Si è spento ieri all’età di 88 anni, padre Giacomo Martina, nella residenza San Pietro Canisio contigua alla casa generalizia della Compagnia di Gesù a Roma, assistito amorevolmente dalla sorella novantenne Matilde. La morte del sacerdote è avvenuta proprio alla vigilia della memoria liturgica del Beato Pio IX, figura alla quale aveva dedicato buona parte della sua vita di studioso, pubblicando tra il 1974 e il 1990, in tre volumi di complessive duemila pagine, la più completa ricostruzione del suo Pontificato mai scritta. Nato a Tripoli nel 1924, padre Martina per oltre 30 anni ha insegnato alla Pontificia Università Gregoriana dell’Urbe. Studioso infaticabile – la sua bibliografia curata da Simona Negruzzo e pubblicata nel 1998 raccoglie ben 397 titoli – ed efficace scrittore, padre Martina ha collaborato con numerose riviste e, per oltre vent’anni (1966-1988), con “L’Osservatore Romano”.
La sua attività di insigne storico lo ha portato a redigere numerosi studi sulla Compagnia di Gesù, l’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola di cui faceva parte. Il suo primo scritto scientifico (dopo una breve nota, nel 1945, sui Gesuiti in campo di concentramento) è stato dedicato, nel 1955, all’innovativo “Le pontificat de Pie IX” di Roger Aubert. Quasi cinquant’anni dopo ha pubblicato l’ottima “Storia della Compagnia di Gesù in Italia”, uscita nel 2003, relativa agli anni 1814-1983. E’ autore di un fortunato manuale in quattro tomi intitolato “La Chiesa nell’età dell’assolutismo, del liberalismo, del totalitarismo. Da Lutero ai nostri giorni”, più volte ristampato e aggiornato (la prima edizione è del 1970). L’Osservatore Romano pubblica un ricordo di padre Martina di una sua studentessa, Grazia Loparco, che ne evidenzia in particolare la dedizione allo studio, definendola la sua “eredità preziosa”, ma anche la disponibilità ad aiutare gli studenti, la pazienza nell’ascolto dell’altro, chiunque esso sia, e la cultura messa a servizio delle persone.
Alla vigilia della memoria liturgica del beato Pio IX È morto padre Giacomo Martina
In “L’Osservatore Romano”, 7 febbraio 2012
di Grazia Loparco
Chi trascorreva alcune ore nella biblioteca della Pontificia Università Gregoriana fino all’autunno 2007 certamente s’imbatteva in padre Giacomo Martina, con passo spedito, tutto intento a rincorrere un nome, una data, un collegamento fissato in un vecchio blocco d’appunti e una biro sempre modestissima. A chi gli parlava di computer, diceva divertito che bisognava averlo in testa. La sua memoria, difatti, rendeva vivi personaggi e contesti. La sua disponibilità ad aiutare gli studenti, e non solo; la pazienza dell’ascolto di chiunque attestano la carità intellettuale vissuta con naturalezza, la cultura a servizio delle persone. Non restava in cattedra, sapeva condividere cose importanti imparate dalla vita.
Padre Giacomo Martina aveva un modo tutto suo di insegnare la storia della Chiesa, di cercare le fonti, di scrivere con lealtà, senza remore. Chi veniva da una formazione letteraria prima che teologica sintonizzava senza difficoltà, perché la storia è storia, senza altri aggettivi tendenziosi. La sua lettura, superando per tempo antichi steccati, allargava orizzonti, suscitava domande, dava orientamenti sobri e sicuri. Come pennellate sapienti, la storia usciva schizzata in sintesi indimenticabili, mai noiose.
Si interessò con lunghe ricerche di Pio IX come di Risorgimento, lui vissuto a Roma, ma scrisse un manuale di storia della Chiesa, in uso ancor oggi, per suscitare negli studenti uno studio intelligente; approfondì per primo la situazione delle congregazioni religiose subito dopo il 1870, intercettando il mondo femminile, naturalmente ponte tra Stato e Chiesa.
Quando si trattava di partecipare a qualche incontro o convegno spiccatamente laico, egli, sempre riconoscibilissimo come sacerdote, scherzava affermando di essere l’unico laico dell’assemblea. Ha sempre invitato i suoi allievi a essere presenti negli spazi culturali ampi, a non chiudersi in un ghetto, a confrontarsi, a lasciarsi interrogare, a mettersi in discussione. La sua lealtà gli è costata, ma gli ha anche aperto molte porte e molte coscienze. La sua dedizione è un’eredità preziosa.