nuova classe dirigente e sia per « contrastare ogni concezione aristocratica e oligarchica della politica » (come si legge nel Manifesto di Assisi del settembre 2007).
Il PD non serve a niente se diventa un partito personale come gli altri. Il « progetto unitario delle tre grandi culture che hanno elaborato la nostra Carta costituzionale » aveva richiesto tanta pazienza e tanti sforzi, ma nel giro di 10 anni é stato realizzato. Difatti le diverse scissioni non sono nate dalla semplice separazione delle componenti iniziali, ma da incapacità politica, da ambizioni personali, da strumentalizzazioni, soprattutto questa ultima irresponsabile scissione finale.
Purtroppo sembra oggi messo in causa il carattere fondamentale del PD : « il pluralismo delle culture che lo abitano, per renderlo unitario ma non uniforme e monocratico ». Ma non perché una delle culture politiche iniziali si é separata da un’altra di queste, bensì perché la dirigenza del partito si fa esclusiva ed escludente, non ammette di divenire composita. Addirittura si fa ostacolo a diventare una dirigenza con identità plurale, quale esiste in un partito che dev’essere democratico nel suo interno, l’opposto di un partito personale come lo sono oggi gli altri partiti e come rischia di diventare anche il PD.
Invece é « necessario che la struttura del partito evidenzi la propria natura associativa e la collegialità effettiva degli organi gestionali e deliberativi », come scrive Lino Prenna. Questa identità plurale, assieme alla vocazione sociale e al profilo di partito popolare « della Costituzione e della cittadinanza democratica » sono le condizioni non rinunciabili « perché il cattolicesimo democratico, componente strutturale del progetto originario, continui a considerare il Partito Democratico quale luogo privilegiato di espressione e di sviluppo della propria tradizione politica ». Così ha scritto Lino Prenna, e non si potrebbe dire meglio di così.
Paolo Sartini (Circolo PD Parigi)