ELEZIONI: L’analisi delle proposte politiche curata dall’Istituto Cattaneo. Mauro Calese, “La campagna dei leader bifronte” (Mattino); Stefano Folli, “Che cosa nasconde la maschera del voto bis” (Repubblica). GERMANIA E NOI: Andrea Bonanni, “La Germania più vicina a Bruxelles” (Repubblica); Massimo Adinolfi, “Il sottile filo rosso tra Berlino e Roma” (Mattino). MIGRANTI: sulla paura di andare al capezzale dei meri feriti, scrive Marina Corradi, “‘Non uomini’ e caporali” (Avvenire); Alessandro Portelli, “Aperta la diga dell’antifascismo, dilaga l’odio razziale”; Ignazio Masulli, “Migranti, gli inganni della propaganda”; Enrico Calamai, “Perché i migranti sono i nuovi desaparecidos” (Manifesto). Maurizio Ambrosini, “Così percepiamo l’invasione” (intervista a Il Giornale). LAVORO: Milena Gabanelli, “Ecco quali mestieri saranno più richiesti” (Corriere della sera). A proposito della riduzione sperimentale dell’orario di lavoro in Germania: Giuseppe Berta, “28 ore a settimana, il caso Germania” (Messaggero); Andrea Bassi : “Welfare e orari flessibili, gli accordi pilota in Italia” (Messaggero); Piergiovanni Alleva: “Lavorare meno (e meglio) si può anche da noi” (Manifesto). SUL PIANO CALENDA-BENTIVOGLI: A. Mingardi e A. Miglietta, “Una nuova struttura degli incentivi” e Pierluigi Bersani, “Innovare senza contesto è un’illusione” (Sole 24 ore).
9 Febbraio 2018 at 06:43
…mi permetterei di aggiungere come “lettura” al tema lavoro “il metodo don Gino” di M. Gramellini, su Il Corriere della sera del 7 febbraio 2018.
rd
9 Febbraio 2018 at 19:08
quanto scrive alessandro portelli su antifascismo e razzismo è molto condivisibile
mi pare però che manchi un elemento, perchè continuiamo sempre ad affrontare il problema guardndo solo dal nostro punto di osservazione
spostiamo l’occhio sull’africa: cosa stiamo facendo perchè lo sviluppo demografico di quel continente abbia un corrispettivo di crescita economica e posti di lavoro che fermino all’origine la delocalizzazione della gente?
la nostra emigrazione interna finì quando la fiat si decise, dopo aver costruito cinque stabilimenti nella cintura di torino e portato 180.000 operai a intasarne l’abitato e cominciò ad aprire fabbriche in abruzzo, puglia, sicilia e basilcata
poi il gruppo si è mondializzato ed è cominciata un’altra storia
perchè invece di continuare a discutere se accettare o respingere dei disgraziati, non passiamo a investire sul lavoro in africa
qualcuno lo fa già e non solo eni il petrolio, ma dal sahel e zone limitrofe ci arrivano perfino zucchini e frutta, sulle linee coop
chi lo ha fatto sa che la cosa rende, nella logica di un’economia sempre più mondializzata
non voglio creare equivoci: non sono un paladino della logica multinazionale, ma ero bambino a genova, quando si costruì l’italsider e sul muro di cinta del cantiere si vedeva lo stemma della united steel che partecipava all’impresa : fu ancora immigrazione, ma almeno solo da sud a nord italia e non come i venti milioni di italiani emigrati per fame dall’italia ai tempi di dogali e della guerra di libia
puodarsi che qualche nostro armato in sahel sia di sostegno a calmare le acque (magari per non lasciare tutto in mani francesi, che si sa non sono proprio nè pacifisti nè pacificatori) ma qualche partecipazione industriale in più non sarebbe colonialismo, ma semplice politica multinazionale, con molte famiglie in grado di non affidarsi al trafficante di schiavi di turno per sbarcare a lampedusa