Dopo il suo ‘incoerente’ ma calcolato e inatteso appoggio all’alleanza tra M5s e Pd, e dopo la sua intervista a Repubblica del 17 settembre con la quale annuncia Italia Viva, Matteo Renzi esce dal limbo dove si era cacciato in seguito al fallito Referendum costituzionale. E occupa le prime pagine dei giornali, le notizie di apertura dei telegiornali e l’invito nei talk show. Facendo capire che ora i conti si devono fare con lui. Mica male per uno che ha il dente avvelenato col Pd perché “…è stato trattato male”, e che guarda più a un Centro cattolico-liberale che a una sinistra socialdemocratica. Circa un mese prima, il 21 luglio, in una intervista al Corriere, Franceschini, con Bersani sullo sfondo, aveva anche lui rivoluzionato d’un colpo le idee del Pd, proponendo una alleanza col M5s, fino al giorno prima considerato un ‘partito’ pericoloso nella pratica della democrazia interna ed esterna, e nel suo programma politico. Si poteva realizzare “…un arco costituzionale , come era successo per Dc e Pci”, ha affermato in quella intervista Franceschini ribaltando alcune sue idee sul M5s espresse in precedenza. E i due partiti potevano camminare insieme una volta che il M5s si era convertito all’europeismo. C’erano certamente da superare incomprensioni e ci si sarebbe dovuti prestare all’accusa di trasformismo. Ma, in cambio, stando insieme si poteva guardare al bene del Paese, stemperando alcune punte di populismo grillino, assieme alle diverse incongruenze rousseauiane.
Quello che ci riserva il domani, arrivati a questo punto non lo sappiamo. Sappiamo solo che il Conte Due è partito, che Conte dopo la scissione di Renzi è preoccupato, e che Renzi con i suoi deputati sarà l’ago della bilancia in Parlamento. Franceschini, con quel suo convincimento, ricordava l’ultimo, memorabile, discorso politico di Aldo Moro, tenuto a Benevento il 18 novembre del 1977, in cui il leader dc sostenne a chiare lettere che una alleanza tra Pci e Dc sarebbe stata utile ad entrambi i partiti: “…quale che sia la posizione nella quale ci si confronta, qualche cosa rimane di noi negli altri, e degli altri in noi”. Aggiungendo – rivolto ai comunisti: “…quello che voi siete noi abbiamo contribuito a farvi essere”. Mica male per due partiti, feroci nemici e alternativi per anni e anni. Aldo Moro però non ha mai avuto paura di essere tacciato di incoerenza e di trasformismo. Guardava all’Italia e al bene comune degli italiani, assai più che a se stesso e al suo partito. Altri tempi, altri partiti e altri personaggi, si dirà. Giusto. Ma dopo il dibattito alle Camere sulla fiducia al Governo Conte Due, durante il quale il sostantivo coerenza è stato adoperato in senso spregiativo e offensivo decine di volte, e dopo che il termine trasformismo si è riproposto nella cronaca politica, bisognerebbe interrogarsi sul loro significato e sulle loro ricadute sul terreno della democrazia. Ma soprattutto sull’ “etica della responsabilità”.
Coerenza e identità
Nel suo Dizionario Etimologico, Giacomo Devoto chiarisce che il sostantivo coerenza deriva dal latino ‘cohaerentia’, che vuol dire essere unito, connesso. Mentre Ottorino Pianigiani , altro emerito studioso, spiega che l’aggettivo coerente riguarda una persona “… che è unita a qualche idea; anzi che … è unita tenacemente con altra cosa e con altre parti simili”. Tenacemente? Sì. Usa proprio l’avverbio tenacemente. E aggiunge che in senso figurato una persona coerente è “…colui che non disdice o contraddice sia con i fatti né con parole, a ciò che prima ha affermato o pensato”. Bene. Sin qui ci siamo. Succede però che nel corso del dibattito alle Camere sulla fiducia, oltre alla coerenza sono risuonati decine di volte anche altri due sostantivi: riformismo e riforma. Dal punto di vista politico più interessanti e stimolanti. Ma che fanno a pugni con la coerenza in quanto, se proprio vogliamo, sottintendono l’in-coerenza: il dare cioè una nuova forma; il formare di nuovo; il correggere qualcosa che era sbagliata; il contraddirsi; ecc. Non ho nessuna intenzione di elogiare il relativismo dell’in-coerenza. Alcuni valori fondamentali è bene trasportarseli dietro e tenerseli cari. Ma sto solo tentando di fare una valutazione storico-politica della coerenza. Tenendo conto del fatto che la coerenza, nelle questioni temporali, è sempre figlia della storia dell’uomo. Che serve sino a quando non si vuole riproporre e consacrare come virtù con tutti i suoi pre-giudizi ed errori che si trascina, dal momento che è sempre figlia dello “spirito del tempo”. Questo è uno dei motivi per cui siamo costantemente immersi nella crisi di quelle identità rocciose stabilite una volta per tutte e depositate nel congelatore, con cui una supposta in-coerenza trova sempre i suoi terminali polemici. Sotto questo aspetto bisogna valutare lungimirante il coraggio avuto dal Pci nelle sue trasformazioni in Pds, Ds, Pd, con le conseguenti scissioni varie. Non ci sono dubbi che anche le identità ci aiutano a capire chi siamo, con chi camminiamo, e dove andiamo. Ed è bene averne una con alcuni pilastri portanti. Ma essendo consapevoli che le pareti e i tramezzi, le porte di ingresso e di uscita, le scale di accesso, sono variabili nel tempo e discontinui. Succede infatti che una volta osservate come gabbie di ferro, chiuse come reliquie dentro casseforti del passato, in verità anche le identità ci aiutano poco a capire il presente e a progettare il futuro. Anzi a spesso ci ostacolano. Poiché si tratta di rigidità inefficaci. Spesso causa di grossi se non pericolosi equivoci. Si rimane infatti preoccupati quando si fanno manifestazioni di piazza a Montecitorio contro il Governo in carica, con saluti fascisti e svastiche del primo Novecento. E quando quel Parlamento che fu di De Gasperi, Togliatti e Almirante si trasforma in una curva sud volgare e aggressiva. Coerenza e identità? Ma non è che la coerenza e le identità addormentino la nostra intelligenza e non ci facciano pensare al domani? Cosa ci possono suggerire la coerenza e l’identità nei loro effetti sociali ancora ignorati, quando si confrontano necessariamente con un mondo del lavoro 4.0 e con l’intelligenza artificiale? Con i cambiamenti del mondo globalizzato, connesso e interattivo nelle mani della finanza? Con le migrazioni? Con l’ambiente e l’innovazione? Solo i Valori? Sapendo tuttavia che quando questi valori non si incarnano nella storia rimangono fumosità “liquide”? Lo sforzo continuo di capire i tempi che si vivono è dunque un preludio e sottintende una discontinuità dei nostri convincimenti e delle nostre precedenti opinioni. Pena, il pensiero unico e indistruttibile. E’ stata la mistica “cattocomunista” Simone Weil a scagliare i suoi strali impolitici contro il pensiero monolitico. Invocando pluralismo di opinioni. E auspicando addirittura la soppressione dei partiti politici in quanto li vedeva poco liberi, chiusi e dogmatici. Senza dialettica interna e mediazioni. In una parola: perennemente identici e coerenti.
Coerenza e trasformismo
Alla in-coerenza politica, interpretata come tornaconto individuale e opportunistico, in linguaggio salviniano come attaccamento alle poltrone, è strettamente legato il trasformismo. Dalla sinistra di Depretis in poi. Un termine con connotazioni negative. Fino ai nostri giorni. Ma sempre inteso come mutazione radicale per interessi e non come discontinuità e conversione per una migliore ricerca del bene di tutti. Come mercato dei voti, e non come “feconda trasformazione” (Depretis!). Tra le altre cose, riferito sempre alla classe politica e all’establishment, e mai adoperato per spiegare sino in fondo la flessibilità e i cambiamenti repentini nel voto da parte dell’elettorato.
E’ a questo punto che sorge il dubbio che quando si difendono la Costituzione, le libertà, la giustizia, l’eguaglianza, la persona, il trasformismo si potrebbe paradossalmente vestire di autentica democrazia perdendo il suo amaro sapore machiavellico. E che il partito politico …coerente, quando rivolge lo sguardo al suo passato, non adopera bene le risorse che ha per immaginare e creare futuro. E’ stato Oscar Wilde a ricordarci che al coerente spesso manca la creatività e la fantasia, manca il pensiero e la ragione: “La coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione”. Che nell’anno del Signore 2019 occorra immaginazione, tanta, non è il caso di dirlo. Ma è forse un peccato credere che quando scompare la coerenza dalla sfera politica, non scompare invece la politica e che la politica rischia di scomparire solo quando si è in perenne e costante coerenza rimanendo muti e inerti nella lettura di nuovi segni dei tempi che richiedono urgenti cambiamenti?
E’ compito delle nuove generazioni eliminare definitivamente pregiudizi… coerenti. Quei pregiudizi arroccati alla categoria amico/nemico, che tanti tragici danni hanno recato allorquando hanno semplificato la realtà. Che per Aldo Moro era che complessità e mai manicheismo. Da decifrare solo con coerenza morale, ma quando era necessario anche con incoerenza storico-politica. Sino al punto di fargli preparare “terze fasi”, “convergenze… ” e “compromessi”, per dialogare con i comunisti, “nemici” di sempre. L’Europa unita, e noi speriamo che sia unita anche politicamente, è nata solo quando è comparsa l’incoerenza rispetto al passato identitario dei popoli, delle culture e dei costumi. Un passato fatto di guerre e di odi nazionali. Di milioni di morti. Un passato oggi ignorato da incolti e incoscienti sovranisti.
S. Paolo e “l’in-coerenza”
Se non ci rendiamo consapevoli del fatto che col passare del tempo i nostri pensieri e le stesse nostre idee possono cambiare, allora la coerenza diventa una gabbia di acciaio dentro la quale ci ritroviamo sempre bambini. E’ Paolo di Tarso a ricordarcelo. Nella sua Lettera ai Corinti (“Inno alla Carità”) scrive: Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino,; ma quando sono diventato uomo , ho smesso le cose da bambino (….)”.
Nino Labate