E’ ancora possibile essere moderati?

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Il testo è nato come commento dell’autore all’intervista che l’on. Giuseppe Fioroni ha rilasciato lo scorso 10 luglio all’Unità e che abbiamo inserito nella nostra Rassegna stampa. Per la rilevanza delle considerazioni che vi sono presenti, abbiamo ritenuto opportuno inserirlo anche tra gli Articoli

 

Non so… forse è il fatto che invecchiando, ma troppe volte fatico a cogliere il senso di molte delle questioni politiche attuali. Oppure, più semplicemente, non me le spiegano bene.
Domenica ho letto su L’Unità l’intervista a Fioroni, dove il contenuto è ben riassunto dal titolo: “Al Pd servono i moderati”, e dove Fioroni candida i cattolici democratici a svolgere il compito di recuperare l’elettorato moderato. Non ho capito il perché di questa equiparazione tra cattolici e moderati. Le persone che fanno riferimento alla confessione cattolica o alla cultura che da essa si emana sono una realtà molto composita e plurale ed è un errore cercare di ridurla a una sola categoria politico-sociologica.
Innanzi a questa intervista e ai dieci punti programmatici riportati a fianco dell’intervista, mi sono chiesto: “ma oggi, dopo la devastazione economica e morale della crisi economica, la disoccupazione giovanile, le difficoltà che ogni giorno incontrano le famiglie nel generare, allevare e sostenere la vita dei figli, con il crescere delle povertà e disuguaglianze e innanzi alle problematiche sociali e umane che i processi migratori stanno sollevando, i cattolici possono ancora rifugiarsi nel moderatismo?”. Confesso che più mi addentro nelle questioni sollevate dalla crisi che stiamo vivendo più mi allontano da molte delle convinzioni che hanno guidato il mio impegno sociale e politico.
L’uso del termine moderato contrasta con una realtà piena di trasformazioni radicali e profonde e forse nasconde l’adesione inconscia a una sorta di liberismo compassionevole e esprime la volontà a non procurare “fastidio” ai manovratori politici, economici e finanziari e ai cultori del “politicamente corretto”.
Oggi, infatti, debbo costare che dal discorso politico sono scomparse o marginalizzate le sensibilità sociali che caratterizzavano la presenza pubblica del cattolicesimo sociale, che anche quando non erano al governo producevano pensiero e iniziativa sociale. Discutiamo molto di leggi elettorali, di riforma della costituzione, che sono certamente questioni importanti ma che attengono all’ambito della politica; mentre le questioni sociali del momento non suscitano lo stesso dibattito e sembra si siano stemperate dentro una logica meramente amministrativa, di aggiustamento e di adeguamento alle esigenze dell’economia.
Nel giustificare la scelta verso l’orizzonte moderato si tende a rifarsi alle figure di De Gasperi e di Moro, i quali però erano tutt’altro che dei moderati ma veri riformatori. Non dimentichiamo che De Gasperi fece la riforma agraria, creò l’Eni, lanciò il Piano Vanoni, impedì l’avvento dei clericali alla guida del paese mantenendo l’alleanza e il confronto con i “laici”. Il “centro” di De Gasperi guardava verso sinistra e non verso destra. Lo stesso Moro non può essere certamente considerato un moderato, anche a lui s’addice il termine riformatore che è un di più rispetto al termine riformista oggi molto di moda.
Sono sempre più convinto che oggi il compito dei cattolici democratici non sia quello di fare la stampella moderata del centro sinistra, ma di concorrere con idee, proposte e mobilitazioni culturali di ampio raggio a generare “nuova offerta politica” fondata su un pensiero politico capace di scandagliare il futuro che avanza e fortemente caratterizzata da una forte tensione sociale, dalla cura dei più deboli e da un rilancio del “principio emancipatorio” nei confronti delle nuove sudditanze che stanno affermandosi. Il terreno di iniziativa dei cattolici democratici non può che essere quello della libertà da determinarsi attraverso nuovi processi di liberazione delle persone.
Ancora oggi il Cattolicesimo democratico e sociale ha una ragione di essere solo se è in grado di testimoniare una “triplice fedeltà”: adesione alla chiesa e alla dottrina sociale attualmente arricchita del magistero di Papa Francesco, alla democrazia, agli strati più deboli della società.
La laicità dei cattolici democratici e sociali si è sempre manifestata non tanto nella distinzione tra laici e credenti, ma nelle scelte di giustizia sociale a livello nazionale, europeo e mondiale.
Non credo che il compito di quest’area sia quello di diventare la corrente moderata del Pd, ma di contribuire a superare le timidezze, i timori e ad avanzare proposte audaci e provocatorie capace di arrestare lo scivolamento dall’economia sociale di mercato verso una società di mercato.
Credo che se ha ancora un senso l’esistenza dei cattolici democratici questa deve darsi un minimo di strutturazione senza divenire corrente di partito, ma come possibilità di contribuire con la presenza e la proposizione alle scelte di espansione di una cultura di pace, di un rafforzamento dell’ideale dell’unità federale dell’Europa, alla promozione del lavoro come bene primario e non piegato alle sole ragioni di mercato. Il tutto dentro una chiara visione democratica e pluralista, capace di valorizzare la partecipazione dei cittadini e la funzione dei corpi intermedi.
Le sfide che si hanno di fronte sono delicate e difficili se articolano sulle questioni demografiche, sull’avanzamento pervasivo delle nuove tecnologia in tutti i campi compresi quelli che interessano direttamente la vita biologica, la cura e l’informazione. La politica non può limitarsi da emanare le leggi. La legge definisce ciò che è legale, ma non garantisce la verità.
Il potere politico è oggi messo in discussione da una società che sembra aver smarrito gli ideali di umanità, e non saranno le leggi elettorali e la riformulazione dei poteri istituzionali a ripristinare il valore e il senso della politica. C’è un compito importante che sta oltre le riforme e sta nel rimotivare la società civile, che non può essere vista solo come un serbatoio da cui trarre risorse per un impegno nei partiti e nel governo, ma come il campo in cui matura una coscienza politica autentica.
Un’area politica di centro sinistra potrebbe rafforzarsi nella misura in cui manifesterà la sua propensione ad essere sempre più plurale e a mettere in condizione le diversità culturali che la compongono di contribuire alla definizione di scelte da condividere. Ma per questo non servono sguardi verso la moderazione, ma capacità di innovare partendo dai bisogni reali delle persone, in particolare di quelle che più sono in difficoltà.

 

Savino Pezzotta

 

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  1. Esprimo apprezzamento e condivisione per l’opinione di Pezzotta. Non solo per la sua presa di distanza dalla equiparazione tra ispirazione cattolico-democratica e moderatismo, ma soprattutto per la genuina sensibilità sociale cui egli dà voce. Una sensibilità che, contraddittoriamente, difetta anche a sinistra.
    Mi piacerebbe conoscere il punto di vista di Savino sulla riforma costituzionale. A me non pare che essa e, in genere, il corso renziano del PD, da più parti inscritto sotto la cifra della “disintermediazione”, corrisponda al modello politico-istituzionale caro alla tradizione cattolico-democratica e sociale e soprattutto alla cultura delle autonomie (sociali e territoriali) storicamente rappresentato soprattutto dalla CISL. Il cui consenso alle riforme – lo confesso – mi ha non poco sorpreso. Non era nel suo dna semmai il valore della mediazione e del dialogo con le forze sociali? Un modello pluralistico, l’opposto della verticalizzazione del potere in capo ai governi?
    Che ne pensa l’amico Pezzotta?

    • Caro Franco, non sono in grado allo stato attuale di dare un parere sulla riforma costituzionale che però mi genera molti dubbi. Sono convinto che il bicameralismo perfetto andava superato, che il numero dei politici ridotto, che il ruolo delle Regioni e degli Enti locali valorizzato e determinato sul modello tedesco. Mi sembra invece che il tutto punti a rafforzare il ruolo del Governo, a ridurre quello del Parlamento. Mi chiedo se nella volontà di ridurre i cisti della politica non sarebbe stato utile ridurre anche il numero dei deputati. Non essendo molto addentro alla questioni istituzionali ( essendo la mia esperienza di vita pubblica segnata dalla militanza e dal pensiero sindacale, confesso che dentro di me si agita un pensiero un poco a-istituzionale) , per il momento ho solo dubbi che spero di risolvere al momento del voto. Non mi ha sorpreso il consenso della Cisl , anzi me l’aspettavo essendo in atto un tentativo di raccordarsi con il Governo e distanziarsi dalle posizioni della CGIL. Credo che il sindacato non avrebbe dovuto schierarsi,ma impegnarsi a svolgere una capillare e di massa informazioni sulle ragioni del Si e quelle del No, lasciando al singolo lavoratore la possibilità di una scelta consapevole. Sarebbe stato un grande servizio alla democrazia. La cifra che dimostra l’indifferenza di questo Governo sta nel fatto della abolizione del CNEL che era stato voluto dai costituenti per dare una forma istituzionale alle rappresentanze. Capisco che negli ultimi tempi aveva esaurito la sua forza propositiva e che aveva assunto la dimensione di ente inutile. Si trattava di procedere a una sua profonda riforma più che all’abolizione. Bisognerebbe andarsi a rileggere le motivazioni per cui costituzionalisti cattolici e laici proposero questo organismo. Ma oggi la storia e il pensiero sono negletti, si vive del presente e solo del presente. Questa è la contraddizione fondamentale con un pensiero che tende a tenere viva la tensione verso la trascendenza, o, per dirla laicamente, verso la possibilità di un oltrepassamento. Forse servirebbe che i cattolici democratici, popolari e sociali non si accontentassero del lamento, me dessero vita a uno strumento di intervento culturale e politico, non per creare una alternativa al Pd ma per far vivere dentro di esso pensieri nuovi. Bisognerebbe ripetere, nella nuova situazione e con gli strumenti adatti, l’esperienza della Lega Democratica: essere nello stesso tempo dentro e fuori. Buone Ferie.

  2. Caro Franco, non sono in grado allo stato attuale di dare un parere sulla riforma costituzionale che però mi genera molti dubbi. Sono convinto che il bicameralismo perfetto andava superato, che il numero dei politici ridotto, che il ruolo delle Regioni e degli Enti locali valorizzato e determinato sul modello tedesco. Mi sembra invece che il tutto punti a rafforzare il ruolo del Governo, a ridurre quello del Parlamento. Mi chiedo se nella volontà di ridurre i cisti della politica non sarebbe stato utile ridurre anche il numero dei deputati. Non essendo molto addentro alla questioni istituzionali ( essendo la mia esperienza di vita pubblica segnata dalla militanza e dal pensiero sindacale, confesso che dentro di me si agita un pensiero un poco a-istituzionale) , per il momento ho solo dubbi che spero di risolvere al momento del voto. Non mi ha sorpreso il consenso della Cisl , anzi me l’aspettavo essendo in atto un tentativo di raccordarsi con il Governo e distanziarsi dalle posizioni della CGIL. Credo che il sindacato non avrebbe dovuto schierarsi,ma impegnarsi a svolgere una capillare e di massa informazioni sulle ragioni del Si e quelle del No, lasciando al singolo lavoratore la possibilità di una scelta consapevole. Sarebbe stato un grande servizio alla democrazia. La cifra che dimostra l’indifferenza di questo Governo sta nel fatto della abolizione del CNEL che era stato voluto dai costituenti per dare una forma istituzionale alle rappresentanze. Capisco che negli ultimi tempi aveva esaurito la sua forza propositiva e che aveva assunto la dimensione di ente inutile. Si trattava di procedere a una sua profonda riforma più che all’abolizione. Bisognerebbe andarsi a rileggere le motivazioni per cui costituzionalisti cattolici e laici proposero questo organismo. Ma oggi la storia e il pensiero sono negletti, si vive del presente e solo del presente. Questa è la contraddizione fondamentale con un pensiero che tende a tenere viva la tensione verso la trascendenza, o, per dirla laicamente, verso la possibilità di un oltrepassamento. Forse servirebbe che i cattolici democratici, popolari e sociali non si accontentassero del lamento, me dessero vita a uno strumento di intervento culturale e politico, non per creare una alternativa al Pd ma per far vivere dentro di esso pensieri nuovi. Bisognerebbe ripetere, nella nuova situazione e con gli strumenti adatti, l’esperienza della Lega Democratica: essere nello stesso tempo dentro e fuori. Buone Ferie.

  3. Ringrazio Pezzotta per la sua amichevole, cortese risposta. Della quale apprezzo anche l’onestà intellettuale e il carattere sinceramente problematico. Di persona seria che si interroga e si riserva di approfondire il merito della riforma.
    Due dettagli (si fa per dire…trattandosi dell’ex segretario generale dell’a Cisl) mi hanno particolarmente e positivamente colpito. Il primo: la sua riserva sulla circostanza di un neocollateralismo della Cisl che, mi pare, contrasti con la sua tradizione autonomistica, la quale avrebbe semmai suggerito un contributo allo studio e al dibattito sulle riforme, piuttosto che l’allineamento allo schieramento del sì. Secondo: l’osservazione meritoriamente controcorrente sul Cnel, bersaglio di una certa narrazione/comunicazione demagogica. Dice bene Savino: esso forse si è reso indifendibile, dunque passi la sua chiusura. Ma è sorprendente che, specie dal fronte del cattolicesimo sociale e sindacale, ci si allinei a tale facile polemica senza fare memoria dello spessore politico-culturale, specie da parte cattolica, della elaborazione che condusse i costituenti a concepire il Cnel. Tutto il tema cioè di come dare voce e rappresentanza, presso le istituzioni, alle molteplici espressioni del pluralismo sociale. Un tema che, con o senza Cnel, non dovrebbe essere archiviato. Soprattutto dalla Cisl.
    Infine, trovo suggestiva l’idea di ragionare su qualcosa che assomigli alla vecchia Lega Democratica. Stante il desolante vuoto politico-culturale che si registra dentro e fuori del PD, al centro e a sinistra, nonchè da parte di ciò che resta dell’associazionismo laicale cattolico.

  4. Lungi da me difendere il Cnel che giustamente è stato definito come la bella addormentata, anche se farei eccezione per la Presidenza di Giuseppe De Rita che cercò di dare impulso a questo organismo. Ho voluto solo richiamare il senso che molti costituenti, tra cui il cattolico Costantino Mortati e il laico Meuccio Ruini, in una prospettiva di democrazia sociale, del lavoro , delle libertà rilevarono la necessità di un organo di affiancamento propositivo alle istituzioni legislative e al Governo del Paese : Un luogo in cui capitale e lavoro avrebbero avuto la loro rappresentanza e partecipato al governo della cosa pubblica. Si era avvertita la necessità di valorizzare l’apporto delle forze sociali, professionali ed economiche per portare dentro lo stato democratico le rappresentanze sociali. Il risultato alla fine della discussione fu l’articolo 99. Le attese andarono deluse on quanto questo organismo fu poco valorizzato , anche perché i partiti e la classe politica preferirono le “consulenze” che sicuramente permettono di agire con maggiore discrezionalità.
    Percui , non contesto lo scioglimento che data la situazione è diventato quasi obbligatorio , ma il non avere preso, nel proporre una riscrittura di larga parte della nostra costituzione, in considerazione la necessità di dare un luogo istituzionale alla rappresentanza dei corpi intermedi. Superata la concertazione e non avendola sostituita con una nuova metodologia di confronto o di negoziazione partecipata , il rischio p che può darsi luogo a forme di nuovo collateralismo o di neoconflittualità. Mi domando se questo è utile ad affrontare le permanenti questioni che la crisi economica – finanziaria ha introdotto nel nostro sistema produttivo e se senza strumenti di negoziazione partecipata si può affrontare il tema della produttività?

  5. Si è aperto in questi giorni, per iniziativa dell’ex On. Domenico Galbiati, un confronto tramite mail sulla modifica della Costituzione e i Cattolici e la politica di cui si riportano alcuni passaggi:

    Domenico Galbiati – 22 luglio 2016
    Perchè non prova una buona volta a star zitto? Mi riferisco al Presidente Emerito. Vabbè che perfino di Papi ( si fa per dire) ce ne sono due, ma Napolitano si è accorto che al Quirinale c’è Mattarella e che la discrezione ( o più semplicemente la buona educazione) nei rapporti istituzionali è un fattore tanto più importante, quanto più alto è il livello, per cui non sarebbe male osservare, nella sua posizione, qualche prudenza?
    Intanto delegittima Renzi che è pur sempre il Presidente del Consiglio e non lo può strattonare come il Pierino della classe, prima sulla personalizzazione del referendum, ora sull’Italicum.
    Verrebbe da dire che se lo fa, sa di poterselo permettere, ma allora questo rinvia al tempo in cui era ancora in carica. Ed, a questo proposito, si pone allora un secondo aspetto da considerare: a voler pensare che abbia fatto il Presidente in carica con l’atteggiamento con cui fa oggi l’Emerito, sorge qualche brivido, sia pure postumo, circa la corretta interpretazione costituzionale del ruolo e circa la effettiva paternità di riforma costituzionale e legge elettorale. Insomma chi ha dettato la linea? Ivi compreso il “Patto del Nazareno” che, sia pure con le espressioni auliche del rango, sembra, in qualche modo, suggerire ancora.
    Ad ogni modo, anche il Presidente Emerito prende atto che il bipolarismo con un Paese come l’Italia non c’azzecca per niente. Era lì da vedere che perfino un orbo……purchè si considerassero le cose per quel che sono, a partire dal loro sedimento storico….
    Peraltro, il tripolarismo che turba i sonni di molti, non è altro che il “minimo sindacale” per un Paese civile e maturo e mi piacerebbe che potesse valere anche in campo politico-istituzionale un’analogia con i moti celesti descritti dal teorema dei tre corpi di Poincaré…..perlomeno ci garantiremmo il gusto dell’imprevisto, sia pure a prezzo di quell’idiozia di sapere la sera stessa del voto chi ci governa….
    Ad ogni modo – ed è uno dei presupposti per venire al merito della discussione – il “combinato disposto” c’è, eccome! Infatti, tutto si sta impastando e non a caso succede non appena si parla di legge elettorale, tanto più che il Bersanellum ufficializza il gioco dei quattro cantoni tra le componenti interne del PD.
    In sostanza, è confermato che, di fatto, non sappiamo ancora esattamente di cosa stiamo parlando per quanto la campagna sia già stata lanciata….
    Per tornare al Quirinale, c’è anche chi critica Mattarella e lo considera troppo staccato, quasi assente. Lo fa chi non lo conosce oppure è abituato a misurare l’autorevolezza con la brama di visibilità e di protagonismo.
    Intanto – non so chi ha visto sabato mattina in TV i funerali di Andria – sarebbe bello che l’Italia e gli italianI assomigliassero al loro Presidente. Basterebbe che da qui alla fine del settennato imparassimo un po’ tutti l’umanità sincera, non affettata per la circostanza, il pudore, il senso della misura, la discrezione, quella capacità di ascoltare tutti, quella capacità prendere su di sè il dolore del prossimo – ed è forse la misura più vera ed alta della “rappresentanza” – quella capacità di commuoversi che Mattarella non nascose anche nel Duomo di Brescia, ai funerali di Mino Martinazzoli, il 4 settembre 2011.
    Sarebbe bello che il “potere”, in generale, dismettesse i toni di una assertività spinta fino all’arroganza per acquisire questa dimensione.
    Lo ricordava l’altra sera, su La7, De Mita: ve lo immaginate Aldo Moro che chiama “gufi” quelli che non la pensano come lui?
    Era un’altra Italia? Sì, era un’altra Italia.

    Rodolfo Vialba – 23 luglio 2016
    Bravo Domenico, condivido tutto anche se resta la necessità di trovare momenti di approfondimento e confronto.

    Domenico Galbiati – 23 luglio 2016
    Caro Rodolfo, condivido il tuo invito all’ approfondimento, ma tu come lo intendi? A mio avviso, dobbiamo evitare di farci imprigionare per mesi ancora nella spirale di una discussione tra il “si” ed il “no” che, per la verità’, mi ha un po’ stancato. Ormai la trovo piuttosto sterile rispetto alla prospettiva delle questioni vere che dovrebbero rappresentare il terreno di prova del confronto che tu giustamente auspichi. Sterile e stucchevole e scontata, almeno per chi, come me, un orientamento in materia referendaria l’ha maturato. Voterò convintamente “no” non perché ce l’abbia con Renzi che mi stava pure umanamente simpatico fino ad un certo punto, ma di cui non condivido più nulla, soprattutto sul piano del metodo e della rappresentazione del potere che dà con atteggiamenti che vorrebbero essere lo stigma del nuovo e sono invece terribilmente abusati e datati.
    Voterò “no” solo per il merito della riforma, in quanto, come ho segnalato fin dalla prima nota sull’argomento mesi fa, penso che restringa, anziché, ampliare le condizioni possibili per una democrazia autentica, rappresentativa e parlamentare; a sua volta, traguardo e, ad un tempo, tutela e garanzia della libertà e della responsabilità della persona.
    E, se mai, per un motivo aggiunto: confidando che la vittoria del “no” costringa a buttare alle ortiche una legge elettorale indecente, qual’ è il cosiddetto “Italicum”.
    Ed allora, perché non orientare altrimenti il confronto, ad esempio rompendo il tabù’ che quasi ci inibisce a ragionare sul ruolo oggi dei cattolici in politica, cominciando da un esame ragionato di quanto di nuovo ci suggerisce la Dottrina Sociale della Chiesa e dei Pontefici più recenti da Papa Giovanni ai nostri giorni?

    Rodolfo Vialba – 23 luglio 2016
    Caro Domenico, non posso che convenire con te sulla necessità di evitare una sterile discussione sul “si” o il “no” sia perché credo che quanti seguono, anche indirettamente, le vicende politiche, una idea l’abbiano già maturata e non sono certo disponibili a cambiarla, sia perché quello della modifica della Costituzione è certo un tema importante, ma non determinate per le condizioni di vita e di lavoro della grande maggioranza dei cittadini italiani.
    Come voterò al referendum l’ho già detto e motivato in altre occasioni e lo ripeto: in ragione del “combinato-disposto” della modifica della Costituzione e della legge elettorale voterò “no” non per opposizione a Renzi che ha commesso l’errore madornale di personalizzare sia il referendum che la legge elettorale, e nemmeno per dissenso verso i suoi ministri, Boschi ad esempio, che attribuisce alla vittoria del “si” capacità taumaturgiche quali la sconfitta del terrorismo dell’ISIS, ma per ragioni strettamente di merito, e dunque di dissenso, circa il passaggio dal sistema parlamentare a quello presidenziale, quello che Eugenio Scalfari chiama “regime”.
    Tu Domenico riproponi il tema dei cattolici in politica che in questi anni ha avuto molte occasioni di analisi, confronto e approfondimento, l’ultima delle quali è stata il Convegno organizzato da Fioroni a Orvieto lo scorso 8 e 9 luglio. A parte il rilevare che l’invito lanciato da Fioroni a questo Convegno “Al PD servono i moderati” ha, di fatto, segnato il fallimento del Convegno come confermano gli interventi di Savino Pezzotta e di Vittorio Sammarco, resta la domanda: c’è ancora la necessità e lo spazio per una presenza unitaria dei cattolici in campo politico o non è invece questo il momento della presenza e della testimonianza personale ancorata ai principi e ai valori enunciati dalla Dottrina sociale della Chiesa? Questo è sicuramente un tema su cui riflettere in profondità e non di facile soluzione. Prescindendo dalla opzione che potrà prevalere la seconda domanda è: in politica da cattolici per fare cosa? La Dottrina Sociale della Chiesa, nonché le Esortazioni e le Encicliche di Papa Francesco, ci offrono delle indicazioni valide per la realtà italiana. Ne cito alcune:
    1) il lavoro che c’è, ma soprattutto quello che non c’è, che è la causa dell’altro livello di disoccupazione (oltre 11%) e di quella giovanile in particolare (circa il 40% dei giovani dai 15 ai 24 anni). Prescindendo dai costi sociali che da soli giustificherebbero scelte di politica economica radicalmente diverse, in termini puramente economici che senso ha spendere le risorse che si spendono per indennità di disoccupazione, cassa integrazione e mobilità, che sono interventi di natura assistenziale che non producono sviluppo e posti di lavoro? Considerato che il lavoro che c’è produce questi tassi di disoccupazione e che non è pensabile che in futuro aumenterà ma anzi, per effetto dell’innovazione tecnologica, continuerà a diminuire, non avrebbe senso redistribuire il lavoro che c’è tra quanto un lavoro lo chiedono anche attraverso la riduzione dell’orario di lavoro settimanale sostenuta dalle risorse oggi destinate a fini assistenziali?
    2) l’aumento delle diseguaglianze che non solo fa diventare i ricchi più ricchi e i poveri più poveri, come dimostrano i dati sulla distribuzione del reddito dal 2007 al 2015. Pure in una lunga fase di pesante crisi economica anche in Italia i ricchi hanno guadagnato e i poveri hanno perso, tanto che, nel 2015, secondo l’ISTAT nel 4.102.000 persone sono in condizione di povertà assoluta e 7.815.000 persone sono in condizioni di povertà relativa. Fino a quando è possibile accettare questi livelli di diseguaglianze e quali politiche sono necessarie per ridurle? E che dire dello scandaloso livello dell’evasione fiscale (Mattarella: 122 miliardi)? Sempre meglio di nulla, ma non c’è di che gioire se la lotta all’evasione recupera solo il 10% delle imposte evase. Che fare allora e non solo sull’evasione fiscale ma anche sui costi della corruzione, dell’economia sommersa e dello sfruttamento dei lavorati in nero?
    3) i cambiamenti in atto nel sistema di tutela della salute, quale parte del più ampio sistema di welfare, sempre più determinati dalle logiche puramente economiche e di bilancio, con conseguente trasferimento di parte dei costi delle prestazioni che il sistema rende a carico delle persone non solo attraverso il meccanismo dei ticket ma anche con il ricorso alle prestazioni private, e sempre meno come sistema e spazio per l’esercizio dei diritti di cittadinanza, cioè i diritti per i quali ogni persona è cittadino di questo Stato, o meglio sistema e spazio in cui dovrebbero avere cittadinanza i diritti che la Costituzione definisce come fondamentali della persona.
    4) c’è chi ha calcolato, basandosi sui dati del bilancio dello Stato, che in Italia si spendono ogni ora 2,5 milioni di euro per la Difesa, 22 miliardi all’anno. Mezzo milione all’ora solo per l’acquisto di nuovi armamenti: missili, bombe, blindati, cacciabombardieri, navi da guerra, 4,4 miliardi all’anno. Per difenderci da chi e per fare la guerra a chi?
    Si potrebbe continuare nell’elencare i temi, ma già questi ne richiamano altri e dunque possono bastare ponendosi comunque un problema di individuazione delle priorità.
    A mio giudizio occorre pensare ad una iniziativa che coinvolga tutte le associazioni e movimenti di ispirazione cattolica che, senza pretesa alcuna, si ritrovino a riflettere sulla realtà che vivono nel tentativo di individuare un percorso di approfondimento e confronto su temi di interesse comune, ponendosi l’unico problema di come trasferire nella politica l’esito di tale riflessione.
    Possono questi temi essere di interesse per i cattolici impegnati in politica e può essere questo un percorso realizzabile?

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